Teoria

È davvero scomparsa la classe operaia?

Una breve riflessione sulla centralità del proletariato al giorno d'oggi

22 Febbraio 2014
operaifiat


Da qualche tempo a questa parte una certa sinistra, legata alla disobbedienza teorizzata da A. Negri e al pensiero post operaista in generale vorrebbe far credere che la classe operaia si sia estinta, proiettandoci in nuova epoca, dove al posto delle merci si producono per lo più simboli, segni e "affetti". L'epoca del biocapitalismo cognitario. E' davvero così? Il "lavoratore immateriale" ha sostituito il lavoratore classico a cui siamo abituati? Sono morte le classi e con esse la lotta di classe? La risposta a questi quesiti è un secco no.
L'analisi marxista della società smentisce in pieno queste farneticazioni, seppur dotte sempre tali rimangono.


Capitalismo e classe operaia: un binomio inscindibile

La nascita della classe operaia è strettamente legata alla nascita e allo sviluppo del sistema capitalistico.
Con la nascita di esso una grande massa di uomini, rimasti senza proprietà sono diventati operai salariati dal capitale. Nella prima fase dello sviluppo capitalistico si hanno due condizioni necessarie : l'accumulazione di capitale per mettere in piedi le imprese capitalistiche e la necessità di disporre di sufficiente manodopera per garantire la produzione.
Agli inizi del ventesimo secolo i grandi monopoli cominciano a controllare larga parte dell'economia nazionale dei vari paesi : inizia l'epoca dell'imperialismo.
Successivamente, i monopoli si svilupparono sempre più, controllando i vari settori economici a livello internazionale, anzi mondiale.
Nel modo di produzione capitalistico, lavoro salariato e capitale rappresentano il centro da cui tutto è deducibile. Ogni antagonismo sociale nasce dalla contraddizione tra il carattere sociale della produzione e quello privato dell'appropriazione. Tra proletariato e borghesia.
La contraddizione tra capitale e lavoro mai come oggi ha così tanto senso : mettendo a confronto il rapporto tra proprietà e forza-lavoro di oggi con le passate fasi capitalistiche ci si accorge che, a livello mondiale, il numero di chi dirige la produzione è estremamente diminuito.
Le circa mille imprese transnazionali più grandi controllano, direttamente o indirettamente il lavoro di più di un miliardo di persone.
Ma è lo stesso concetto di classe che risulta incompreso ai teorici della moltitudine, esse non sono una sovrastruttura politica, ma materializzano la divisione sociale del lavoro e i rapporti di proprietà all'interno di un sistema di produzione dominante.
Mai come oggi la produzione ha raggiunto così alti livelli di socializzazione. La proprietà dei mezzi di produzione è il più grande ostacolo al progresso umano.
Il proletariato non è scomparso e non può scomparire, perchè figlio del sistema capitalistico, e unico antagonista del sistema stesso. I germi che lo porteranno alla morte.
Se la storia è storia della lotta tra le classi, l'ultima lotta è quella del proletariato.


Il proletariato oggi.
Agric. Indus. Serv.
1950 67 15 18
1970 56 19 25
1980 53 20 27
1990 49 20 31
2000 46 20 34
2006 38.7 21.3 40
Fonte : ILO, relazioni sulle tendenze occupazionali globali.

Chi afferma che la classe operaia si è estinta lo fa anche sulla base di dati statistici. Le statistiche riguardanti i settori di occupazione ( un esempio è quella che viene qui mostrata) mostrano chiaramente che il settore terziario ha superato il primario e il secondario. Tuttavia ci sono delle discrepanze.
La classe operaia mondiale è notevolmente aumentata. Nel 1955 c'erano 100 milioni di operai nel mondo. Oggi ce ne sono all'incirca 200 milioni. Il doppio. Dislocati non più nel solo primo mondo, ma su scala planetaria. Mai come oggi il mondo è cosi "operaizzato".
Ma allora perchè nei paesi più ricchi il numero degli occupati nell'industria scende (di poco) e sale quello dei servizi?
Da una parte abbiamo le ristrutturazioni, la "tecnologizzazione" della produzione venuta col superamento del sistema fordista, dall'altra le delocalizzazioni funzionali al capitalismo per risparmiare notevolmente sulla forza-lavoro. Ma sale il livello di proletarizzazione del lavoro. I lavoratori dei servizi non sono imprenditori di se stessi, nè tecnici altamente qualificati. Sono a maggioranza giovani precari ( centralinisti, facchini, addetti alla pulizia) che vendono comunque la propria forza lavoro, anche se non contribuiscono direttamente ad accrescere il capitale. Vengono inseriti arbitrariamente in tali statistiche nel settore terziario, anche se con esso hanno poco a che vedere.
Le loro condizioni non hanno niente a che fare con quelle dei tecnici altamente specializzati, ma sono totalmente assimilabili a quelle della classe operaia produttrice di plusvalore.
Anche se soggetti assimilabili, per chiarezza, è giusto distinguere tra lavoro produttivo e improduttivo.
Il lavoro produttivo è quel lavoro che scambiandosi direttamente con il denaro in quanto capitale, riproduce il valore della forza-lavoro per l'operaio e il plusvalore per il capitalista.
Il lavoro improduttivo sono quelle mansioni che si scambiano con il reddito e che sono consumo di esso.
Le mansioni di codesti lavoratori appaiono come merce, ma per il compratore sono valore d'uso che egli scambia con il reddito. Come abbiamo già detto non producendo merci non aumentano direttamente il capitale, ma il loro lavoro è funzionale alla struttura capitalistica, quindi parliamo di oppressione economica. Questa è la maggior parte dei lavoratori del cosiddetto settore dei servizi.
Si voglia o no rappresentano una parte, consistente e in crescita, del proletariato.


Il tramonto del fordismo: il sistema Toyota

La crisi di ciclo che ha scosso il capitale negli anni settanta ha portato il capitalismo a cambiare il proprio schema organizzativo della produzione. Già dagli anni 50 si fa strada il sistema Toyota.
Questa nuova diavoleria ha peggiorato in maniera indiscutibile non solo le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, ma ha anche indebolito la loro capacità di organizzazione.
Attraverso l'introduzione di sofisticate tecnologie, il capitale è riuscito a superare la rigidità produttiva tipica della catena di montaggio. Risponde in tempo reale alle richieste del mercato, elimina le scorte ferme in magazzino, riducendo i costi e modificando il prodotto in funzione della richiesta del mercato di riferimento. Con l'introduzione dell'informatica il capitalismo ha la possibilità di spostare interi spezzoni di produzione da una parte all'altra del pianeta, provocando nella sfera sociale l'espulsione di molti lavoratori dalle sfere produttive, il che vuol dire disoccupazione. E' capace di abbassare notevolmente il prezzo della forza-lavoro attraverso il ricatto della delocalizzazione e sempre attraverso di esso aumenta lo sfruttamento prolungando, in molte circostanze, l'orario di lavoro ( "straordinari necessari per non chiudere").
Nello stesso tempo è capace anche di ridurre le masse a lavoro nelle fabbriche, in nome di ristrutturazioni sempre più tecnologiche.
Nonostante ciò è impossibile eliminare l'apporto umano dalla produzione, semplicemente perchè l'automazione è un'utopia. Le sperimentazioni per eliminare, addirittura del tutto il lavoro vivo si sono dimostrate fallaci. La scarsa qualità del prodotto e le fermate causate da inconvenienti non prevedibili a priori
sono controproducenti per il capitale, il quale tra l'altro ha sempre bisogno di nutrirsi di lavoro non retribuito per valorizzarsi.
Al centro della produzione odierna c'è ancora il proletariato. La teoria del valore non è superata affatto, basterebbe soltanto vedere come il capitalismo si ingegna per rendere inoffensivo il proletariato. Attaccando in primo luogo le sue organizzazioni di lotta.
I soli che possono distruggere il capitalismo sono i proletari, non i fantomatici lavoratori immateriali, categoria priva di senso e razionalità, esistente soltanto nella mente di qualche "professore".

Lorenzo Terrinoni

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