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L’imperialismo alla ricerca del casus belli

7 Aprile 2013

L’imperialismo alla ricerca del casus belli

Le provocazioni dell’imperialismo USA che s’intensificano in estremo Oriente( a fine marzo la missione di due bombardieri B-2) presentano elementi di novità, rispetto alle provocazioni del 2009-2010. La novità è dovuta al quadro strategico militare fissato nel documento “Sustaining US Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense”, esposto da Obama al Pentagono il 6 gennaio del 2012. La priorità dell’imperialismo americano è quello di avere mano libera nel mercato interno cinese. L’imperialismo dell’Unione Europea e quello giapponese sono concordi. Nel documento si afferma che l’economia egli interessi alla sicurezza degli Usa sono indissolubilmente legati agli sviluppi nell’arco che si estende dal Pacifico occidentale e dall’Asia orientale al sud dell’Asia e dell’Oceano Indiano,creando un mix di sfide in continua evoluzione e opportunità. Di conseguenza, mentre gli Stati uniti continueranno a contribuire alla sicurezza globale, sarà necessario riequilibrare le forze verso la regione Asia-Oceano Pacifico”. Nel giugno del 2012 si precisano le linee del salto di qualità nella politica anticinese contenute nel documento : il capo del Pentagono Leon Panetta dichiarava che entro il 2020 sarà dislocato nella regione circa il 60% delle forze della marina, tra cui la maggior parte dei gruppi di portaerei, “per la prima volta nella storia le risorse militari degli stati Uniti a cominciare dalla Navy non saranno più ripartite 50/50 tra Atlantico e Pacifico”( Federico Rampini, Limes 6-2012). Per l’editorialista del Financial Times, Gideon Rachman, commentando le tensioni fra cina e Giappone per le isole Diaoyu (per i cinesi) e la Senkaku per i (giapponesi), “l'idea che le grandi potenze di oggi non potevano incorrere in una guerra mondiale, come fecero nel 1914, è troppo compiacente. Le tensioni tra Cina, Giappone e Stati Uniti ricordano il terribile conflitto che scoppiò quasi un secolo fa” ( 4-febbraio-2013).
Nel biennio 2009-2010 la diplomazia usa rafforza i legami militari con i suoi alleati dell’ASEAN, nel 2010 il Giappone innova la sua strategia militare. Il concentramento delle forze viene spostato da nord a sud. Dal confronto con l’URSS a quello con la Cina, potenziamento della marina e dell’aeronautica. Un aumento del bilancio militare di 280 miliardi di dollari, in un paese che ha il debito pubblico oltre il 200% del pil.
Il piano militare di aggressione alla Cina denominato Battaglia aero-navale (Air-Sea Battle), secondo il gen.Fabio Mini era stato accantonato a causa della crisi, della dipendenza del debito usa dai finanziamenti cinesi, degli insuccessi in Iraq ed in Afghanistan, dello stallo di credibilità in Europa, dei conflitti mediorientali e del rapporto con l’Iran. La “Battaglia aero-navale” è un piano di guerra offensiva giustificata con “il contrasto alla strategia di interdizione d’area e negazione degli accessi attribuita alla Cina” (Fabio Mini, Limes, 6-2012). Un attaccoo dall’aria e dal mare per mettere fuori uso i sistemi di sorveglianza ed i sistemi missilistici cinesi. A questa incursione e sabotaggio iniziale seguirà un più grande assalto aereo navale. A metà marzo il ministro della guerra degli USA ha annunciato l’aumento del 50% dei sistemi di intercettazione dei missili antibalistici in vista delle coste asiatiche dell’oceano Pacifico ed un potenziamento degli stessi in Alaska ed in California.
L’aggressione alla Cina è una tappa della rivincita imperialista sulla rivoluzione d’ottobre. Ad accelerare i tempi dell’aggressione c’è la paura della rivoluzione sociale in Cina. Il partito deve mobilitarsi e chiamare ad un’azione antimperialista l’USB, la Rete 28 aprile, i Cobas ed i Centri Sociali.

Sezione PCL-Sassari 3/04/2013

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