Interventi

Lo scioglimento di Sinistra Critica e le prospettive dei rivoluzionari

L'assenza dell'organizzazione è la base di ogni sicura sconfitta

13 Agosto 2013


Sarebbe un errore di lettura politica e storica analizzare la fine di Sinistra Critica semplicemente inquadrandola nel contesto di difficoltà, per la sinistra di classe, di presidiare lo scenario catastrofico di una crisi economico-sociale senza precedenti, come la stessa Sinistra Critica pare suggerire. L'elemento oggettivo della stessa possibilità d'esistenza, per così dire, della sinistra di classe su scala non solo nazionale, oggi, è semmai incardinato sul dispiegarsi stesso della lotta di classe e sulle azioni e le scelte dei protagonisti di quella lotta. Può apparire scontato, ma evidentemente non lo è abbastanza. Vale a dire, cioè, che l'elemento oggettivo chiama in causa sempre e comunque, tanto più in questo contesto, l'elemento soggettivo. Non si potrebbe altrimenti capire come l'inarrestabilità del "pilota automatico" (Draghi) della gestione capitalista della crisi possa arrivare a dare impulso e perfino a determinare esiti politici e sociali potenzialmente dirompenti per la tenuta stessa di quella gestione e del sistema borghese in generale. Mai come nella fase attuale, e nella crucialità dei prossimi anni, le incognite sul futuro e sugli assetti di ciò che si configura sempre più come una austerity/restaurazione infinita (cioè un periodo a medio termine di vera e propria barbarie reazionaria, sia politica che sociale) sono direttamente proporzionali alle incognite dei soggetti che di questa restaurazione sono vittime, vale a dire le larghissime masse popolari continentali, la classe lavoratrice e le sue organizzazioni. Tanto più il corso della gestione capitalista della restaurazione sarà determinato dall'assenza sul suo cammino di una reale e condizionante opposizione di classe, tanto più quel corso contribuirà (persino con i buoni auspici del keynesismo di fatto di questo o quel governo, di questo o quel sindacato) non solo a ricacciare nell'Ottocento decine di milioni di lavoratori, ma anche -ed è questa la novità- a fare definitivo strame delle sue storiche organizzazioni e dei suoi strumenti materiali e teorici (o sarebbe meglio dire: di quel che ne resta), facendo sì che dall'Ottocento essi non possano uscirne così presto e così facilmente.
Ed è proprio questo dato, in ultima analisi, che viene chiamato in causa: la non corrispondenza di una reazione cosciente ed organizzata all'azione coscientissima e (ir)resistibilmente organizzata dei padroni e delle loro organizzazioni ed istituzioni.
Cosciente ed ORGANIZZATA, appunto. Cosciente in quanto organizzata.
Ed è qui che entrano in ballo le sorti di Sinistra Critica - ma è chiaro che non solo di Sinistra Critica, e non solo dell’Italia, purtroppo, si tratta. L'elemento dell'organizzazione è tema centrale, basilare, più che strategico della politica dei marxisti rivoluzionari da un secolo e mezzo a questa parte. Cioè da sempre. Aver prima subordinato, poi accantonato, e successivamente messo in revoca del tutto la questione dell’organizzazione (da parte di Sinistra Critica ma non solo), cioè la questione della necessità, per i lavoratori, di dotarsi di un mezzo attraverso il quale poter lottare e potersi emancipare, è alla base della epocale disfatta che ha segnato la storia (e non solo quella recente) di chi si autoproclamava e si autoproclama anticapitalista e rivoluzionario (o persino trotskista). Per esser chiari: non si tratta della sciagurata opera di demolizione di un decennio di bertinottismo o della successione di contraccolpi che lo stalinismo ha storicamente inferto alla teoria e alla prassi marxista e leninista. No: stiamo parlando della programmatica, consapevole dismissione di ciò che permette “la costituzione del proletariato in classe”, per dirla con il Manifesto, cioè né più né meno che la formazione in partito politico. Gli esiti di questo letto di Procuste sono sotto gli occhi di tutti già da tempo, ma questa crisi capitalista ha gettato su di essi una luce che li fa emergere in tutte le loro nefaste implicazioni politiche. In generale, possiamo dire che ciò che caratterizza questo periodo storico è infatti la più bassa capacità di organizzazione che la sinistra anticapitalista sia stata in grado di mettere in campo a fronte della più grande urgenza di organizzazione che la lotta di classe, nelle sue più diverse incarnazioni, nei suoi più disparati episodi, nelle sue più ramificate dislocazioni, abbia mai avuto. Il dato di fatto è talmente inoppugnabile che negarlo equivarrebbe a negare la realtà.
Come si vede, il problema va ben oltre Sinistra Critica. E investe ben altri livelli che non quello della semplice “creazione” di partiti (come se non ne nascessero di continuo!). Non è qui in discussione, quindi, un volontaristico e salvifico appellarsi all’”istituzione” partitica in quanto tale, all’organizzazione vista come dispositivo fine a se stesso e/o invariabilmente consegnato ai codici della dottrina. Si tratta invece di riconoscere l’inaggirabilità di un passaggio fondamentale, che è teorico non meno che strategico, per il rovesciamento di questa società. Al di fuori, senza o contro quel passaggio ci sono solo le secche del riformismo e dell’annaspamento movimentista. In ogni caso, della sconfitta.

Sergio Leone

CONDIVIDI

FONTE