Teoria

George Grosz pittore rivoluzionario (prima parte)

3 Giugno 2014

1)Arte e Rivoluzione

a) L’arte come strumento della rivoluzione
Il pittore è saggista Marco Fidolini individua nella rottura realizzata dalla rivoluzione francese le condizioni storiche fondamentali che determineranno nel corso di quasi due secoli quegli sconvolgimenti artistici che costituiranno la linfa del movimento del Dadaismo berlinese: “il processo di rinnovamento artistico avviato nel corso delle tempeste politico-sociali della Francia rivoluzionaria , che aveva già sconvolto radicalmente il mondo dell’arte e le sue tradizionali certezze influenzando il pensiero di tutti gli artisti europei , appare inarrestabile anche sul finire dell’ottocento e rinvigorito da una nuova e impressionante accelerazione culturale”(1).
Questo grande evento di rottura con la storia precedente è alla base della libertà dell’artista e più in generale dell’intellettuale. Senza questa libertà è inconcepibile tutta la produzione artistica del XIX secolo e del XX secolo. Sono state le battaglie degli illuministi a preparare le concezioni che alimenteranno l’arte dei pittori, come David, che rivoluzioneranno l’arte e, contemporaneamente, faranno diventare l’arte uno strumento della rivoluzione. Quando George Grozs , nella sua Autobiografia, scrive, riflettendo sul lavoro degli anni di Weimar, di aver ritenuto inutile qualsiasi forma d’arte che non fosse stata al servizio della lotta politica come un arma, si colloca in questa tradizione che ispirerà l’azione degli uomini e delle donne nella rivoluzione francese. Gli illuministi si battevano per il riconoscimento dei diritti d’autore, in quanto questo era l’unico modo per garantire all’artista, all’intellettuale la propria indipendenza economica senza la quale non ci può essere la libertà di produzione artistica. La scelta di partecipare alla lotta politica fatta da Grozs e dai dadaisti berlinesi nel Rote Gruppe (Gruppo Rosso) e poi con la Assoziation Revolutionaarer Bildender Kunstler Deutschands (Associazione degli Artisti Figurativi Rivoluzionari tedeschi) si colloca in questa tradizione.
Jacques Louis David rompe con lo scuola del Roccocò perché animato dalla critica intellettuale e morale nei confronti del ancien régime. Per lui il ritorno al classicismo ha un significato rivoluzionario in quanto quello stile si prestava maggiormente ad esprimere i valori che ispiravano l’azione rivoluzionaria repubblicana. David milita da dirigente nel partito dei giacobini e collaborò con Robespierre e Marat di cui dipinse morte. Deputato all’assemblea costituente si impegnò a sopprimere l’antica Accademia, per sostituirla con la Comune des Arts e successivamente con la Societé populaire et repubblicaine des Arts che divenne l’organo ufficiale degli artisti rivoluzionari. Fu l’organizzatore della propaganda artistica, della didattica delle scuole d’arte e dell’esposizioni e dei musei. Rimase fedele alle sue posizioni rivoluzionarie e morì in esilio, rifiutando l’invito dei Borboni ritornati al potere dopo la sconfitta di Napoleone.
In l’Arte del ‘900 di Lara – Vinca Masini fra gli ispiratori di Grosz e dei dadaisti rivoluzionari berlinesi annovera Gustave Courbet. Il grande pittore realista appena ventenne, alla fine del 1839, quando giunse a Parigi frequentò scrittori e militanti socialisti che si riunivano alla Brasserie Andler, definita in seguito in seguito il tempio del realismo. Courbet riconobbe in modo esplicito il rapporto fra la sua arte e la rivoluzione del 1848 : “senza la Rivoluzione di febbraio forse non si sarebbe mai vista la mia pittura….Mi si chiama il pittore realista: accetto ben volentieri questa denominazione e sono, non soltanto socialista, ma ben oltre, democratico e repubblicano in una parola partigiano di ogni rivoluzione, e soprattutto realista perché realista significa amico sincero della verità vera….Essere in grado di tradurre i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo la mia opinione e il mio giudizio, essere non solo un pittore ma anche un uomo ,in una parola fare del’arte vivente questo è il mio scopo”.
Lo stesso concetto e la stessa intenzione la ritroviamo nel libro di Grosz e Herzfelde, Die Kunst ist in Gerfahr (L’arte è in pericolo) : “Riassumiamo:senso,divenire e storia dell’arte stanno in diretta relazione con senso, divenire e storia della società. Premessa della conoscenza del giudizio anche dell’arte della nostra epoca e, di conseguenza, uno spirito rivolto a una conoscenza dei fatti e dei nessi del vivere reale con tutte le sue scosse e tensioni”. Con il termine realista Courbet non intendeva semplicemente una teoria animata dall’intento di descrivere la vita quale effettivamente è, ma quello di cogliere la verità e le contraddizioni della società. Durante la Comune di Parigi del 1871, Courbet fu delegato speciale alle belle arti e membro della commissione della pubblica istruzione. Per Courbet bisognava da un lato democratizzare l’arte e dall’altro bisognava far rientrare il popolo nell’arte. Courbet nel 1861 aprì una propria scuola, in aperta polemica con l’accademia e le altre scuole d’arte ufficiali. Ai suoi pochi allievi insegnava che: “non ci possono essere scuole: ci sono solo pittori”. Courbet era del parere che l’arte non potesse essere appresa meccanicamente, ma, al contrario, essa “è tutta individuale e che ,per ciascun artista non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione”. Ai suoi allievi Courbet non impartiva mai lezioni teoriche, ma preferiva piuttosto che gli stessero accanto mentre dipingeva, per apprendere i segreti del mestiere, come avveniva nelle botteghe medioevali. Non a caso il motto con il quale l’artista amava pungolare ironicamente gli allievi era soprattutto questo: “Fai quello che vedi, che senti, che vuoi”. Il richiamo di Courbet al bottega dell’artigiano, alla manualità del pittore la ritroveremo nella concezione di Grosz che esaltò l’obbiettività e la chiarezza dei disegni tecnici: “lo sviluppo futuro della pittura si avvererà nei laboratori, nell’artigianato puro non in un sacro tempio delle arti. Dipingere è un lavoro manuale”. E’ evidente la polemica di Grosz con la concezione dell’artista bohemien e l’esaltazione dell’artista –artigiano.

b)La rivoluzione nella pittura

La produzione pittorica, come in ogni disciplina artistica, può essere compresa a pieno se viene considerata in relazione alle tecniche del proprio tempo. La rivoluzione nella pittura avviata dagli impressionisti è stata determinata dalla macchina fotografica. Con la fotografia lo sguardo e la percezione mutano: la fotografia, e successivamente la cinematografia, sostituiscono il pittore nei ritratti, nelle vedute paesaggistiche e cittadine, nelle cronache quotidiane. Questa sostituzione per gli impressionisti significherà cogliere l’occasione per concentrarsi su ciò che è proprio della pittura: il colore, la struttura del segno, la ricerca di come rappresentare ciò che si vede. La luce e il colore sono le componenti della visione che interessano il pittore impressionista ed il quadro diventa una pura superficie, una realtà differente, ma sempre reale, di quella immediatamente naturale. La materia di questa nuova realtà è il colore. L’immagine è rappresentata nel flusso della percezione del riflesso luminoso. Lo sforzo è quello di rappresentare la percezione allo stato puro. La mano non deve raffigurare le cose ma la luce sulle cose. La novità dell'Impressionismo consiste nell'aver privilegiato un elemento della natura, il più impalpabile, ma non per questo il meno reale: la luce che diviene protagonista incontrastata del quadro. Gli oggetti appaiono ai nostri occhi immersi nella luce e nell'aria, non staccati o isolati gli uni dagli altri, ma come fusi in un amalgama di vibrazioni luminose. Per rendere nella sua immediatezza questa sensazione gli impressionisti hanno escluso dalla loro tavolozza le terre, gli ocra, i neri, utilizzando solo i sette colori del prisma. Per l'impressionista la pittura tende a restituire alla percezione tutta l'originalità e l’integrità iniziale. L'atmosfera cromatica è resa nel quadro dal rapporto tra colore primario e colore complementare; la vibrazione luminosa si realizza con la pennellata “a virgola” e nell'interruzione continua della stesura che da compatta si fa frastagliata, punteggiata da note di colore puro e squillante. Forma e luce si condizionano reciprocamente. Esaltati dalla luce, i colori, pur ricollegandosi alla sensazione immediata, assumono un valore autonomo.
La rivoluzione nell’arte avviata dagli impressionisti, viene approfondita da un loro compagno di strada, Paul Cézanne. Il punto di partenza è il medesimo: il contatto diretto con la natura e il superamento della rappresentazione di essa come qualcosa di immobile. Ma Cézanne non vuole riprodurre l’apparenza della natura, ma coglierne la sostanza: “ Tutto ciò che vediamo si disperde, se ne va. La natura è sempre la stessa, ma nulla rimane in lei di ciò che ci appare. L’arte deve dare il brivido della sua perennità. Dobbiamo farla gustare come eterna” (2). Per rendere quest’eternità della natura ricerca i modi di una pittura che vada oltre l’istantaneità della percezione impressionistica per individuare l’essenza delle cose. Questi modi Cézanne li troverà nella costituzione degli oggetti, della natura e nello spazio attraverso il colore: “ disegno e colore non sono affatto separati, dal momento che dipingi, disegni”(3). Gli storici della pittura ritengono che Cèzanne, attraverso l’unità di disegno e colore attuò una rivoluzione rispetto alla composizione spaziale tradizionale, in cui lo spazio tridimensionale preesisteva agli oggetti da rappresentare e questi vi venivano collocati secondo le leggi della prospettiva rinascimentale. Sono gli oggetti, i corpi, i paesaggi dipinti a produrre lo spazio. Per questa ragione secondo la storica dell’arte francese Lilian Brion Guerry la produzione di Cèzanne è “all’origine di tutta la pittura moderna, dal Cubismo, all’Espressionismo, all’Astrattismo”.
Nella produzione di George Grosz dal 1913 al 1933 si combinano i due processi rivoluzionari che mi sono sforzato di descrivere: quello dell’artista che sceglie il campo della rivoluzione sociale e politica e quello nello specifico della pittura che rompe con una tradizione secolare.























Note capitolo 1
1)Marco Fidolini I realismi della nuova oggettività,www.fidolini.it

2) In “Cézanne”, La ricerca dell’assoluto pag. 32, Maria Teresa Benedetti, Le grandi monografie, Electa editore

3) ivi pag. 32


2) Grosz nella Berlino espressionista
La Germania dopo l’unificazione avvenuta nel 1871, in seguito alla guerra franco-prussiana, accelerò lo sviluppo economico e tecnico diventando una grande potenza industriale direttamente competitiva con l’Inghilterra. Nel 1871 vi erano oltre 21.000 Km di linee ferroviarie, nel 1913 si raggiunsero i 63.000 km. Il traffico delle merci passò da 27 milioni di tonnellate negli anni ’40 dell’800 a 40 miliardi di tonnellate alla vigilia della guerra. Nel 1882 gli addetti all’agricoltura con i loro familiari rappresentavano il 41,6% della popolazione, mentre solo il 34,8% della popolazione era occupato dall’industria. Nel 1907 la popolazione occupata nell’agricoltura era appena il 28,4%, nell’industria invece salì al 42,2%.
Nel settore industriale si attuò una velocissima concentrazione in grandi imprese, la percentuale di addetti in imprese con oltre 1000 dipendenti passò dal 7,2% del 1882 al 13,7% del 1907.Ai primi posti della graduatoria troviamo l’impresa mineraria Gelsenkirchener Bergwerke, che nel 1913 aveva 80.000 operai,mentre la Krupp(siderurgia) ne contava 70.000.
Le grandi imprese siderurgiche(Krupp, Thyssen, Klockner, Kirdoff) controllavano tutto il ciclo produttivo che andava dalla estrazione del carbone alla produzione di un gran numero di prodotti finiti. Nel settore elettrico la Siemens e la Aeg assunsero in pochi anni un ruolo pionieristico in campo internazionale, grazie anche a forti investimenti tecnologici. Prima della guerra l’industria tedesca copriva quasi il 35% della produzione mondiale mentre gli USA coprivano solo il 28,9%. L’altro settore di punta del industria tedesca era la chimica anche in questo caso l produzione è altamente concentrata in tre grandi imprese (Bayer, Basf , Hoechst). Le industrie chimico tedesche davano lavoro nei loro laboratori a circa 4.000 chimici laureati, mentre quelle inglesi ne occupavano 1500. Nel 1913 la chimica tedesca aveva un fatturato annuo di 2,4 miliardi di marchi, superando l’industria chimica statunitense che fatturava 1,5 miliardi. Il mercato mondiale dei coloranti sintetici era per metà coperto dai prodotti tedeschi. La scienza tedesca era all’avanguardia nella fisica : la teoria della relatività e la meccanica quantistica (la teoria meccanica delle particelle sub-nucleari) sono un prodotto di questo straordinario sviluppo tecnico scientifico. Ciò è dovuto anche al sistema dell’istruzione che favorisce quella tecnico scientifica. Alla fine del’8oo e nei primi del ‘900 la Germania contava 26 Università, 9 grandi Politecnici e 3 Accademie minerarie a livello universitario. Il costo degli studi non era elevato e vi erano facilitazioni per gli studenti provenienti dai ceti sociali meno privilegiati attraverso la concessione di un gran numero di borse di studio. In Germania esisteva un sistema di scuole di artigianato artistico e Herman Muthesius promosse il Deutscher Werkubund per mettere insieme le ragioni dell’arte con quelle dell’industria. Tra le scuole che vennero riformate secondo i nuovi principi si ricordano l’Accademia di Dussendorf di Peter Beherens, la scuola di artigianato artistico di Stoccarda di Otto Pankok,l’Accademia di Bretislavia di Hans Poelzig, l’Accademia di Berlino di Bruno Paul, la Scuola di artigianato di Weimar diretta da Henry van der Velde. Lo scopo dell'associazione era quello di saldare la cesura tra industria e arti applicate avvenuta nel corso del recente straordinario sviluppo economico, proponendo una nuova cultura del lavoro industriale nella quale, per ogni progetto, dovevano essere analizzati i costi di produzione, la qualità artigianale, le modalità ed i tempi di produzione, cercando di coniugarli con le politiche aziendali. Questo rapporto arte e tecnica dove, si vuole adeguare l’espressione
pittorica ai nuovi mezzi industriali avrà un influenza decisiva su Grosz e sugli artisti con i quali lui a vissuto e prodotto nel periodo dadaista e della nuova oggettività, infatti “esaltava l’obbiettività e la chiarezza dei disegni tecnici e si sforzava di ottenere lo stesso effetto” ( 1).
Lo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica, la trasformazione delle città tradizionali tedesche in città industriali con la vita meccanizzata ebbe una profonda influenza nella nascita di quella grande corrente dell’avanguardia del ‘900 che fu l’espressionismo. Con questa corrente pittorica e con le sue concezioni estetiche e filosofiche si confrontò il giovane Grozs quando “nel 1912 si trasferì a Berlino per studiare alla Kunstegewerbeschule, un istituto di arti e mestieri che si sforzava di allontanarsi dalla tradizionale tendenza accademica in cui l’accento veniva messo sulle forme d’arte pura per avvicinarsi invece alle forme di applicazione pratica commerciale”. Grosz aveva una decina d’anni in meno degli esponenti della prima generazione di artisti espressionisti. Frequentava il Cafè des Westens. “Il debito di Grosz nei confronti dell’espressionismo non consistette soltanto nelle influenze stilistiche che ebbe sulla sua arte. L’espressionismo può essere definito non soltanto come quel movimento artistico che cominciò con Die Brucke, ma anche come fenomeno culturale che si diffuse a tutte le arti della Germania nei primi decenni del secolo. Artisti, scrittori e intellettuali di interessi molto diversi si potevano tutti definire espressionisti, perché avevano in comune uno stato d’animo di rivolta contro le norme dominanti, contro l’autorità tradizionale e contro il passato. Peter Gay definisce l’espressionismo la rivolta dei figli contro i padri. Nella loro ribellione al positivismo e al razionalismo di una società industriale e materialistica, gli espressionisti vennero ad apprezzare l’emotività e l’irrazionalismo. Utilizzarono nella loro arte elementi erotici e sessuali, sia come tecnica d’urto sia per un esigenza di norme nuove. Delusi dall’ordinamento sociale vigente, aspiravano a un ordine completamente nuovo e a una nuova umanità. Il loro utopismo era vago e quel nuovo ordine era spesso pessimistico. Nondimeno, l’espressionismo fu un movimento rivoluzionario, anche se non programmatico né unificato, con obbiettivi ben definiti”(2).
La produzione artistica di Grosz privilegia i disegni con cui vuole esprimere in modo crudo il cinismo e l’alienazione della metropoli berlinese. Secondo Marco Fidolini, Grosz è stato influenzato da Ludwich Meidner che ha proprio come oggetto la realtà metropolitana e che costituisce l’anello di congiunzione tra l’espressionismo e i dadaisti berlinesi. L’arte di Grosz esprime il disgusto, il disprezzo e l’odio per una umanità bestiale. Lo stile tagliente dei suoi disegni è derivato dallo studio dei graffiti dei gabinetti pubblici e dei disegni infantili. I temi ripetuti sono quelli del delitto passionale gli emarginati, ambienti degradati, delinquenti, insomma gli ambienti di quel mondo sottoproletario che Bertold Brecht mise in scena nell’ “Opera da tre soldi”. Questa sua visione la espresse in modo chiaro senza alcuna illusion: “gli uomini sono maiali. Tutte le chiacchiere sull’etica sono sciocchezze, buone solo per gli stupidi. La vita non ha altro significato che la soddisfazione dell’appetito di cibo e di donne. Non esiste anima. Ciò che conta è avere delle necessità. L’uso dei gomiti è necessario, per quanto spiacevole”(3). Aderendo all’espressionismo Grosz esprime una visione antiborghese e i suoi disegni riprendono la “meccanizzazione geometrica dell’espressionismo che non è soltanto una tecnica o un trucco, ma la realtà mortificante dell’uomo disseccato e vuotato dalla burocrazia, dall’industrialismo e dal militarismo, ridotto a misero e grottesco fantoccio meccanico”.(4)
Con l’approssimarsi della guerra un numero crescente di scrittori e pittori espressionisti assunsero posizioni antibellicistiche e su Grosz si fece sentire l’antimilitarismo di Ludwig Meidner. Il grande pittore espressionista prefigurò in una serie di quadri “i futuri orrori bellici facendosi interprete visionario delle trepidanti incertezze che angosciavano l’ambiente culturale berlinese alla vigilia del primo conflitto mondiale”(5). Grosz studia l’isterismo bellicista costruito ad arte da i vertici militari e politici tedeschi. Il suo orientamento anti- borghese lo portò a provare repulsione per quelle masse che venivano ipnotizzate dalla propaganda bellicista. Questo suo orientamento trovò un intensa raffigurazione in un disegno che intitolò ‘Pandemonium agosto 1914’ il segno crudo, tagliente da vita a una moltitudine impazzita, malvagia, trascinata da una stupidità feroce. Sentiva che la guerra sarebbe diventata una gabbia per la sua libertà ed individualità. Nonostante questo atteggiamento ostile alla guerra entrò volontario, l’11 novembre 1914, nel reggimento granatieri della guardia imperiale prussiana. Nel fronte occidentale, dove rimase nell’inverno 1914 -1915, fu ricoverato in ospedale per febbre celebrale e per un attacco di dissenteria. I disegni di questo periodo rappresentano il caos ma non scene di battaglia, i temi del delitto e delle passioni sono rappresentati soldati mutilati, prostitute ammicanti, strade buie, e ufficiali grotteschi. Fu congedato definitivamente in quanto inabile al servizio l’11 maggio 1915. Rientrato a Berlino la produzione artistica di Grosz si arricchisce di temi legati alla realtà degli Stati Uniti. Di questo periodo sono i disegni intitolati Erste George Grosz Mappe. Della realtà americana ritrae gli ambienti metropolitani di gangster, di prostitute e di degradazione. La storica dell’arte Beth Irwin Lewis ha scritto che questi disegni americani sono “la corrispondente visiva delle prime opere teatrali di Bertold Brecth”. Nel 1916 Grosz conobbe il poeta e critico espressionista Theodor Daubler che lo introdusse negli ambienti artistici berlinesi in cui era prossima la rottura con l’espressionismo e da cui sarebbe nato il movimento Dada berlinese. In questo nuovo ambiente Grosz maturò quegli elementi intellettuali ed artistici che lo avrebbero portato a diventare un militante della rivoluzione dei Consigli in Germania.













Note capitolo 2
1) Beth Irwin Lewis , George Grosz-arte e politica nella repubblica Weimar
2) ivi,pag.34
3)ivi pag.36
4) Ladislao Mittner, L’espressionismo,pag.33
5)Marco Fidolini, Idealismi della Nuova Oggettività.

Riccardo Blasco Camboni

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