Interventi

Il modello Coop esportato al Jobs Act

11 Aprile 2014

Il Ddl lavoro Poletti-Renzi ci pone delle riflessioni. Tutto fa presumere che il modello coop sarà esportato al “modello Italia”. Cosa si cela dietro gli slogan elettorali di Renzi e Poletti?


Venerdì 4 aprile è arrivato in Senato il Ddl lavoro Poletti-Renzi. L’arrivo del DDL ci pone delle riflessioni alle quali non bisogna e non si deve fuggire. Il ministro del lavoro è Giuliano Poletti, presidente di Lega Coop. Nessuna sorpresa. Come scrive Bernando Caprotti , nel suo libro Falce e Carrello, tra PCI-DS ( e ora PD) “ c’è stata e continua a esistere una vera osmosi dirigenziale”.

Le coop, che da società mutualistiche sono diventate una oligarchia di potere con al vertice il gruppo Unipol-Sai, sono tristemente note per le situazioni di illegalità e di grave violazione dei diritti dei lavoratori: Turni massacranti, precariato diffuso, ricorso a esternalizzazioni ed appalti di ogni tipo e soprattutto stipendi da fame. Spesso nelle cooperative viene usata una clausola in base alla quale la società può deliberare una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi, esclusivamente nell’ipotesi di crisi aziendale (art. 6, comma 1, lett. d) della L. n. 142/2001). Negli ultimi anni, da nord a sud , si sono moltiplicate le rivolte all’interno di queste “ zone protetta”: da Rosarno alla Granarolo , dall’Ikea di Piacenza agli ipermercati del basso Lazio sta crollando la propaganda che ci aveva presentato le Coop come “ un’oasi di socialismo all’interno della società capitalista”.

Nel frattempo che scrivo studenti e lavoratori stanno bloccando l’ingresso di Palazzo Paleotti. Qui ha sede la storica biblioteca universitaria. L’alma mater , per la gestione di questo servizio, si è affidata a CoopService ( ma va??). Ebbene ai lavoratori, con il cambio d’appalto, è stato imposto un taglio del salario orario, oggi oscillante tra 2,80 e 3,27 euro l’ora, mentre la cooperativa in questione riceva dall’Ateneo bolognese 14,90 euro l’ora. Come se non bastasse , i lavoratori hanno perso anche la quattordicesima e una drastica riduzione degli scatti di anzianità (fino a 200 euro al mese). Non è finita: L’articolo 4 dell’ accordo dice che “la prestazione lavorativa e la conseguente presenza degli operatori in servizio, è modificabile”. Insomma, è l’istituzionalizzazione giuridica del precariato, d’altronde, come va dicendo il ministro Poletti : “ ll 70% dei nuovi avviamenti sul lavoro sono stati fatti con contratti a termine, e quindi bisogna farci i conti”.

Del nuovo ddl lavoro si conosce poco, ma tutto fa presumere che il modello coop sarà esportato al “modello Italia”. Non a caso imprenditori e cooperative hanno promosso il jobs act. Quest’ultimo è basato sulla liberalizzazione dei contratti. Secondo l’ex ministro Fornero la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato “ rappresenta una boccata di ossigeno per le imprese”. Cosa succede quando si liberalizzano i contratti ? Tito Boeri, sul lavoce.info dice che bisogna guardare al modello spagnolo del 1984, cioè quando il governo liberalizzò i contratti a tempo determinato eliminando il requisito che l’attività svolta nell’ambito di questo contratto dovesse avere natura temporanea e rendendo ammissibili ripetute proroghe dello stesso contratto. Effettivamente le aziende spagnolo risposero “ positivamente” al riforma, aumentando i contratti a tempo determinato, che passarono dal 10% degli anni ’80 al 30% dei primi anni ’90. Erroneamente si potrebbe pensare che diminuì la disoccupazione, ma nei fatti non fu così. Infatti : le persone entrate nel mercato del lavoro dopo la riforma hanno lavorato, a parità di altre condizioni, 313 giorni in meno nell’arco di 15 anni (21 giorni in meno all’anno).

Quale fu , invece , l’effetto sui salari ? gli individui che sono entrati nel mercato del lavoro spagnolo dopo la riforma soffrirono una riduzione delle retribuzioni dell’11,8%. La logica della riduzione dei salari, perseguita dal Governo Monti e dalla Troika, risiede nel dogma dell’ottenere più competitività esterna. Questo dogma in parte è vero. Infatti se si vuole ottenere competitività sono due le strade : o aumento degli investimenti o il taglio dei salari. Renzi, non potendo fare investimenti, ha scelto la seconda strada – quella del taglio dei salari. Teoricamente ,se le aziende facessero calare contemporaneamente i prezzi, questa strada risulterebbe efficace. Il problema è che, come ha dimostrato la stessa commissione europea, questo non avviene quasi mai. L’esempio della Grecia è emblematico in questo senso. I prezzi non sono calati, la domanda interna è crollata le imprese hanno chiuso e la disoccupazione è aumentata. Il 65 % del fatturato delle aziende italiane che hanno ottenuto maggiori performance dal punto di vista delle esportazioni è dato proprio dalla domanda interna. Potete immaginare cosa potrebbe succedere a queste aziende se diminuisse la domanda interna.

Alla luce di quanto esposto dovremmo iniziare a domandarci cosa si cela dietro gli slogan elettorali di Renzi e Poletti. Dovremmo iniziare a capire che il governo Renzi, così come il governo Monti e Letta , sono solo delle marionette nelle mani di qualcun altro. Occorre capire che le decisioni più importanti non vengono prese a Roma, ma a Bruxelles. E’ lì che si gioca la vera partita.

Francesco Migliore

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