Teoria

George Grosz pittore rivoluzionario (seconda parte)

3 Giugno 2014

3)L’ Internazionale Dada di Berlino

L’evento decisivo per la rottura con l’Espressionismo fu l’esperienza diretta nell’esercito.
I suoi disegni di questo periodo mostrano lo sfacelo prodotto dalla guerra. Grosz fu richiamato al servizio militare nel gennaio 1917 per rimanervi solo sei mesi senza mai prendere parte ai combattimenti. Secondo lui le autorità lo cacciarono dall’esercito perché dopo la visione della Erste Grosz Mappe si convinsero che fosse pazzo. Questa raccolta di disegni ridicolizzava la propaganda bellicista del regime e mostrava la sua falsità. In questo anno dipinge Metropolis (olio su cartoncino di cm. 68x46) e Funerale (olio su tela cm 140x110). In quest’ultimo Grosz dimostra come va utilizzata la tradizione pittorica. Il quadro è una rielaborazione creativa di Hieronymus Bosch. Grosz rappresentava la realtà urbana provocata dalla guerra. Una umanità mostruosa, una moltitudine di tutti contro tutti. Il quadro di Grosz non concede nulla all’ottimismo dell’ideologia ufficiale. Metropolis rappresenta i bassifondi in cui le classi dominanti possono soddisfare ciò che ritengono inconfessabile. La semplificazione massima del corpo umano, ridotto a manichino rappresenta il lato oscuro sconcio ipocrita della classe dominante. Lo stile è lo stesso dei disegni raccolti in Erste Geroge Grosz Mappe(1917) e in Kleine Grosz Mappe(1918). Grosz realizza in queste opere la perfetta adeguatezza dello stile al contenuto: “ Per ottenere uno stile corrispondente alla bruttezza e alla crudeltà dei miei modelli, ho copiato il folklore degli orinatoi, che mi sembrava l’espressione più immediata la traduzione più diretta dei sentimenti forti e così ho fatto riguardo ai disegni dei bambini a motivo della loro sincerità. Mi sono fatto così quello stile incisivo, quel disegno a punta di coltello di cui avevo bisogno”(1)
Secondo lo storico d’arte de Micheli : “Il fatto è che Grosz aveva introdotto uno spirito d’implacabile denuncia di rabbia e di indignazione. Così all’interno della lezione cubista egli aveva fatto irrompere, con spregiudicata esperienza, il segno primitivo dell’epigrafia popolare dello scarabocchio e dell’iconografia scurrile studiata sui muri delle strade”.(2)
Questo stile contrassegnerà le opere di tutti i pittori che il gallerista Hartlaub definirà Nuova Oggettività di sinistra, quando nel 1925, ne organizzò la mostra nella sua galleria. Hartlaub già dal 1923 progettava una mostra di quella che lui chiamava l’ala destra e l’ala sinistra della Nuova Oggettività. Nell’ inverno 1915/16 conosce Wieland Herzefelde che aspirava a diventare scrittore e gli presentò suo fratello John Heartiefeld, grafico e tipografo. Quest’ultimo adottò un nome anglicizzato per protesta contro lo sciovinismo prussiano. I due fratelli erano figli del poeta socialista tedesco Franz Held esule in Svizzera e di Alice Stolzenmberg organizzatrice degli scioperi degli operai tessili. Condividevano la condanna della guerra ed il pronostico che la Germania sarebbe stata sconfitta. Insieme fondarono l’Internazionale Dada a Berlino. Per Grosz questa nuova fase della sua evoluzione artistica e culturale fu prodotta dalla consapevolezza che la concezione dell’arte e della cultura del movimento espressionista era una grande illusione: “il dadaismo fu il nostro risveglio da questo autoinganno. Vedevamo le escrescenze finali dell’ordine costituito e scoppiavamo a ridere”.(3)
Nel febbraio 1924 Grosz scrisse che: “il movimento dada tedesco ebbe le sue radici nella percezione, avuta contemporaneamente da alcuni miei compagni e da me che era assolutamente insensato credere che il mondo fosse governato dallo spirito o da una entità spirituale. Goethe nei bombardamenti; Nietzsche negli zaini; Gesù nelle trincee. Ma c’era ancora chi era convinto che lo spirito e l’arte avessero potere. Dada non fu un movimento ideologico ma un prodotto organico, nato come reazione alle tendenze nebulose della cosiddetta arte sacra che trovava significato nei cubi e nel gotico, mentre i comandanti in campo dipingevano col sangue”(4)
Grosz materializzò tutta l’evoluzione del periodo dell’Internazionale Dada nel quadro ad olio intitolato “Germania, racconto d’inverno”. Grosz utilizza lo stile cubo-futurista per rappresentare la classe sociale che lui considera responsabile della catastrofe economica, sociale e psichica provocata dalla guerra. Il carattere antispiritualista di quello stile è sintetizzato da Grosz in una riflessione sui costruttivisti sovietici:“Il compasso e la riga hanno scacciato l’anima e le speculazioni metafisiche. Si sono presentati i costruttori. Essi vedono con maggiore chiarezza nel nostro tempo. Non si rifugiano nella metafisica. I loro fini sono liberi dai pregiudizi antiquati, ormai andati in rovina. Essi vogliono oggettività, vogliono lavorare per i bisogni reali: esigono di nuovo nella produzione artistica, uno scopo controllabile”.
Al centro del quadro c’e il borghese che ha prosperato con i profitti e le rendite durante e per mezzo della stessa guerra. In torno a lui c’è la catastrofe di cui non si cura minimamente. La ristrettezza mentale del borghese è rappresentata col giornale locale sul tavolo. In primo piano ci sono i tre pilastri della società tedesca: il pastore luterano con il libro di preghiere, il generale con la sciabola e le medaglie e il professore con la bandiera imperiale. La società è in completo sfacelo: prostitute, marinai, carri funebri, violatori di tombe e assassini fanno scorribande in una città disintegrata. Quest’opera fu distrutta dai nazisti. (5)
Il gruppo di artisti dadaisti berlinesi svilupparono coerentemente il programma dadaista di Zurigo. L’adesione al partito di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht è la conclusione coerente dello spirito negatore e iconoclasta del dada. Lo spirito dadaista a Berlino trovò un contesto sociale che a Zurigo non c’era. La critica dadaista viene a contatto con lo sfacelo provocato dalla guerra. I dadaisti berlinesi vogliono stabilire un rapporto positivo tra creazione artistica e vita mediante l’uso delle nuove tecnologie. I dadaisti berlinesi utilizzarono le tecniche del fotomontaggio-collage e quelle dell’installazione. Alla fiera internazionale Dada nell’estate del 1920 fu presentato il manichino di Grosz ed Heartiefield chiamato Der wildgewordene Spießer (Il folle filisteo). Le braccia del manichino sono rimpiazzate da un campanello elettrico e un revolver, il suo petto eroico orgoglioso delle decorazioni di guerra, una forchetta rotta e una lama di coltello arrugginita. Il manichino da sarto porta, al posto della testa, una lampadina sulle spalle, che può essere accesa o spenta a piacimento. Un'altra installazione presente alla Fiera Dada e l’arcangelo prussiano di Rudolf Schlichter e Heartfield rappresenta la casta militare prussiana fatto con una testa di maiale di cartapesta, il corpo in rete metallica rivestito da un uniforme militare di caporale di campo dell’altezza di 1,80 m. Al collo portava il cartello con la scritta “impiccato dalla rivoluzione”. Alla mostra parteciparono Raoul Hausmann, Hannah Hoch e Otto Dix. I dadaisti a Berlino si confrontarono con una realtà differente che Raoul Haussmann riassunse efficacemente: “Spartaco era in tutte le strade, in tutti i luoghi e in una Berlino sconvolta si eccitava il dada: chi sta fermo viene colpito a fuoco per ordine del prefetto della polizia. Niente gas né elettricità né acqua e tutto questo già da più giorni. A ogni angolo della strada controlli per il porto d’armi, manifestazioni di massa, incontri per Spartaco, di notte al centro rumore di mitragliatrici. E in tutto ciò si dovevano comporre versi ben levigati,dipingere nature morte o donne nude? Al diavolo!”(6). Fra i dada berlinesi George Grosz, i fratelli Herzefelde e Franz Young si unirono alle milizie del Partito Comunista Tedesco, nella cui sfera gravitavano, pur non essendovi formalmente iscritti molti dadaisti, di cui alcuni parteciparono alla mostra organizzata da Hartlaub nel 1925, fra questi Otto Dix.
Il 3 Novembre del 1918 insorsero i marinai e gli operai di Kiel rivendicando la Repubblica dei consigli operai. La rivoluzione si estese a tutta la Germania. I capi del partito socialdemocratico tedesco (Spd), Noscke ed Ebert tradirono le speranze della classe operaia tedesca e per salvare il capitalismo diventarono il pilastro politico principale della Repubblica di Weimar. Dalla Lega di Spartaco di Rosa Luxemburg e Karl Liebneckt nacque il Partito Comunista tedesco che riteneva che la Repubblica di Weimar dovesse essere rovesciata per instaurare la Repubblica dei consigli degli operai. “La sera del 31 dicembre 1918 Grosz, Herzefelde, Heartefield ,Erwin Piscator il grande drammaturgo si iscrissero al partito comunista tedesco, ricevendo la tessera dalle mani di Rosa Luxemburg”(7).
È stato lo stesso Grosz a esporre la ragione fondamentale della sua militanza rivoluzionaria: “La repubblica di Weimar era reazionaria. Formò i Freie Korps composti di ex militari, e massacrò migliaia di lavoratori: c’era il popolo e c’erano i fascisti. Io scelsi il popolo”(8). Due settimane dopo Grosz e i suoi compagni dadaisti videro il governo della Spd schiacciare la rivoluzione. La rivolta operaia di Berlino, passata alla storia come la settimana di sangue fu soffocata da 150 compagnie di Freie Korps, organizzate dal ministro della difesa, il socialdemocratico Noske. Opponendo mitragliatrici, lanciafiamme e mortai ai fucili e alle bombe a mano dei rivoltosi, i Freie Korps lasciarono sul terreno 100 operai morti e 400 feriti. Il 15 Gennaio Rosa Luxemburg e Karl Liebneckt colpiti da una taglia furono catturati dai Freie Korps e, poi, torturati e assassinati.





Note paragrafo 3
1)Francesco Ballo citato in L’arte del novecento dall’espressionismo al multimediale pag.233-34;
2) M. De Micheli, ivi pag. 233
3) Beth Irwin Lewis,in pag. 82 -83.
4) ivi pag. 74
5) ivi pag. 75
6) Raoul Haussmann cit. in “L’intellettuale dada contro la guerra” di Paola di Mauro in paragrafo-rivista di Letteratura & Immaginari (pdf)
7) ivi.
8)ivi pag 90
























4)La militanza rivoluzionaria di Grosz

La concezione dell’artista rivoluzionario viene formulata in maniera chiara nel Manifesto del consiglio centrale-rivoluzionario dadaistico (1919) in cui si chiede: “L’unione rivoluzionaria internazionale di tutti i creatori e degli uomini di cultura del mondo intero sul terreno del comunismo radicale e la lotta senza quartiere contro tutte le tendenze dei cosiddetti ‘lavoratori dello spirito’ contro lo spirito borghese e contro l’espressionismo”(1).
Per Grosz l’arte è Tendezkunst. Secondo la storica dell’arte B.I. Lewis Tendezkunst significa: “Arte di tendenza; arte che esprime opinioni politiche e postulati ideologici; arte politicamente impegnata; arte che è strumento di lotta di classe; arte che anche propaganda”(2).
Grosz e i suoi compagni si impadronirono del materialismo storico, la concezione della storia umana elaborata da Marx e da Engels. Secondo questa concezione le idee dominanti nella società sono le idee della classe dominante. Sono le strutture economiche che producono la sovrastruttura statale, politica, e culturale comprese la filosofia e la produzione artistica. L’arte non viene considerata come prodotto dello Spirito ma come determinata dai rapporti economici e sociali di classe. La prima presa di posizione di Grosz in cui si esponeva questa sua nuova concezione dell’arte fu pubblicata nella primavera del 1920.
Questa dichiarazione fu provocata da scontri armati di piazza, pochi giorni dopo il colpo di stato di Kapp, tra reparti dell’esercito tedesco e operai dimostranti. Ci furono 59 morti e 150 feriti. Alcune pallottole penetrarono in una galleria e danneggiarono un quadro di Rubens (La Betsabea) . Il pittore espressionista Oskar Kokoschka, al momento docente all’Accademia di Dresda lanciò un appello pubblico alla cittadinanza di Dresda affinché gli scontri politici di piazza fossero fatti altrove e non davanti alla galleria, perché mettevano a rischio le opere d’arte che lui definiva “Beni sacri” del popolo tedesco. Grosz e Heartefield pubblicarono un opuscolo, dal titolo Der kunst lump (L’arte è in pericolo), in cui attaccarono il pittore espressionista per la concezione spiritualista dell’arte che difendeva. Poiché non esistono traduzioni in italiani del testo dei due artisti rivoluzionari, ci rifacciamo alle esposizione che ne ha fatto B.I. Lewis nel suo libro su Grosz. La concezione dell’arte come prodotto dello Spirito era una mistificazione della borghesia per sbalordire le masse e tenerle sottomesse. I ‘beni sacri’ della nazione tedesca non erano né l’arte né la cultura ma la classe lavoratrice produttiva. Le opere d’arte dovevano essere valutate in termini umani, non in quanto oggetti per il profitto e la speculazione. Grosz ed Heartefield suggerivano di vendere le opere d’arte agli alleati per avere risorse finanziarie con cui comprare il pane per i lavoratori e le loro famiglie. L’appello di Kokoschka era un inganno nei confronti del proletariato col fine di mortificarne l’ardore rivoluzionario e spingerlo sotto il tallone della classe dominante. L’arte che aveva per oggetto la bellezza e lo spirito, considerate entità al di sopra della società divisa in classi era una mistificazione. La produzione artistica aveva come sua condizione il plusvalore che consentiva alla borghesia di soddisfare il suo desiderio di lusso estetico. L’unica arte era l’arte rivoluzionaria che serviva alla classe lavoratrice per rafforzare la sua coscienza nella lotta per rovesciare il capitalismo. ‘I beni sacri’ di cui parlava Kokoschka davano gioia alla borghesia per i profitti che potevano trarne e questo era l’unico diletto. Un arte nuova poteva nascere solo rovesciando i rapporti sociali capitalistici. In un'altra dichiarazione pubblicata il 16 agosto 1920 a Berlino, Grosz spiegava come le opere d’arte facessero parte del ciclo degli investimenti capitalistici. Criticava gli artisti plasmati dal culto del genio e da una concezione spiritualistica della loro creatività. Queste concezioni servivano solamente a renderli passibili di sfruttamento da parte di coloro che controllavano il mercato dell’arte e la cosiddetta esaltazione del valore spirituale serviva solamente per accrescere il valore più materialistico che ci fosse,il valore di mercato. L’artista con queste concezioni non era consapevole dello sfruttamento che subiva. Criticava l’ideologia dell’artista che pretendeva di essere eterno e di stare al di sopra della mischia e di essere il custode di una mistificazione storica. La loro liberazione poteva realizzarsi se i loro pennelli si trasformavano in armi. Nel momento in cui l’artista si considerava estraneo al di sopra della lotta di classe serviva la borghesia e rivolgeva a loro questa esortazione:“Uscite dalle vostre case anche se vi riesca difficile,smettetela col vostro isolamento individuale fate vostre le idee delle masse lavoratrici ed aiutatele nella lotta contro una società corrotta”(3). Per Grosz il massimo della creatività artistica ed intellettuale poteva realizzarsi solo con una rottura rivoluzionaria dell’artista con la classe borghese e respingendo la visione romantica dell’artista quale genio sofferente tutto preso dalla sua anima e dalle verità eterne. Ma la critica di Grosz e degli altri suoi compagni provenienti dall’area rivoluzionaria del dadaismo si concentrò anche contro gli artisti raccolti nel Novembergruppe, i cui leader erano Max Pechstein e Cesar Kleine. In questo gruppo fondato nel novembre del 1918 si raccolsero tutti gli artisti che avevano appoggiato la nascita della repubblica di Weimar. Ma progressivamente si erano adeguati al governo socialdemocratico senza criticarne il tradimento. Grosz nei suoi disegni critica i capi della socialdemocrazia, ritenendo che i vertici di questo partito fossero i responsabili della sconfitta della rivoluzione. I disegni contro i capi della socialdemocrazia venivano pubblicati nella rivista Die pleitte (La bancarotta). Nella copertina del secondo numero della rivista veniva rappresentato F.Ebert, laido, con l’aspetto di un capitalista, seduto in poltrona, con i piedi appoggiati a un soffice cuscino sigaro tra le dita monocolo, barbetta a punta alla Kaiser Guglielmo e corona imperiale in testa, sormontata da una croce storta. Un cameriere sussiegoso gli offre un enorme coppa di vino. Il titolo del disegno è “Dalla vita di un socialista”. Nelle pagine interne c’è il disegno intitolato “Spartaco in tribunale:chi è il mercenario?”. C’è un operaio in piedi, davanti a un generale prussiano, a un prete ed a un giudice. Nel terzo numero della rivista viene raffigurato Gustav Noske, l’organizzatore dei Corpi Liberi che avevano assassinato Rosa Luxemburg e Karl Liebneckt. Il titolo è “Prost Noske! Il proletariato è disarmato!”. Noske è rappresentato come un ufficiale prussiano che solleva graziosamente un bicchiere di vino e una sciabola insanguinata che infilza un bambino, in mezzo a un intrico di cadaveri e di filo spinato. L’uso macabro dei particolari sottolinea l’orrore dei corpi sventrati e smembrati delle donne cadute stringendosi al petto i bambini morti anche loro. Sempre nello stesso numero della rivista c’è un disegno che ha come tema la morte e gli ufficiali intitolato “I guaritori, ovvero la macchina abilitante”. Un medico dell’esercito esamina uno scheletro verminoso e lo dichiara idoneo al servizio attivo, in mezzo ad una raccolta di esemplari vari della casta militare: il generale, l’ufficiale di stato maggiore, il soldato semplice,il medico,ciascuno con la sua particolare espressione di arroganza e di stupidità. Nei primi del ’20 Grosz insieme a Karl Einstein pubblicò un altro giornale satirico dal titolo Der Bluttigie Ernst (il sanguinario Ernesto), si tratta del capo socialdemocratico. Questa rivista si proponeva di parlare alle masse e non agli ambienti artistici con lo scopo di identificare i mali dell’Europa e di combattere l’ideologia e il sistema economico e politico che avevano provocato la guerra. In ogni numero della rivista veniva attaccato un settore delle classi dominanti: i militaristi, i profittatori, i borghesi. Il terzo numero fu dedicato ai colpevoli. Nella copertina del terzo numero c’è un disegno dal titolo “Come dovrebbe i tribunali dello stato”. Vi è rappresentato un tribunale di lavoratori sormontato dal ritratto del capo della lega di Spartaco, Karl Liebneckt, che giudica un gruppo di ufficiali in monocolo, ammanettati. All’interno c’è uno dei disegni più famosi e taglienti di Grosz intitolato “Ruffiani della morte, vi sono ritratti i generali Ludendorff e Hidenburg su uno sfondo di prostitute le cui teste sono teschi coperti dal berretto militare. Nel gennaio del 1921 Grosz pubblicò una nuova dichiarazione intitolata “A proposito dei miei nuovi quadri”. In questa dichiarazione criticava “la vecchia truffa della sublimità e della santità dell’arte”(4). Grosz in questo testo afferma che il vero artista rivoluzionario deve respingere i modelli del passato ma allo stesso tempo se ne deve appropriare. Riconosce esplicitamente che l’ispirazione per questo nuovo stile gli veniva dai pittori metafisici italiani De Chirico e Carlo Carrà. La rielaborazione fatta dal pittore rivoluzionario consiste nell’utilizzarne le forme: strade rettangolari che definivano uno spazio duro, vuoto, una prospettiva disciplinata, edifici opprimenti, marionette sovrapposte.
Quando Stalin prese il potere cancellò la visione libera e indipendente dell’arte e la sostituì con il cosiddetto realismo socialista che non era altro che la glorificazione della burocrazia privilegiata e la repressione di qualsiasi sperimentazione libera. Sotto Stalin l’arte e la letteratura vennero, messe al servizio della regnante casta burocratica. Nei confronti di questa concezione del realismo socialista che inizia a manifestarsi dopo la morte di Lenin e l’isolamento e l’esilio di Trosky , Grosz prenderà posizione. I suoi critici ispirati dal burocratismo stalinista pretendevano che il lavoratore venisse rappresentato quale sarebbe potuto essere in uno stato in cui la classe operaia avesse trionfato. A costoro Grosz rispose così: “Non oso immaginare il proletariato diversamente da come lo disegno io. Lo vedo ancora oppresso, ancora all’ultimo scalino della scala sociale, mal vestito, mal pagato, in tuguri tetri e puzzolenti e spesso animato da un desiderio boeghese di salire in alto…Aiutare il lavoratore a capire la propria oppressione e sofferenza; fargli apertamente riconoscere la sua povertà e la sua servitù; svegliarlo alla coscienza di sé; richiamarlo alla lotta di classe: questo è lo scopo dell’arte, e io servo questo scopo”(5).
Note paragrafo 4
1) Silvia in Shlenstedt-Il paesaggio letterario nella Repubblica di Weimar (pdf)
2)B.I. Lewis George Grosz-arte e politica nella repubblica di Weimar pag.122
3)Ivi 128
4)Ivi pag 129
5) B.I. Lewis George Grosz-arte e politica nella repubblica di Weimar pag 246







5) La repressione giudiziaria contro Grosz
Grosz era odiato da tutte le forze reazionarie tedesche che lo definivano “pittore dell’orrore”. Questo epiteto paradossalmente era un riconoscimento di ciò che significava la produzione artistica di Grosz: mettere a nudo l’irrazionalità della società capitalistica nella sua catastrofe. I critici favorevoli a Grosz sostenevano che l’artista insegnava a vedere l’incubo dell’esistenza quotidiana e costringeva i suoi contemporanei a vedere la realtà oggettiva e non ad abbellirla. I critici favorevoli comprendevano che Grosz intendeva usare la sua arte come un arma per formare, attraverso le emozioni che suscitava, la coscienza che questo mondo produceva solo orrore e doveva essere rovesciato. La sua produzione ebbe uno straordinario successo, oltre ai mercanti e alle gallerie e ai musei di tutta la Germania compravano ed esponevano i suoi disegni e acquerelli.
La repressione degli apparati dei giudiziari tedeschi si accanì contro Grosz per tutto il decennio 1920-1930. Il primo processo che subì fu intentato per la Intenartionale Dada Messe del luglio-agosto 1920. Gli avvocati di Grosz lo difesero sollevando la questione della libertà artistica e del valore delle opere di Grosz e degli altri dadaisti rivoluzionari, ma i giudici condannarono Grosz e gli altri ad una multa sostanziosa. Nel 1923 i tribunali intervennero contro Grosz ordinando il sequestro di tutte le copie invendute di “Ecce Homo”. Ecce homo è una raccolta di disegni, pubblicata alla fine del 1922, che smascherava la vita privata delle classi dominanti ed in particolare il loro erotismo: metteva a nudo l’impulso sessuale nel bordello e nella camera da letto. Sono rappresentate tutte le attività sessuali naturali e perverse. ‘Zietti’, pedofili e lascivi che adocchiano le nipotine (Risveglio di primavera), assassini sessuali che giocano a carte o si lavano le mani dopo aver straziato le loro vittime (Delitto sessuale in Ackerstrasse), profittatori, prostitute, gente a caccia di piacere che si contrapponevano ai mendicanti e ai piccoli spacciatori di droga ( Di notte), in “Mondo borghese” rappresenta tutti i vizzi sessuali intorno a un mercante di schiave bianche. In un altro intitolato “Monumento a Richard Wagner” rappresentato come un laido panciuto borghese che in una mano tiene una lancia e in testa un elmo con le corna, senza mutande e senza pantaloni di fronte a un giovinetta e a una donna matura nude, era la messa a nudo di un icona della cultura delle classi dominanti tedesche. Il 16 febbraio 1924 fu processato a Berlino. Il giudice lo interrogò su ciascun disegno cercando di farli ammettere che aveva superato i limiti della decenza. Ma Grosz non gli dette nessuna soddisfazione e rispose al giudice dicendo che i suoi disegni intendevano dire: “Guarda come sono gli uomini”. L’artista rivoluzionario fu appoggiato da tutto il partito comunista, da tutti gli artisti di sinistra e da personalità istituzionali quali Max Liebermann, presidente dell’Accademia d’arte di Berlino. Fu multato per 6.000 marchi. Nel 1928, la polizia trasmise al tribunale di Berlino una denuncia anonima che accusava Grosz di aver oltraggiato la chiesa e la persona di Cristo con i disegni della raccolta Hintergrunt. In “L’effusione dello spirito santo” rappresenta un pastore protestante che parla dal pulpito e dalla sua bocca escono proiettili, fucili cannoni e baionette, sotto i fedeli che si grattano, giocano a carte di nascosto, insomma un ritratto del bigottismo ipocrita. In “Siate sottomessi alla autorità” rappresenta due alti ufficiali tedeschi e dietro di loro uno scheletrico pastore luterano che tiene in mano una frusta e un altro pastore con un crocifisso che guarda in alto. Il 20 dicembre del 1928 fu processato di nuovo e multato insieme ad Herzefelde per 200 franchi. Ricorse in appello e i giudici riconobbero che il disegno Cristo con la maschera antigas era la rappresentazione di Cristo stesso vittima della guerra. I giudici sottolinearono che Grosz non aveva bestemmiato ma aveva parlato a milioni di uomini che detestavano la guerra. Il verdetto della corte d’appello mandò su tutte le furie gli ambienti reazionari e l’accusa presentò ricorso. Il nuovo processo fu un vero e proprio campo di battaglia sulle varie concezioni dell’arte del pacifismo e della guerra,un numero eccezionale di poliziotti circondava il tribunale ed era presente nell’aula. Il processo si concluse con lo stesso verdetto di quello precedente ma la corte suprema fece sequestrare tutti i disegni.
Il 12 gennaio 1933 scappò dalla Germania negli Stati Uniti d’America e trovò un lavoro di insegnamento a New York. L’8 marzo 1933 veniva privato della cittadinanza tedesca e rimase sgomento per l’annientamento del partito comunista tedesco. Scapparono anche i suoi compagni dadaisti rivoluzionari. L’involuzione burocratico totalitaria dell’URSS produsse lo stesso atteggiamento che si ebbe in Germania col nazismo nei confronti del avanguardie artistiche. Se Hitler dichiarò l’arte delle avanguardie “degenerata”, Stalin nel 1932 decretò lo scioglimento delle avanguardie con la motivazione che le loro opere non erano capite dal popolo. Niente di più falso e lo testimonia, secondo me, il giudizio che dette di Grosz, nel luglio del 1931, Alfred Durus, minatore della Ruhr, dirigente di un consiglio operaio durante la rivoluzione del 1919:
“C’è l’artista George Grosz; noi siamo tutti per lui. Nelle sue caricature ha, mostrato il volto delle classi dominanti: guarda, ecco come sono veramente i tuoi sfruttatori, i padroni. Noi vogliamo la sua Tendenz; il proletariato più apatico si muoverà, vedendo questi disegni, l’odio si sveglierà anche nella gente più inerti. Si, ecco di che cosa abbiamo bisogno, odio senza limiti, odio per gli sfruttatori e i quadri di Grosz spirano un odio che si comunica a tutti e chiama all’azione. Solo questi artisti significano qualcosa per noi”(1).
Geroge Grosz morì nel 16 luglio 1959. Durante la sua esistenza negli stati uniti si allontanò dalla politica rivoluzionaria attiva, ma nelle sue opere conserva sempre quello spirito critico del dadaismo rivoluzionario che ancora oggi, in questi tempi burrascosi, ha tanto da insegnare alle nuove generazioni di pittori e di artisti.










Note paragrafo 5
1)Ivi pag. 265

Riccardo Blasco Camboni

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