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Sullo sciopero dei call center del 4 giugno
6 Giugno 2014
Mercoledì 4 giugno è stato proclamato lo sciopero nazionale dei lavoratori call center, per dire giustamente basta alla vergognosa prassi della delocalizzazione che tanto sta costando ai lavoratori del settore. A neanche dieci anni dal processo che ha visto la regolarizzazione di 25000 lavoratori ecco quindi che il capitalismo ci mostra il conto e ci ricorda, per l’ennesima volta, che nessun passo avanti nel miglioramento delle nostre condizioni sarà mai duraturo se non si mettono in discussione le fondamenta di un sistema che si basa esclusivamente sullo sfruttamento dei lavoratori.
Naturalmente, come PCL abbiamo sostenuto lo sciopero, ed esprimiamo soddisfazione per la grande adesione (si parla di oltre l’80%), segno che i lavoratori hanno compreso la necessità di un cambiamento che solo la lotta può portare. Nonostante ciò, siamo coscienti che questa enorme fiducia, se riposta ancora una volta nelle burocrazie sindacali, non potrà che essere delusa una volta di più.
Siamo infatti sdegnati per come le organizzazioni sindacali hanno portato avanti lo sciopero e per la piattaforma rivendicativa che si è avanzata. Si è preferito limitare il problema dei call center alle delocalizzazioni, è stata lasciata circolare la vergognosa ipotesi che il problema fosse il lavoratore straniero. Ciò ha addirittura permesso alla feccia fascista di insinuarsi nella manifestazione di Roma per scandire le sue porcherie sulla “patria tradita” nella totale impunità. La CGIL, va detto, non non ha speso una parola per prendere le distanze dai fascisti e dalle loro parole d’ordine. Ma la cosa grave è che la CGIL evita scientemente ogni tentativo di generalizzare la protesta dei lavoratori dei call center: nulla si dice contro il governo Renzi che così duramente sta colpendo i lavoratori precari (che a dispetto delle regolarizzazioni rappresentano comunque una fetta enorme della forza-lavoro nel settore), ci si limita ad invocare il rispetto delle leggi europee in materia di delocalizzazione e non una protesta viene levata contro le politiche di austerità che il capitalismo europeo impone al suo proletariato.
Il Partito Comunista dei Lavoratori si pone in ottica diametralmente opposta a tutto ciò. Non saranno le normative europee a risolvere la situazione dei call center italiani e di qualsiasi altro paese. La soluzione sta nelle mani dei lavoratori stessi e nella loro volontà di mobilitarsi per il giusto programma.
Solo la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle aziende che delocalizzano e licenziano può essere l’antidoto al ricatto padronale delle delocalizzazioni, così come l’unica risposta al problema delle regolarizzazioni è rappresentata dall’abolizione di tutte le leggi sul precariato a partire dal pacchetto Treu. E' necessario opporre alla falsa parola d’ordine della “difesa del lavoro italiano” una vertenza generale dei lavoratori europei del settore contro un padronato che da sempre non conosce confini per quanto concerne lo sfruttamento.
Il Partito Comunista dei Lavoratori si propone di essere lo strumento per la realizzazione di questo programma. Chiamiamo dunque anche i lavoratori dei call center, che in questi ultimi anni sono stati protagonisti di lotte esemplari per vedersi riconosciuto il diritto ad una vita dignitosa, ad abbandonare le illusioni ed intraprendere l’unica strada che veramente paga: quella dell’opposizione ad oltranza al capitalismo e ai suoi governi, perché solo la rivoluzione può cambiare le cose!