Interventi

FORME DI RAPPRESENTANZA E AUTORITARISMO

IL RESTRINGIMENTO DELLE FORME DI RAPPRESENTANZA COME ELEMENTO DI EMERSIONE DI UN AUTORITARISMO STRISCIANTE IN ITALIA

29 Gennaio 2014
pesci


Il progetto di riforma elettorale in discussione alla camera in queste ore e la firma al testo unico sulla rappresentanza sindacale sono, come è giusto, all'ordine del giorno del dibattito in vari ambienti della sinistra conflittuale (in merito al quale vi rimandiamo qui e qui).
Queste due vere e proprie controriforme non spuntano certo dal nulla, ma arrivano sull'onda di un lungo percorso e si collocano con cinica precisione all'interno della fase. Da più di vent'anni a questa parte si è messo in moto un lento processo volto ad erodere gli spazi di libertà, di agibilità politica, le conquiste salariali e sociali, patrimonio ereditario di un grande ciclo di lotte che ha avuto il suo apice tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima dei settanta. Se però fino ad una decina d'anni fa si registrava ancora una capacità reattiva del tessuto lavorativo italiano e delle sue dirigenze riformiste (ad esempio la grande mobilitazione in difesa dell'aggressione del secondo governo Berlusconi all'Articolo 18), con il giro di boa del 2008 il dato che ci viene consegnato è nudo e crudo: alla massima crisi del capitalismo su scala internazionale, che si accompagna quindi a una recrudescenza e ad una accelerazione dell'aggressione padronale sulla classe operaia, corrisponde la più grande crisi storica del movimento operaio e della sua direzione, incapaci di reagire in modo significativo e organizzato ad una lotta di classe che allo stato attuale è quasi dovunque o passivamente accettata o subita a prezzo di dolorose sconfitte.
La cinghia di trasmissione che lega le classi oppresse agli interessi dei padroni si fa via via più corta.

La doppia morsa della riforma elettorale renziana e del testo unico sulla rappresentanza è l'apice di un percorso che segna un salto di qualità nella lotta di classe esercitata dal versante padronale. Il sacrificio di ogni parvenza, seppur formale, di ogni rappresentanza sociale, sull'altare della governabilità è la punta dell'Iceberg di un più ampio allargamento degli strumenti di repressione sociale e di esclusione, fosse anche solo nel ruolo di osservatori o di tribuni critici, di rappresentanti delle classi oppresse da ogni processo decisionale. Lo stesso linguaggio che Renzi ha iniziato ad usare sempre più frequentemente, in particolare il continuo richiamo all'investitura popolare delle primarie e la delegittimazione di chiunque non sia passato dalla medesima vidimazione, è indicativo di quello che è un reale, ulteriore, slittamento a destra del PD. Se le precedenti incarnazioni del centrosinistra si erano già contraddistinte per subordinazione e asservimento ai dettami confindustriali, come largamente testimoniato dai governi Prodi, D'Alema e Amato, il PD è imploso sotto il peso delle sue contraddizioni con l'ascesa dei governi Monti prima e Letta poi, in cui si è consumato il delitto perfetto, ovvero il governo assieme a Berlusconi. Lo spettro della Grecia, il terrore di un blocco istituzionale, come nei giorni successivi alle elezioni dello scorso Febbraio, hanno prima spinto il PD alla riconferma delle larghe intese, per poi consegnarlo nelle mani di un Renzi trionfante e plenipotenziario (o quasi). Da un punto di vista di amministrazione borghese delle cose dello Stato, questo processo si unisce alla tradizionale tendenza berlusconiana all'autoritarismo, all'accentramento del potere nelle mani dell'uomo forte, al Presidenzialismo, ai governi a colpi di decreti legge da un lato e al populismo reazionario di Grillo e Casaleggio, che reggono in modo diarchico le vicende interne al M5S e prospettano una repubblica plebiscitaria in cui l'esercizio democratico si esaurisce nel click su di un banner su un sito internet.

Sul versante sindacale la caporetto rischia di diventare ancor più catastrofica. Il cedimento della dirigenza FIOM alla Camusso e alla burocrazia CGIL ha portato alla sottoscrizione da parte di Landini all’accordo del 31 Maggio 2013, che si è tradotto poi nel testo unico sulla rappresentanza del 10 Gennaio 2014. Su questo testo Landini ha improvvisamente riaperto lo scontro con la Camusso, sebbene avesse già rinunciato a presentare un documento alternativo in sede di Congresso della CGIL, limitandosi alla presentazione di alcuni emendamenti alla posizione della dirigenza e lasciando alla sola minoranza “Il sindacato è un’altra cosa” il peso di una battaglia congressuale. La riapertura dello scontro verte principalmente sulla questione spinosa dell’arbitrato confederale, una norma del testo che di fatto esautora ogni possibilità di autonomia della FIOM rispetto alla CGIL. In ultima analisi sul terreno della rappresentanza sindacale si gioca lo scontro tra due opzioni alternative; quella che passa dall’accordo confindustriale con CGIL-CISL-UIL e che punta a mantenere il baricentro tutto interno alle logiche delle burocrazie sindacali e quella che in modo del tutto opposto mira al coinvolgimento di Renzi come strumento di scavalcamento della Camusso da parte di Landini. Quale che sia la soluzione della dinamica in corso, dal versante padronale e burocratico non può venire niente di buono per i lavoratori e il testo unico sulla rappresentanza sindacale rischia di essere un punto di non ritorno, che colpisce duramente i rapporti reali tra capitale e lavoro nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro.

A questi dati è utile aggiungere che, come riportato dall'Osservatorio sulla Repressione, sono ad oggi 17.000 le persone a processo per reati legati alle lotte sociali. Segno, anche questo, che la repressione preventiva di ogni forma di conflitto è attiva come mai e fa leva sui rapporti di forza vigenti per piegare e prostrare le avanguardie più combattive con la logica della violenza di Stato e della paura.

Tutto ciò ci consegna un quadro allarmante sul piano dell'agibilità politica. Il restringimento della rappresentanza politica e sindacale è un campanello d'allarme che non può essere sottovalutato solamente perchè "i partiti sono tutti uguali" o "i sindacati sono tutti servi". Questo è un ragionamento grossolano che rischia di rimuovere i reali pericoli a cui andiamo incontro.

IL QUI PRO QUO SULLA GOVERNABILITA'

Ogni discussione sulla legge elettorale si porta dietro l'argomento della cosiddetta governabilità.
Politicanti e organi d'informazione borghese riempiono pagine e televisioni discutendo della governabilità. Ma cosa significa governabilità? Dal punto di vista borghese e istituzionale la governabilità non è nient'altro se non la possibilità, per l'esecutivo, di legiferare in modo rapido, a forza di decreti, senza intromissioni da parte delle opposizioni sociali o banalmente istituzionali e senza che il parlamento rallenti in modo significativo il procedimento. Niente più di questo. La governabilità è l'avere mano libera, in ultima istanza, nel controllo delle leve economiche e sociali di uno Stato ed è esercitata in primo luogo dai padroni confindustriali, dagli industriali e dai banchieri. Nei giorni successivi alle elezioni di Febbraio, se è vero come è vero che c'era un impasse istituzionale nella formazione del governo da venire e sul nodo dell'elezione del Presidente della Repubblica, è anche vero che un esecutivo che garantiva le normali funzioni di amministrazione quotidiana era in carica e svolgeva i suoi compiti regolarmente. Ma un analisi di classe non può assumere acriticamente e ideologicamente il punto di vista dell'avversario su un tema così delicato come quello del governo. La governabilità e dunque l'ingovernabilità per noi sono altro. Il blocco di Genova da parte dei tranvieri in sciopero, con l'irruzione in consiglio comunale e il sindaco Doria fuori di sé ed incapace di ripristinare l'ordine, neppure con l'uso delle forze di polizia, sono un reale, piccolo, esempio di ingovernabilità. Solo chi confonde e diluisce il rapporto tra struttura e sovrastruttura può confondere un impasse istituzionale con una fase di ingovernabilità. L'ingovernabilità si da quando le cinghie di trasmissione che legano la classe oppressa a quella dominante si allentano e tutto il meccanismo di controllo sociale si inceppa. Gli strumenti più efficaci che la classe operaia conosce per mettere in crisi la governabilità della classe dominante sono gli scioperi generali ad oltranza, con blocchi della produzione e della vita ordinaria dello Stato, come con i blocchi dei mezzi di viabilità e di conseguenza con la sospensione dell'estrazione di plusvalore da parte della classe dominante su quella sfruttata. E' il danno economico ai padroni che causa l'ingovernabilità, non gli intoppi del sistema della democrazia parlamentare. Ancora una volta la lezione di Genova, nelle sue ristrette dimensioni e pur nella sua sconfitta, è esemplare: solo uscendo dalla legalità borghese lo sciopero può diventare efficace e di certo non rispettando la domesticazione ed il depotenziamento cui Confindustria, con la complicità dei sindacati concertativi l'hanno costretto. Da ciò ne discende che solo una vertenza generale del mondo del lavoro, organizzata in consigli o assemblee permanenti dei lavoratori e capace di creare una rete di solidarietà che si esprima in una cassa di resistenza, può mettere in campo la forza della classe lavoratrice contro la ferocia dell'aggressione padronale e riuscire dunque a strappare risultati, sia pure parziali, da un punto di vista sociale, sindacale o salariale che possono essere ottenute, si, solo a patto di causare una vera ingovernabilità.

ACCENDERE LE MICCE

La prospettiva di una vertenza generale appare ad oggi molto, troppo lontana. Su questo pesa, in particolare, l'eredità che la burocrazia della FIOM ha lasciato negli ultimi dieci anni: in particolare la scelta suicida di non costruire una vertenza generale, fosse pure soltanto dei lavoratori FIAT, contro i piani Marchionne. Da Termini Imerese, passando per Pomigliano e Mirafiori è stato scelto di difendersi stabilimento per stabilimento, mettendo in soffitta la pratica della mobilitazione generale; una scelta che ha portato ad una sconfitta epocale che ha segnato la storia recente del movimento operai ed in generale di tutto il mondo del lavoro in Italia, perchè oggi ci troviamo il "Modello Pomigliano" esteso a tutto il mondo del lavoro. La ricostruzione della possibilità stessa di una vertenza generale passa dalla costruzione e dal rilancio di un partito comunista costruito intorno all'asse fondamentale di un programma di rivoluzione e di indipendenza di classe. Questo punto è tanto più cruciale perchè, stante il continuo attacco padronale, la scintilla di lotte operaie è pronta ad esplodere in ogni momento e in qualunque luogo, come la vicenda dei tranvieri di Genova e di Firenze ha dimostrato. Stante l’imprevedibilità di fatto dell’evolversi delle dinamiche della lotta di classe a medio termine, il recente annuncio da parte del Ministro Saccomanni dell’inizio della svendita di Poste Italiane è solo uno degli innumerevoli esempi di terreni in cui una lotta di resistenza del mondo del lavoro può deflagrare. Se da un lato dunque, un nuovo radicamento di avanguardie rivoluzionarie nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche è il dato indispensabile, esistono in molti altri settori focolai per la costruzione di vertenze, di reti, di mobilitazioni generali e di fronti unici intorno a singoli obbiettivi o categorie.

UN ESEMPIO DI OCCASIONE PERSA....

Il Referendum sull'acqua è stato in quest'ottica una grande occasione sprecata. Che lo strumento referendario fosse un'arma sterile sull'argomento ci era ben chiaro da subito. La potenzialità risiedeva nel fatto che intorno alla lotta per l'acqua si fosse agglomerata una mobilitazione estesa a livello nazionale e dai numeri significativi, con la costruzione capillare di comitati referendari e proprio in quei comitati stava la potenzialità. Lì, come PCL, abbiamo portato avanti la parola d'ordine della trasformazione dei Comitati Referendari in Comitati di Lotta, capaci di dare sostanza politica a quella vertenza e di dialogare col movimento operaio, per organizzare una battaglia che andasse oltre al raggiungimento del mero risultato referendario. Parola d'ordine che, è nei fatti, non ha attecchito. Cionondimeno il referendum ha ottenuto la sua vittoria di Pirro, puntualmente travolta dalla crudezza dei reali rapporti di forza e dunque col la conclusione che il successo referendario è stato disatteso sostanzialmente ovunque, nella sua attuazione pratica. La costruzione postuma di comitati di obbedienza civile per tentare di costringere, in forma assistenziale e su base di vertenza individuale, lo Stato e i padroni dell'acqua ad obbedire all'esito della consultazione, misura l'epilogo della vicenda.

...E UN ESEMPIO DI OCCASIONE DA COGLIERE.

Il variegato arcipelago di realtà in lotta sulla questione abitativa ha la potenzialità di essere un focolaio per la costruzione di una vertenza generale a carattere nazionale. In primo luogo è necessaria una breve osservazione sugli aspetti classisti di questa battaglia. La travolgente crisi capitalistica che sta travolgendo gli stati dell'Europa meridionale con forza significativa, ha come portato una disoccupazione galoppante ad ogni fascia di età, raggiungendo i suoi picchi negli under-30 con percentuali superiori al 40%. A questo dato si deve unire il costante ricorso da parte di tutte le aziende, nessuna esclusa, alla cassa integrazione e alla mobilità, oltre che al licenziamento, cosa che colpisce sistematicamente gran parte delle avanguardie storiche. Una grossa fetta della classe passa il suo tempo molto più a casa e nei quartieri, che non sul posto di lavoro, perchè lì è stata ricacciata dal capitale in crisi a suon di licenziamenti e casse integrazione, lo stesso capitale che impone tagli al sociale e ai trasporti, di fatto tentando di isolare nei quartieri grandi masse di popolazione. Il crollo dei salari, oltre che l'assottigliamento degli ammortizzatori sociali (o la proposta di una loro controriforma, come contenuta nel Job Act di Renzi), sta rendendo la questione abitativa una vera e propria emergenza. Sono sempre di più gli sfratti esecutivi che vengono comminati in ogni quartiere popolare e non. Il caro-affitti ed il pagamento del mutuo stanno diventando vere e proprie emergenze sociali. Per le nuove generazioni inoltre si sta amplificando fenomeno della coabitazione familiare, cioè coppie di fatto o anche gruppi singoli che continuano a vivere in nuclei larghi all'interno di singoli appartamenti, per ammortizzare i costi di affitti e bollette. Intorno all'emergenza abitativa si sono costruiti nel corso degli anni numerosi comitati e molte realtà che operano sia come comitati anti-sfratto sia come assistenza legale. E' un dato significativo che una grossa percentuale dei processi in corso per reati legati alle lotte sociali siano legati all'emergenza abitativa. Il movimento di lotta per la casa è emerso nella giornata del 19 Ottobre 2013 come potenziale catalizzatore di significative forze anche di classe intorno ad una vertenza. Contro ogni previsione, la mobilitazione del 19 ha portato in piazza una piccola, ma significativa e combattiva porzione di classe lavoratrice, dai lavoratori della logistica fino alle avanguardie combattive di FIAT ed ILVA. Il movimento crescente intorno alla questione abitativa dunque è un'occasione da non perdere, i comitati di lotta per il diritto alla casa vanno sostenuti e rinforzati e costruiti la dove ancora non esistono, ma oltre a questo è necessario unirli in una grande vertenza generale a carattere nazionale, su cui costruire un vero, ampio fronte unico di lotta, capace di coniugarsi con i settori più avanzati del movimento operaio e capace di costruire una piattaforma di rivendicazioni nazionale, che si articoli nella organizzazione democratica del movimento per la casa, contro ogni logica di autocentratura settaria o tendenza localista presente nei vari comitati o movimenti territorial.

LA COSTRUZIONE DEL PARTITO COME ELEMENTO UNIFICANTE DELLE LOTTE, IL FRONTE UNICO COME TATTICA CENTRALE DI QUESTA UNIFICAZIONE.

Come PCL continuiamo a ribadire che la costruzione di un partito marxista rivoluzionario è l'elemento centrale di tutto il ragionamento raccolto sino a qui. Non si può eludere questo passaggio senza contraccolpi. Il Partito è al contempo il soggetto organizzatore della rappresentanza degli interessi della classe operaia e delle classi subalterne fuori e dentro gli organi di rappresentanza borghesi, nei quartieri e nelle fabbriche ed è il soggetto che solo può riunire le vertenze sparpagliate e autocentrate in una grande vertenza generale del mondo del lavoro e delle classi oppresse contro i padroni, i loro scendiletto, i loro sbirri e la loro repressione.
Ed è la tattica del fronte unico lo strumento privilegiato per questa unificazione. La costruzione di un fronte unico di lotta sulla questione abitativa può essere un elemento unificatore e dare al movimento l'ossigeno che gli è mancato per trasformare la pur ammirevole manifestazione del 19 Ottobre in una vera mobilitazione generale in grado di invertire la tendenza e incrinare e mettere in discussione gli attuali rapporti di forza. Questo ovviamente non può e non deve rimuovere la centralità della necessità di una vertenza generale del mondo del lavoro, ma la ripresa e la generalizzazione di una battaglia sociale come quella per la casa, con i connotati classisti sopra delineati, può essere la miccia per rilanciare anche la ripresa del movimento operaio.

N. Senada

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