Dalle sezioni del PCL

DAL BOULEVARD ROTHSCHILD ALLA PRESA DELLA BASTIGLIA

26 Ottobre 2011

Il circolo PCL di Torino“ Vito Bisceglie” mette in circolazione in italiano questo articolo tratto da Prensa Obrera non tanto perché ne condivida in pieno tutti i passaggi, ma soprattutto perché esso fornisce elementi di conoscenza dei fatti legati a una prospettiva di ricomposizione di classe, unica garante di una pace vera in Medioriente.



Da Prensa Obrera, organo del Partido Obrero (Argentina) n°1196, 29/9/2001

DAL BOULEVARD ROTHSCHILD ALLA PRESA DELLA BASTIGLIA

“Dal Boulevard Rothschild alla presa della Bastiglia”(1) così domenica 4 settembre 2011, Shuki Sadeh e Ido Efrati, due giornalisti del quotidiano israeliano Haaretz commentavano la gigantesca mobilitazione di più di 450.000 persone.

Il paragone sembra un po’ azzardato. Senza dubbio fa riferimento all’eccezionale record di mobilitazione degli “indignados” israeliani, una protesta di piazza assolutamente senza precedenti: quasi il 7% della popolazione di tutto il paese inclusa la vasta minoranza palestinese che vive nello Stato giudaico.

Tra i dittatori del mondo arabo e i governanti democratici israeliani c’è solo una differenza di livello. Fondamentalmente difendono i medesimi interessi di classe e gli uni e gli altri sono mani e piedi legati all’imperialismo.


I precedenti

Il movimento degli “indignados” ha trovato ostacoli fin dalle sue prime mosse. Uno dei più pericolosi è stata la xenofobia antipalestinese, ampiamente sfruttata in seguito a una serie di attentati terroristici. La scarsa partecipazione alla manifestazione del sabato precedente, 27 agosto, diede fiato alla borghesia sionista che si illuse di poter cantar vittoria fin da una settimana prima del sabato 3 settembre.

Non ostante tutto, il fuoco si faceva sempre più vivo.
L’accordo che il governo “festeggiò” con la burocrazia dell’ Associazione dei medici fu disatteso da parte dei medici stessi: la direzione burocratica dell’Associazione si trovò costretta da uno sciopero prolungato a promettere alcune concessioni a determinati settori. Ma la massa della popolazione non ne trasse alcun vantaggio. E dunque rilanciò lo sciopero con maggior forza: il sistema sanitario è paralizzato da prima dell’inizio dell’ondata degli “indignados” che ha invaso l’intero paese.

A Tel Aviv e a Gerusalemme furono occupati quasi una decina di edifici pubblici utilizzati come abitazioni e centri organizzativi degli accampamenti. Il governo scatenò la polizia contro gli occupanti: decine di attivisti finirono in carcere. Lo stesso metodo che vige da sempre nei territori occupati contro i palestinesi, ma senza arrivare a far morti..

Dunque, la marcia del sabato 3 settembre fu la risposta ad un governo deciso a spegnere la volontà di protesta degli “indignados”.
Fu la reazione degli strati più profondi del paese.
La Histadrut (CGT) stava completamente al margine. Il principale appoggio esterno arrivò da una lucida voce del giornalismo israeliano, Guideon Levy, che due giorni prima aveva pubblicato su Haaretz un articolo che invitava alla “marcia del milione” per cambiare l’ agenda tradizionale del paese, quella della sicurezza e del militarismo, con un’altra che difendesse le proteste sociali di “un nuovo Israele”.

È cosi che il movimento superò la mobilitazione di un mese prima, con più di 300 mila persone, come nel 1982, quando scese in piazza una moltitudine pressoché uguale contro lo sterminio di Sabra e Chatila in Libano, perpetrato nei campi profughi palestinesi dall’esercito sionista unito alle falangi cristiane. Quel movimento non ebbe seguito.

Le mobilitazioni di oggi mostrano un segno di cambiamento? Questo pare essere il messaggio che viene da tutte le città e tutti i villaggi del paese. A Gerusalemme, la città più conservatrice e sede delle principali scuole religiose (ieshivàs) una moltitudine senza precedenti di 50 mila persone ha riempito la piazza Paris e i sui dintorni, quasi il doppio della mobilitazione di questa estate”.

Sintomi di un fenomeno rivoluzionario

Non sono mancati gli intenti di legare la mobilitazione sociale in Israele con la forte richiesta di farla finita con l’ oppressione del popolo fratello arabo-palestinese: “per questo l’iniziativa fu criticata in determinati circoli della sinistra, al fine di non toccare, per motivi tattici, lo spinoso tema dell’occupazione e della colonizzazione dei territori palestinesi” (così informano La Nacion e Pagina/12 del 4 settembre 2011).
E’ certo è che, a partire da molto tempo prima dell’insediamento dello Stato di Israele, non si raggiungeva più una tale convergenza tra palestinesi ed ebrei. La cronaca di domenica 4 settembre, apparsa su Haaretz, informa che ad Haifa, la protesta ha raggiunto 40 mila manifestanti, molti dei quali sventolavano bandiere rosse. Questa protesta si focalizzò sulla questione della discriminazione contro gli arabi. Shahin Nasser, rappresentante del movimento di protesta degli “indignados” di Haifa diceva: “Oggi stiamo cambiando le regole del gioco. Non più coesistenza per una manciata di spiccioli. Qui si sta concretizzando una coesistenza vera: arabi ed ebrei marciano uniti fianco a fianco per reclamare la giustizia sociale e la pace. È questo che rivendichiamo”.
“Bibi vattene via! Steiniz, a casa! e non farti più vedere! Atias, addio, e stattene ben lontano!” diceva Shain Nasser rivolgendosi al primo ministro e rispettivamente ai ministri della Finanza e dell’Edilizia.


Le sfide
Circa 55 anni fa lo Stato sionista fu installato in Medio Oriente, sotto la spinta degli accordi controrivoluzionari tra imperialismo mondiale e burocrazia dell’ex URSS, sotto pretesto di dare una sede nazionale ai sopravissuti dell’olocausto.

Tale operazione nascondeva senza dubbio una delle peggiori ferocie del post guerra. Si occultava il collaborazionismo atroce dei “democratici” nello sterminio degli ebrei durante quella conflagrazione (cosi come si occultava la posteriore persecuzione antisemita nell’URSS, che anche i “democratici” lasciarono passare impunemente). Gli Stati Uniti e l’ Inghilterra erano a conoscenza dei campi di concentramento fin dal principio, però non fecero nulla: per esempio, bombardare le linee ferroviarie che conducevano a quei campi. Senza parlare del loro rifiuto ad accogliere gli ebrei perseguitati di tutta Europa, prima e durante al guerra. Finita la guerra, invece di favorire il ricongiungimento dei sopravvissuti con i loro familiari in occidente, li usarono come testa d’ ariete per costruire uno dei maggiori drammi del post guerra fino ad oggi.

Si cacciava via un popolo – il popolo palestinese – dalle sua terra per darla a un altro, che, sotto la finzione di creare un’oasi democratica (addirittura socialista, diceva lo stalinismo e più di un “trotskista”) diede luogo non solo a un regime di usurpazione della terra di un’altra nazione, ma a un regime sempre più militarista, teocratico e fascistoide – come viene caratterizzato oggi lo Stato di Israele persino da settori “sionisti democratici”. Un regime gendarme dell’imperialismo mondiale, come evidente a partire dalla guerra del Canale di Suez (1956), e poi nel 1967 con la guerra ”dei 6 giorni”, durante le “intifada” del popolo palestinese e infine ora sotto l’impulso della cosìddetta “primavera araba”.

Qui stanno i nodi della questione cruciale che dovrà affrontare, prima o poi, il movimento degli “indignados”: la questione della unità nazionale della Palestina, sotto una maggioranza nazionale arabo palestinese. Questo è il percorso che conduce a una Federazione Socialista di tutti gli stati del Medioriente, dall’ Iran fino all’Algeria.

Quel giorno sarà la vera presa della Bastiglia degli sfruttati di tutta la regione.
IANIR



(1) Il 24 luglio 2011 improvvisamente nasce una tendopoli lungo il boulevard Rothschild, nel cuore di Tel Aviv.
L’inizio era partito da pochi studenti contro i prezzi degli affitti.
Boulevard Rothschild era stato la scintilla, non la fiamma di tutto quanto oggi prende
sempre più vita in tutto il paese.
Il riferimento alla Bastiglia è ovviamente relativo alla coincidenza della data 14 Luglio.

circolo PCL di Torino“ Vito Bisceglie”

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