Dalle sezioni del PCL

ALLA FIERA DELLA CONCILIAZIONE.

19 Marzo 2012

"Io sono comunista
Perché non voglio potere personale, voglio il potere del popolo"
(Nazim Hikmet).

L'articolo 18 dello statuto
dei lavoratori è sotto assedio. Viene naturale chiedersi: perchè tanto accanimento da parte del governo Monti?
Il problema non è rilanciare il lavoro, adattando quest'ultimo alla flessibilità dei mercati come la ministra Fornero va sostenendo con poca convinzione, ma piuttosto procedere, nella ristrutturazione, in senso autoritario, dell’intero sistema sociale. Tolto l’ obbligo di reintegrazione, sostituendolo con quello di corrispondere un indennizzo pecuniario, il datore di lavoro si potrà facilmente liberare, con una somma di denaro, di quanti/e non si conformano, per ideologia, al pensiero unico dei padroni, ad uno sfruttamento che andrà inasprendosi, ad un crumiraggio a quel punto dovuto. La Cgil non venga a riguardo ad obiettare che sia sufficiente mantenere la possibilità dell’annullamento dei licenziamenti discriminatori perchè mentre la prova dell’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo deve essere fornita da chi ha licenziato, la prova della discriminatorietà deve essere data da chi ne sostiene l’esistenza, ovvero nella fattispecie dal lavoratore. Nè sono accettabili le proposte d’area PD di un “contratto unico” che lasci, all’interno del rapporto di lavoro subordinato, i neo assunti privi della tutela dell’art. 18 per i primi tre anni di lavoro. Con questo tipo di inserimento aziendale infatti sarà facile selezionare i lavoratori “meritevoli” di essere stabilizzati. L’inserimento stabile nel mondo del lavoro sarà, cioè, riservato solo a chi dimostrerà, nel periodo iniziale, di essere "compatibile" con i valori aziendali, in sintonia col pensiero unico dei padroni.
L'aspetto che più inquieta in questa fiera delle mercanzie è un altro: il sindacato perde la sua funzione storica, perde il suo ruolo sociale di garante della classe e, relegato nell' angusto recinto della dialettica borghese, fa l'acrobata fra i padroni e i lavoratori. Nell'antico conflitto
capitale-lavoro, sceglie di stare col capitale. Sulla Cgil pesa ancora la tradizione riformista-giolittiana che continua a concretizzarsi, come abbiamo potuto costatare negli ultimi mesi, in patti sociali scellerati stabiliti tra la classe operaia forte e i settori avanzati del capitalismo ai danni delle fasce operaie deboli. La demagogia della Cgil si manifesta in forza nelle sue proposte che con il termine di '"ammodernamento" celano goffamente la sua subalternità e la scarsa coscienza di classe nel baratto dei diritti dei lavoratori. Con folklore convoglia attenzioni intorno ad un art.18 che già la legge 30 ha ampiamente aggirato con l'introduzione legislativa del precariato che in termini reali significa un ritorno alla condizione di schiavitù sebbene non ci siano più le catene ai piedi per una semplice questione di senso di civiltà tutto piccolo-borghese, che di civile non ha proprio nulla dato che di lavoro si continua a morire proprio per la mancanza di rispetto delle norme di sicurezza che il governo Monti ha ben pensato di ridurre mentre si inasprisce la repressione del dissenso. Anomalie intellettuali di una destra che ci rimanda a tempi bui della nostra storia. Lenin nel ’20 aveva indicato la via da seguire: “i sindacati, al principio dello sviluppo del capitalismo, furono un gigantesco progresso per la classe operaia, in quanto rappresentarono il passaggio dalla dispersione e dall'impotenza dei lavoratori ai primi germi dell'unione di classe”.
Ebbene è da qui che bisognerebbe ripartire in questa fase in cui il proletariato appare diviso, stretto nella morsa del ricatto padronale del lavoro e di un sindacato che si genuflette davanti alla borghesia al potere, alle sue banche, ai suoi privilegi, ai suoi diktat a senso unico,
strumentalizzando in mala fede una crisi che è strutturalmente endemica e non di produzione, essendo generata dal venire meno del rapporto diretto tra il costo del denaro (compreso il potere d’acquisto) e la merce immessa sul mercato. Differenza sostanziale che spesso nelle analisi e nelle soluzioni sindacali si perde di vista, spostando l’asse verso un’accondiscendenza nei confronti del la borghesia padronale in un’ottica di responsabilità per uscire dalla crisi in corso.
La forze sindacali hanno il dovere di fermare questo indegno progetto antioperaio architettato da Cgil e Pd. Da quella stessa Camusso che ci rimanda in mente gli anni di Craxi, di tangentopoli, del malaffare e della scippo della scala mobile. Dovrebbero con orgoglio difendere l’art.18, pretenderne l’estensione e non accettare il ritocco dal chirurgo estetico Monti con totale svuotamento dei suoi contenuti fino a ridurlo a semplice iconografia populista.
Le conquiste, i diritti, lo Statuto dei lavoratori sono patrimonio del movimento operaio e non proprietà privata del sindacato né tantomeno merce da scambio alla fiera del capitale. Sono, per noi, memoria di lotte contro lo sfruttamento, d’emancipazione e di riscatto di classe che risalgono ai primi del 900, con perdite e sofferenze proletarie. Sono lo sguardo timido e fugace a quel sol dell’avvenire che ha preteso la giornata lavorativa di otte ore, la soppressione del lavoro minorile, il diritto di malattia e maternità, le norme sulla sicurezza, le pause. Sono il passaggio dalla condizione di schiavitù lavorativa a quella di lavoratore.
Se non si parte da questo ordine ideologico di pensiero, allora si priva della storia da cui attingere per ritrovare dignità, unità ed orgoglio di classe.
Quella memoria storica che impone al sindacato un ruolo ben determinato e una collocazione ben definita strutturalmente, ovvero di cinghia di trasmissione tra i padroni e le masse operaie, spronando i lavoratori all'impegno, alla consapevolezza del loro sfruttamento, tutelandoli e ridando dignità al lavoro, quale mezzo privilegiato di emancipazione proletaria, in una unità d'intenti con le forze politiche che per ideologia perseguono le stesse finalità. E’ questo il nodo principale da sciogliere, su cui riflettere per riaprire la partita. Ora è tempo di scelte coraggiose che vadano a scardinare equilibri che in realtà squilibrano, mortificano, piegano, incatenano, imbavagliano e spalancano le porte di scenari in cui il capitalismo sarà ordine mondiale indiscusso ed indiscutibile. E non importa più che il privilegio capitalistico si fondi sull’opinione generale, sul consenso sociale o sul diritto: lo stato non discute più, impone e ricorre al manganello contro chicchessia se necessario. Si produce la disuguaglianza a tutti i livelli, da accettare, con devozione, quale destino per una classe che è nata per servire il padrone, in chiesa e sul lavoro, che accetta passivamente il suo ruolo di sfruttato in cambio del paradiso. Sembra quasi una patologia della classe il dover accettare il proprio sfruttamento e non poter far nulla per modificare il proprio esistente mortificante. Ora è tempo di unire tutte le sinistre sindacali, a partire dalla Fiom e far sì che quella piazza sia dei lavoratori, degli studenti, dei disoccupati, dei movimenti di lotta nella fabbriche, a difesa della Terra ed anticapitalisti.
Ora è tempo di proclamare lo sciopero generale di tutte le categorie, per rivendicarsi con forza la storia passata ed esigendo il rispetto del lavoro e del lavoratore in rapporto con tutte le classi sociali perché se al Nord opulento e garantista vi è il precariato, al sud della mai risolta questione meridionale vi è il lavoro nero e il caporalato quasi legalizzati da una prassi che è diventata regola che non sdegna più nessuno, quasi fosse nell’ordine delle idee del pensiero moderno.

18 marzo 2012.

cinzia serra,
militante partito comunista dei lavoratori Puglia

CONDIVIDI

FONTE