Dalle sezioni del PCL

CONTRO I LICENZIAMENTI ALLA BINDI DI SAN GIULIANO MILANESE

comunicato stampa (ripreso da Il Giorno e Il Cittadino) del 24 ottobre e volantino distribuito in fabbrica

2 Novembre 2011

COMUNICATO STAMPA
Con l’accordo sottoscritto il 23 luglio scorso dalla Bindi S.I.P.A., CGIL-CISL e UIL e le RSU in Assolombarda, si ufficializza il nuovo piano industriale della nota azienda alimentare.

L’ultima realtà produttiva di qualche rilievo e importanza sul territorio di San Giuliano Milanese decide di seguire la nota strada della ristrutturazione interna per tagliare i costi attraverso la messa in mobilità di circa 80 lavoratori, facendo pagare ancora una volta la riduzione dei profitti a operai e impiegati.

Nel mese di giugno, durante le trattative in Assolombarda con le RSU, la Bindi lamentava un calo produttivo del 7% nel primo semestre dell’anno, atto a giustificare la scelta di riduzione del personale. Una richiesta suffragata unicamente dalle parole della direzione e a fronte di un calo produttivo assolutamente inferiore a quelli registrati in gran parte degli altri settori, tale da non costituire un dato di crisi strutturale.

Ciò nonostante la Bindi chiede e ottiene una parziale sostituzione del personale con l’appalto di alcune funzioni, imponendo che alcuni suoi operai scelgano fra il licenziamento o la riassunzione attraverso cooperativa. Un fatto che costituisce un pericoloso precedente che potrà essere usato anche per ristrutturazioni future.

Notiamo, fra l’altro, che il processo di sostituzione del personale esperto con personale generico e precario, che prevedibilmente si attuerà nel giro di qualche anno come già avvenuto alla San Carlo e in altre realtà produttive, potrebbe avere delle ricadute sulla qualità del prodotto e quindi acuire le difficoltà attuali. I proprietari della Bindi e la loro dirigenza dimostrano di essere miopi e di privilegiare profitti a breve termine, a scapito dei risultati di lungo termine.

Al rientro dalle ferie, imprevedibilmente, l’Azienda chiede e ottiene dalle RSU ben 8 giorni di lavoro in più nel mese di settembre e ottobre per fare fronte ad un ordine non programmato. Non solo: fra il 23 ottobre e il 23 novembre è previsto un incremento delle notti lavorate. E’ evidente che il settore alimentare non era e non è in crisi, come dichiarato dalla dirigenza. E’ evidente che una fluttuazione del mercato viene usata come alibi per scardinare i diritti dei lavoratori e aumentare la precarietà interna.

Ma anche se l’Azienda risentisse della crisi, perché dovrebbero essere i lavoratori (operai e impiegati) a dovere accettare il taglio di salari e posti di lavoro? Perché i padroni non si devono assumere fino in fondo le loro responsabilità e rinunciare a qualcosa anche loro?

Inoltre, perché l’Azienda investe milioni per realizzare sul proprio piazzale, usato finora come parcheggio dai dipendenti, un grande bar tavola calda, per poi far pagare l’investimento ai lavoratori tagliando posti di lavoro e incrementando il disagio per chi usa la macchina per andare al lavoro?
Tra l’altro domandiamo a Regione e Comune perché il rilascio delle autorizzazioni alla edificazione di questa struttura non sia stato vincolato al mantenimento dei livelli occupazionali, visto che la disoccupazione produce un aumento di povertà e di tensione sul territorio.

Infine: l’accordo non è mai stato sottoposto a votazione nelle assemblee. La discussione con i lavoratori non ha mai avuto carattere decisionale. E’ tempo che i lavoratori si esprimano direttamente, eventualmente con un referendum. E’ tempo che i lavoratori escano dal silenzio e chiedano il sostegno che gli è dovuto, perché il destino di una fabbrica è il destino di un territorio e di una intera società. E’ tempo di resistere e di lottare.

VOLANTINO

E’ già successo a lavoratori di altre aziende. Potrebbe essere solo l’inizio…

L’accordo firmato contiene una prefazione molto discutibile. I proprietari lamentano la diminuzione del fatturato, a causa della crisi e della concorrenza di aziende di minori dimensioni che lavorano a costi inferiori, ma poi per garantire la produzione, organizzano per chi torna dalle ferie giorni di flessibilità non programmati precedentemente.
I lavoratori (operai e impiegati) messi in mobilità saranno sostituiti da lavoratori di cooperative o con contratti a termine; più flessibili, non gestiti dall’azienda, cui saranno garantiti minori diritti.. Del resto, se così non fosse, perché effettuare lo scambio tra lavoratori specializzati e lavoratori generici?
Per alcuni di questi addirittura viene imposto il cambio delle norme contrattuali (la riassunzione in cooperativa o il licenziamento).

Si deve respingere l’accordo, eventualmente con un referendum, tanto più che i lavoratori finora non hanno mai votato. Ci si deve preparare per difendersi da subito da ulteriori tagli del personale. I diritti dei lavoratori assunti a tempo indeterminato vanno estesi a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto sottoscritto, evitando come da tempo succede, che siano i lavoratori assunti stabilmente a perdere i diritti di cui dispongono.
La presenza in azienda, di lavoratori trattati diversamente, peggiora le condizioni di tutti e crea delle pericolose divisioni. L’accordo rappresenta un pericoloso precedente per il futuro.
Bisogna ricordarsi, infine, che se tutti gli operai e gli impiegati smettessero di lavorare, proclamando lo sciopero, allora sì che l'azienda andrebbe in crisi perchè non ci sarebbe chi produce. La forza della lotta è nell'unità.

Non siete soli!
Uscite dal silenzio per ritrovare una dignità perduta ormai da troppo tempo.

PCL Milano

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