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SICUREZZA SUL LAVORO La pretende chi si vuole bene

26 Novembre 2011

Scaraventato di peso fuori dalla fabbrica dai buttafuori del capo, allo scadere dei sei mesi e in una giornata di pioggia, perché m’ero rifiutato di fucilare dieci operai per rappresaglia, rei di aver favorito la fuga di un loro collega presi, negli anni successivi, a bighellonare un po’ di qua e un po’ di là nel mio quartiere. Alla veneranda età di quarantacinque anni, ricordo, capitombolava il periodo natalizio durante il quale “tutti”: buoni e cattivi, rompevano le scatole agli altri “tutti” per farsi regalare qualcosa. Immalinconito dalla mia situazione oltremodo precaria, sia lavorativa sia reddituale sia familiare (il nonno sulle cui spalle campavo, aveva dato una stretta alla generosità nei miei confronti) decisi, per sollevarmi un po’ col morale, d’acquistare un biglietto di tribuna per assistere ad uno spettacolo d’una forma artistica, la performance art, filone che in quel periodo a me interessava molto.
L’opera è costituita dall’azione d'un individuo o di un gruppo in un luogo particolare e in un momento particolare. Tale spettacolo può protrarsi anche per l’intera giornata: naturalmente il pubblico è libero di lasciare anzitempo gli spalti. Per chi è a digiuno delle dinamiche di questo tipo di rappresentazione va detto che la performance art può essere qualsiasi situazione che coinvolge quattro elementi base: il tempo, lo spazio, il corpo dell’artista (nel nostro caso: operai) e la stringente relazione tra artista e pubblico. Il termine performance art viene normalmente riservato per un tipo di avanguardia o arte concettuale che nasce dalle arti visuali e che, chi v'assiste, può non rendersi conto immediatamente che si stia svolgendo una rappresentazione.
Ero emozionatissimo! Lo spettacolo si teneva in un cantiere autostradale: alle sei del mattino ero già sul posto. A quell’ora avevo già divorato un enorme “zucchero filato” e, solo un po’ di pudore d'adulto, m’impedì di acquistare un palloncino colorato così come facevano tutti i bimbi accorsi allo show. Le cose andarono più o meno in questo modo…

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- SICUREZZA SUL LAVORO La pretende chi si vuole bene -


Ambientazione

Cantiere autostradale



Personaggi e interpreti

Disoccupato Vincenzo De Biase
"Il cobra" Committente datore di lavoro
Squadra "frecce tricolori" Avvoltoi
I due preti
Sorelle di Gesualda
Fiorista
Marmista
Venditori di palloncini
Venditori di zucchero filato
Datori di lavoro appaltanti
Datori di lavoro sub-appaltanti
Custode del cantiere

Terrone africano Antonio
Ispettori del lavoro
Personale della security e safety
Operai
Croniste
Spettatori



I due preti sono arrivati di buon'ora all'ingresso del cantiere della zona loro assegnata dalla Curia; in attesa dei lavoratori sono intenti a scambiarsi effusioni; la catena del piccolo rosario attorcigliata al polso e la bibbia nella mano sinistra di entrambi non impedisce loro di scazzottarsi perchè in disaccordo sulla decisione della Chiesa di approvare l'uso del profilattico in determinate situazioni. Un tempo entrambi usavano bazzicare il cimitero di zona; girovagavano qua e là tra le tombe nella speranza che qualche familiare di qualche ospite sdraiato conferisse loro un incarico per qualche prece o preghiera per la di cui (ospite) salvezza eterna: magri guadagni! Pian piano i due si resero conto che per aumentare le entrate occorreva intercettare la domanda poco prima del trapasso e sicuramente prima che fosse sepolta (a caldo i “trapassandi” e le loro famiglie sono più disponibili alle offerte); decisero di delocalizzarsi in mercati non ancora saturi. Valutati i sondaggi dei media puntarono (e bene fecero) sul settore degli infortuni sul lavoro.
Sul capo dei preti e nell'area del cantiere già da qualche minuto rotea la squadra d’avvoltoi: nell'ambiente conosciuta come la “squadra delle frecce tricolori”. E’ prezzolata a provvigioni del datore di lavoro perchè consoli i lavoratori nei loro ultimi istanti di vita. Come ogni mattina è pronta a posizionarsi su macchinari, su attrezzature, sui tetti dei capannoni, lungo le gru, a ridosso dei parapetti, sulle impalcature e su tutto ciò che in cantiere le possa consentire una completa visione dall'alto. Terminati i giri di prova, gli "amici dell'uomo” si dispongono sulla postazione prescelta, fieri e impettiti come quei marinai in parata su sommergibili pronti a salpare.
Poco prima che la campana del cantiere batta i soliti diciassette rintocchi finalizzati ad avvisare acusticamente il personale dell'inizio lavori, fuori dai cancelli, sono già parcheggiati: alcuni carri funebri, un paio di autoambulanze, qualche volante della polizia e un elicottero dalle pale pericolose per gli astanti in quanto montate erroneamente ad altezza uomo; vi sono anche due auto parcheggiate: un’utilitaria del custode del cantiere (invalido sul lavoro) e un’auto nemmeno più utile perché semi-distrutta e, di conseguenza, abbandonata.
Rigorosamente a piedi una folla, che per consuetudine suole radunarsi lì tutti i giorni lavorativi per assistere alla performance, proprio a ridosso dell’entrata; con la sua fascia tricolore appesa al collo: il sindaco di zona raccolto a ripassare le dichiarazioni rigor-mortis alla memoria del più che prossimo lavoratore trapassato, trascritte su un foglio e da rilasciare alla stampa; numerose giornaliste e alcune inviate della Tv intente ad aggiustarsi la pettinatura e a darsi l'ultima mano di rossetto, in attesa degli eventi spettacolari e dei conseguenti collegamenti televisivi; due invece sono i paparazzi intenti ad accertarsi che i flash funzionino.
In disparte, nei pressi del chiosco dei fiori e a in prossimità del marmista specializzato in lapidi last-minute: due ispettori del lavoro portatisi in zona e muniti di moduli d’accertamento degli eventi tragici che da lì a poco sarebbero accaduti. Alla biglietteria del cantiere: una fila interminabile di spettatori paganti impazienti che apra al fine di acquistare i biglietti della tribuna centrale; essa è posizionata in modo da consentire loro una visione più che privilegiata dello spettacolo ma è proprio adiacente un dirupo.
È possibile notare molti genitori e rispettivi figlioletti ai quali è stato promesso di assistere, nei casi più fortunati, anche al precipitare di qualche lavoratore nella scarpata; i bambini sono già abbastanza entusiasti attirati fin dall’alba dai colori delle bancarelle di zucchero filato e dai palloncini dei venditori ambulanti. Sulle recinzioni laterali del cantiere un manipolo di spettatori (terroni?) non paganti ha già iniziato a scavalcarle fin dalle prime luci dell'alba. Fotografi ambulanti per eventuali foto ricordo alla memoria, alcuni impresari di pompe funebri e un cameraman per riprendere le scene degli infortuni e proiettare la sera in sala mensa del cantiere quelli più spettacolari, concludono la descrizione delle tipologie di pubblico presente anche quella mattina.
“Ecco arrivano i pullman!” esclama esaltata un’inviata da una qualche Tv locale. La folla si precipita alla fermata dei bus. A scendere dai primi due torpedoni sono le stars: i dirigenti della security and safety assunti dal datore di lavoro per la loro indubbia capacità persuasiva e che operano in divisa completamente nera; seguono i preposti: amano farsi apostrofare “caporali”; si vocifera che qualcuno di loro abbia ottenuto in passato, per meriti speciali: il 41bis. Subito dopo a discendere sono gli accompagnatori; essi trasportano i dispositivi di protezione individuali: difese personali per l'udito (cuffie per l’ascolto di musica), reti di protezione (da sistemare per fissare le porte da calcio), occhiali di protezione (per la salvaguardia dei manager dalla tintarella), un preservativo (non si sa mai), un pallone da calcio, una macchinetta per il caffè.
Dai pullman numero: tre, quattro e cinque iniziano a discendere i lavoratori. Un hurrà di accoglienza si leva dalla folla elettrizzata alla loro vista; qualche flash inizia a scattare e c’è anche qualcuno, più sfrontato, che chiede autografi. Facendosi largo tra la folla di curiosi i primi a passare sono quelli che, nonostante infortuni e malattie elargite a piene mani nei giorni appena precedenti dall'azienda, sono stati costretti a rientrare subito al lavoro; si possono scorgere lavoratori con stiramenti, distorsioni o strappi muscolari, seguiti da operai lesionati alla schiena, alle spalle o alle braccia e ognuno si trascina verso l'ingresso come può. Subito dopo è la volta degli altri: i più gravi, i barellati, che sono stati colpiti, nei giorni precedenti, da cordoli di cemento o da materiale d’asfalto o da elementi contundenti o anche taglienti. Buon ultimi, ma non per questo meno applauditi al loro passaggio, quelli che il giorno prima sono rimasti intossicati o asfissiati all'interno di serbatoi, fogne, tombini, cisterne o vasche di raccolta del cantiere; procedono verso l’ingresso lentamente in ginocchio e tenendosi le mani alla gola. Essi sono sostenuti a braccio dai lavoratori affetti da ipoacusia da rumore e quelli affetti da morbi vari quali Raynaud, Dupuytren a causa dell'uso di strumenti vibranti. Sbarcati dai mezzi chi un posto di lavoro comunque lo ha, solo due dei cinque bus vengono parcheggiati in attesa dei superstiti.
Le giornaliste e le inviate tv, facendosi largo a spintoni tra la folla, cercano di strappare ai lavoratori una qualche iniziale dichiarazione, chiedendo entusiasmate ed eccitate:
“Per chi suonerà oggi la campana? Per chi suonerà oggi la campana?” Tutto inutile! I dipendenti cercano di raggiungere velocemente (eufemismo) l'entrata del cantiere; sono anzi piuttosto infastiditi da tanto clamore che ritengono, forse, un po’ eccessivo.

Di dentro il cantiere autostradale è un inferno; anche qui, come in quasi tutti gli altri luoghi di lavoro simili, alcuni lavoratori ogni giorno iniziano il turno fisicamente e lo troncano spiritualmente ma quello che veramente adombra un occhio estraneo è l’ambiente: un posto la cui vista non risveglia la benchè minima emozione. Addentrandosi sempre di più e a piedi non solo non migliora la squallida esteriorità ma ad essa s'aggiunge un tono di mestizia pari solo a quello della chiesa poco prima di Pasqua: cupo, grigio, l’oltretomba si estende per migliaia di metri in lunghezza e decine in profondità su un precipizio. Si avverte netto il tanfo che proviene dalle baracche sicuramente costruite in tutta fretta nonostante che i lavori in appalto forse dureranno mesi; esse sono “sistemate” lungo il perimetro del terreno e sono quasi completamente buie; qualche sprazzo isolato di luce riesce a resistere solo perché dai tetti si può vedere da parte a parte; tetre e tristi, così come lo possono essere le cambiali del mutuo, fanno da deprimente cornice a macchinari, a decine di gru simili ad aironi rannicchiati, a parapetti e ad impalcature.
Tutto sembra predisposto ad arte in modo che il cantiere possa dare di sé netta la sensazione di avere sofferto molto e d'essere un luogo dove tutto pare disprezzare la vita.
Il committente datore di lavoro capo nel cantiere e i titolari d'aziende appaltanti, sub appaltanti, sub-sub appaltanti (tutti invalidi perchè ex operai e tutti su sedie a rotelle), sono posizionati in sala comand... ehm… direzione; essa è ubicata a lato della fossa comune allestita in tutta fretta per ottemperare ad una precisa prescrizione degli organismi di vigilanza che, sulla sepoltura anche dei lavoratori irregolari, pare siano stati intransigenti.
La sala comando si trova appena sopra la camera ardente; quest’ultima è così chiamata non per finalità tombali ma perchè vi vengono lavorate sostanze pericolose: bitume, resine e altro che, prima o poi, a contatto con il materiale combustibile sparso incautamente qua e là nella camera, brucerà unitamente ai lavoratori ivi preposti. Tali dipendenti hanno già da tempo, comunque, durante la compilazione della scheda sanitaria e di rischio, espresso la disponibilità alla cremazione. Dalla terrazza della direzione i capi osservano il personale che, "spontaneamente", viene "invitato" in fila sul piazzale per l’adunata; ai lavoratori schierati si aggiungono quasi subito, anch'essi di "propria sponte", alcuni operai provenienti dal braccio della morte distante qualche metro più in là della fossa comune.

Il pubblico (me compreso) assorto segue in silenzio. Un ragazzino abbastanza alto, in piedi proprio al mio fianco, inizia a sventolare una bandiera enorme che m’impedisce, a tratti, di vedere bene quanto accade.

Tranquillizzato dal clima idilliaco ormai instauratosi da tempo nel suo cantiere, il committente datore di lavoro capo che ha assunto il nome de “il Cobra” e si è già distinto all’estero per le atrocità contro le popolazioni civili, attraverso il megafono s’accinge a parlare alla sua “famiglia”: prende la parola...

Un applauso scrosciante si leva dagli spalti; il pubblico sembra apprezzare molto l’allestimento scenico e la puntualità con cui si sta svolgendo lo spettacolo.

“Figli, fratelli miei... (parlando al megafono) è il Vostro datore di lavoro che vi parla, il vostro capofamiglia!”. (Ovazioni a scena aperta dei datori di lavoro posizionati ai suoi lati, ciascuno rigorosamente sulla sua sedie a rotelle, irrompono fragorosamente)
“Questa non è una esercitazione! Questa non è un’esercitazione! Voi tutti sapete quanto io tenga a voi, alla vostra sicurezza e al rispetto severo del nostro piano di demolizione. (Due lavoratori in fila, già da qualche giorno in fin di vita, si accasciano a terra nel piazzale) Qualcuno, in malafede, potrà pensare che in questo cantiere si rischi la vita; sciocchezze!”. (Gli altri datori di lavoro ridono di gusto e contenti battono ripetutamente entrambe le mani sui braccioli delle carrozzine )
“E’ vero che qualcuno di voi nei giorni scorsi è caduto dall'alto del ponte, ma possiamo mai attribuire la loro morte al fatto che non ci siano i parapetti? Certo che no! Diciamo piuttosto che la loro ambizione li ha fatti volare alto!”. (I capi acclamano convinti e si scambiano pacche sulle spalle)

Sugli spalti c’è scompiglio, sono arrivati i ritardatari: i “portoghesi”.

“Vero è che due di voi siano caduti in profondità nelle aperture del suolo finendo nella scarpata e, ancora (torcendosi in su il labbro con i suoi baffettini) che quattro irregolari nell'ultima settimana siano rimasti folgorati da stupide linee elettriche in tensione che chissà come erano sistemate nel sottosuolo... e ancora... maledetta sfortuna, che dire del terreno franato in prossimità del ponte che ha seppellito il vostro collega; vorrei ricordare però che è stato proprio quest'ultimo, in causa con l'azienda, a chiedere di metterci una pietra sopra." (Un hurrà straripa dagli altri datori di lavoro che tratto tratto si scambiano rapide occhiate compiaciute)

Dagli spalti viene lanciato un petardo abbastanza grosso: un operaio, già moribondo di suo, colpito stramazza a terra; viene portato via di peso dalla “security”.

Dall’altoparlante s'invita il pubblico a non lanciare fuochi d’artificio: pena la sospensione dei lavori.

“E non è finita! Che dire poi dello schiacciamento di quel vostro collega a causa di un materiale che, chissà come, s'è svincolato dalla gru e lo ha colpito in pieno? Fatalità, pura fatalità!”. (Rutta e beve un sorso d’acqua direttamente dalla bottiglia)
“Per non parlare dei Vostri poveri compagni di lavoro... (fa una breve pausa e chissà come escono due lacrime dall’occhio sinistro – sinistro: non inteso come aggettivo -), finiti tragicamente asfissiati solo perchè nel nostro ambiente confinato all'interno della canalizzazione ancora rimaneva un po’ di gas e qualche vapore tossico asfissiante, infiammabile e esplosivo. Oh certo (sbracciandosi) sarebbe comodo ricordarmi, inoltre, che solo contando gli automobilisti di passaggio questa settimana ne abbiamo fatto fuori sette! Ma che colpa ne ho io se ‘sti sciagurati, solo a causa delle sistemazioni delle nostre precarie e fuorvianti recinzioni, sono costretti a marciare con le loro stupide auto rasente il raggio di azione e di manovra degli apparecchi di sollevamento e degli automezzi del cantiere? Proprio non riesco a capire in che cosa appuntino le proteste!”. (Gli appaltatori annuiscono convinti torcendosi dal ridere)

Applausi a scena aperta e cori di consenso non vengono più trattenuti dal pubblico; appassionato dallo spettacolo e non potendone più di quella bandiera che mi limita la scena, scavalco la rete di recinzione e mi sistemo a ridosso degli operai. Scorgo il tutto molto meglio da questa postazione.

“Possiamo dire... (entusiasmandosi), possiamo dire per questo che il nostro cantiere non sia sicuro? Certo che no! Siete d'accordo? Ho chiesto: siete d'accordo?”. (un silenzio spettrale conferma l'assenso, rotto - il silenzio e non l'assenso - solo dalle ripetute urla degli ustionati da bitume, dalle lagnanze di quelli sofferenti per le lesioni acute della colonna dorso-lombare dovute a sforzi improvvisi e dai colpi di tosse di coloro i quali sono affetti da bronco-pneumopatie da polveri e fumi; qualche lieve gemito proviene anche dagli asfaltisti la cui provvidenza cantieristica ha regalato loro tumori della pelle per l'esposizione a raggi solari e tumori polmonari)
“Voi tutti sapete (sospirando con sufficienza), che i principi ispiratori di responsabilità e trasparenza hanno da sempre contraddistinto il mio operato. (uno degli astanti nel piazzale si dà fuoco con un cerino; qualcuno lo sente blaterare, mentre brucia, parole incomprensibili) È vero, qualcuno potrà replicare che non abbiamo in dotazione macchine marcate C.E. e che il ritrovamento di un ordigno bellico rinvenuto in cantiere è stato da noi occultato costruendo, sopra il terreno interessato, la vostra sala ristoro; mi chiedo (accalorandosi): l'ordigno è rimasto inesploso per settant’anni, volete che proprio adesso scoppi?”. (Un coro di no prorompe dagli altri datori di lavoro che in segno di giubilo iniziano a sventolare le bandierine tricolori ricevute dal committente datore di lavoro capo qualche minuto prima dell’adunata)

Tumulti si registrano sulle scalinate: pare che la “security” stia intervenendo perché alcuni capitalisti, tra gli spettatori, stanno sparando senza alcuna ragione apparente sugli operai ritti e inermi nel piazzale.

“E quelle sciocchezze poi (non curandosi di quanto avviene sugli spalti) che devo sentire sulla mancanza di segnaletica! (ilarità degli altri datori di lavoro) Ma suvvia, persone adulte come voi che durante la circolazione dei mezzi in cantiere non ne conoscano il senso di marcia! Ma dico, ci vogliamo prendere in giro?”. (Un gruppo di lavoratori nel piazzale, togliendosi gli occhiali scuri, fissa intensamente il sole nella speranza di accecarsi)
“E che dire poi delle solite sciocche rivendicazioni sindacali (gli appaltanti, tutti, spingendo ciascuno la propria carrozzina, si portano a ridosso di quella dell’oratore per mostrare in modo palese totale compattezza d’intenti) che pretendono addirittura d’interrompere i lavori a causa della scarsa visibilità dovuta a nebbia o a forti piogge o a qualche metro di neve! Ma, dico, siamo impazziti? Sapete quanto mi costa l'illuminazione artificiale e antinebbia? È vero che quasi mai funziona, ma vogliamo fermarci per questo?”. (Il gruppo sulle sedie a rotelle agita le mani in segno di diniego)

“No-no-no!”. La folla manifesta forte il suo dissenso.

La “security”, allontanati i capitalisti indisciplinati, s’appresta a rimuovere dagli spalti uno striscione offensivo nei confronti del datore di lavoro che qualcuno aveva appeso.

“Da ultimo, figli, fratelli miei (apprestandosi a concludere), vogliamo tralasciare i cinque lavoratori che nelle settimane scorse si sono azzoppati a causa del terreno scosceso, franato, sdrucciolevole e impraticabile del cantiere? Ma non è forse vero il detto che è meglio zoppicare sulla strada giusta che correre sulla strada sbagliata?”. (Un battimano scoppia fragoroso dal gruppo degli altri datori di lavoro)
“Potrei continuare ma mi fermo qui. Ah, dimenticavo! Mi rivolgo a quelli che, raccolti sulla strada stamattina, si sono uniti alla nostra grande famiglia; per loro le istruzioni sulla sicurezza sul lavoro sono affisse in cima alla gru su un foglietto bene in vista: chi volesse prenderne visione non deve fare che salire a quaranta metri d’altezza e troverà tutte le informazioni che desidera. Qualcuno di voi (ricordando una cosa importante) mi ha sollecitato a dare il permesso di fumare in cantiere: concesso, tanto se deve accadere qualcosa accadrà, però poi non vi lamentate. Vi auguro buon lavoro e buona fortuna e ricordatevi che per i più meritevoli alla fine vincerà l'anagrafe! E adesso… al lavoro!” (spronando gli operai) E mi raccomando: la gente ci guarda e ci giudica! (Tripudio, strette di mano, abbracci, applausi, lacrime di gioia degli altri datori di lavoro appaltanti; vola qualche sedia a rotelle dal palco)

Gli spettatori s’affrettano a spostarsi lungo gli spalti per cercare la visuale migliore; sanno bene che il vero divertimento sta per iniziare.

Io mi reco direttamente nell’ospedale da campo; è lì che giungono le vittime.

I primi lavoratori feriti arrivano già alle dieci del mattino all'ospedale da campo allestito nel cantiere (ospedale predisposto così come prescrive il testo unico sulla sicurezza e il successivo decreto correttivo), a fianco del locale ristoro e della mensa; un via vai di medici e d’infermiere - sorelle di Gesualda - “assistono” quelli che per il momento ce l'hanno fatta ma è solo questione di tempo! Ogni arrivo al campo delle vittime è una nuova tortura: scarpe chiodate che si trascinano il corpo sulle pietre; gli infortunati parlano poco, solo alcuni accennano alla debolezza, al freddo in un delirio crescente.
Una - sorella di Gesualda - idonea a fornire assistenza perchè ha frequentato con profitto l'esaustivo e complesso iter formativo di primo soccorso della durata di qualche decina di minuti, accoglie con amore un ferito precario, nero, clandestino, nullatenente, tossico, meridionale (in Africa), anarchico, sfortunato, dal nome impronunciabile: Antonio e, qualcuno sostiene anche: omosessuale. Il ferito, sulle cui spalle è avvinghiato un avvoltoio in servizio, è accompagnato da uno dei due preti del cantiere che, chinato sul su di lui, cerca di raccogliere le sue ultime volontà per un prezzo che va dai dieci ai quindici euro. La dama di carità (una delle sorelle di Gesualda), all'ingresso dell'accampamento, gli sottopone un modulo di sei fogli da compilare al fine di ricevere assistenza; lo rende, inoltre, edotto delle regole e delle procedure da seguire.
Il poveretto, colpito alla regione corporea da un blocco di quattro tonnellate di cemento armato e impossibilitato a respirare, fa degli ampi cenni con la mano indicando lo stomaco; - la sorella di Gesualda -, addestrata al fine di instaurare un clima di reciproca fiducia con i pazienti, con un sorriso stampato sulla bocca, fa cenno di avere capito ma, impassibile, sferrandogli un calcio nelle parti basse, ribadisce con tono perentorio chi è comanda lì.
Alla insufficienza cardiorespiratoria sopraggiunta, l’infermiera, mossa a compassione, e solo per questa volta, gli evita la compilazione del foglio sulla privacy; il prete e l'avvoltoio, intanto, non visti dalla sorella, perchè distratta da una telefonata, cercano di soffocare il poveretto con un cuscino ma non vi riescono; a spingerli al tentato omicidio è stata la loro avversione per i gay.
Consapevole che in questi casi è abbastanza inopportuno perdere tempo, la - sorella di Gesualda - contatta via megafono il medico; nell'attesa decide, vista la sua notevole esperienza infermieristica, di trasportare il paziente nella sala parto dell'accampamento e di predisporlo al taglio cesareo; hanno ritrovato Antonio poco dopo, suicida, con un biglietto tra le mani:
“Non sono incinto str…! Va’ al diavolo!”.
Sembra che a scrivere il biglietto del “partoriente” sia stato lo stesso avvoltoio da tempo affetto da doppia personalità e, a tutt'oggi, sottoposto a psicoanalisi.

Il referto dell'autopsia, chiesta subito dopo la morte del poveretto dalla sua famiglia, così riporta:

Il soggetto, prima di togliersi la vita, a seguito dello schiacciamento aveva riportato uno shock traumatico ed ipo-volemico secondario a pneumotorace destro drenato, frattura epifisi-metafisi distale del femore destro, frattura somatica amielica del corpo della 21^ vertebra dorsale e lacerazione epatica con versamento emorragico libero endoaddominale. Nessuna traccia di feto è stata registrata.

Venuti a conoscenza della prematura morte del collega e delle circostanze che l'hanno provocata, ben altri venticinque ricoverati, temendo le rappresaglie della sorella e per dare un violento segnale distensivo, decidono di porre fine alla loro vita bevendo della pece liquida, servita loro dall’avvoltoio schizofrenico.
È tarda sera ormai: sono quasi le ventidue, la giornata di lavoro è appena terminata; la proiezione di - il meglio degli infortuni - è finita; gli spettatori iniziano a sfollare il cantiere commentando entusiasti l'accaduto; i bambini reclamano ancora qualche gelato; alla spicciolata escono i lavoratori sopravvissuti dirigendosi cupi e stanchi ai pullman.
Gli operatori della “security”, della “safety, i datori di lavoro, gli ispettori: del lavoro, della A.S.L. e del ministero, i medici competenti, i poliziotti, decidono di continuare, come ogni sera, la serata al bar per scambiare due chiacchiere tra amici e bere un bicchiere di vino; due - sorelle di Gesualda - escono dal cantiere e si dirigono, insieme alla coppia di preti, a piedi verso la parrocchia. Qualcuno giura di aver visto un prete allungare le mani sulle chiappe di una delle - sorelle di Gesualda -.
Il custode chiude il cancello del cantiere trascinandosi a fatica la sua gamba di legno (modellata male vanifica il lavoro svolto dalla collega sana) e s'appresta alle cancellazione delle tracce e del relativo sangue delle vittime. Domani si ricomincia allo stesso modo e sembra che non sia cambiato nulla rispetto al giorno prima, se non fosse per quelle croci in più malinconicamente sistemate sulla fossa comune; anche oggi la campana ha suonato per qualcuno e, guarda caso, questo “qualcuno” è sempre e solo povera gente.


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Vincenzo DE BIASE - Sezione Pcl Trieste

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