Dalle sezioni del PCL

Perché il PCL ha ragione.

4 Gennaio 2011

Premetto: non sono un operaio, non lo sono mai stato. Osservando tuttavia da vicino e con attenzione l'evolversi della storia del nostro paese e non solo, noto con sconcertante chiarezza ciò che di irreversibile (o quasi) sta accadendo intorno a noi.
Lentamente ma in maniera inesorabile, il motivetto di fondo che caratterizza la sigla di questi ultimi trent anni è il tentativo, perfettamente riuscito, di scaricare sui lavoratori i rischi dell'impresa. Il culmine di questa strategia è l'accordo (si fa per dire) Marchionne. Non mi sorprendo come si possa essere arrivati ad una tale protervia, ad un limite incredibile di violazione dei più elementari diritti del lavoro e della persona, anzi, lo trovo assolutamente ovvio e naturale. Ad iniziare dalla soppressione della scala mobile, passando per il pacchetto Treu e la legge 30, è stato un susseguirsi di manovre e indirizzi volti ad incrementare a dismisura le diseguaglianze sociali e marcando in modo netto l'intuizione di Hegel sul concetto di "Padrone - servo". E' lampante. Si dice che i sacrifici richiesti dalla Fiat ai suoi operai sono il risultato di una analisi ponderata del momento di crisi che sta attraversando il mondo intero; tirata la cinghia si potrà poi tornare a momenti di vacche grasse, confermando la ciclicità del sistema capitalistico che, nei momenti positivi assicura ricchezza e crescita per tutto il mercato. Non capisco però perché, secondo i dati più recenti, nel 2000 (molto prima della crisi internazionale) i disoccupati nell'area Ocse fossero più di 35 milioni. Un dato asciutto, semplice e chiaro che testimonia come la politiche neo liberiste iniziate negli anni ottanta, hanno portato il mondo del lavoro ad un progressivo imbarbarimento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, aumentando il dislivello tra ricchi e poveri per cui, la Banca d'Italia e non esattamente il centro sociale Leoncavallo, dice nel suo rapporto del 2008 che la metà più povera delle popolazione possiede il 10% della ricchezza ed il 10% più ricco ne detiene il 44%. Basta? No, perché i sostenitori dell'accordo Marchionne ci dicono che queste sono le regole, che questo è il mercato globalizzato e pensare di opporsi a questo sistema dimostra solo un'arretratezza culturale anti storica e utopistica. Benissimo. Di fronte a divisioni di questa portata non credo ci possano essere ancora dubbi sull'esigenza di lavorare per creare un "fronte di conflitto sociale" senza precedenti nel nostro Paese, al fine di porsi come obiettivo una più equa distribuzione del reddito e delle condizioni di lavoro. Non ci può essere dialogo, non vedo spazio per la concertazione su temi politici da condividere o solo da smussare; qui la situazione è di piena emergenza e tutte le volte che una parte sociale, siano essi studenti o lavoratori, hanno alzato la voce, si è ottenuto qualcosa, un risultato, un tumulto delle coscienze dormienti, una speranza per il futuro. Non posso dialogare con esponenti di un Governo che striscia ai piedi di un uomo come Berlusconi. Non riesco a concepire un tavolo con un ministro come Sacconi, mi è impossibile credere di poter discutere con Maurizio Gasparri o con Cicchitto o la signora Santanché. E' pura follia.
Alzare il livello dello scontro, non dare tregua alla lotta con la determinazione di andare fino in fondo. Sotto la coltre melmosa dell'informazione totalmente asservita e praticamente in mano ad un uomo solo, esiste un grande fermento e soprattutto un'insoddisfazione di fondo che grida la sua rabbia in un silenzio cupo ed isolato. Il cartello formato dai due schieramenti che da quasi vent'anni si dividono responsabilità di Governo non potrà essere certo il mediatore di ipotetici cambiamenti di questa portata. E allora ha ragione il PCL che esclude a priori qualsiasi forma di "dialogo" con chi, in perfetta malafede, studia sistematicamente il modo più rapido ed invasivo per ribadire l'assioma hegeliano del Padrone - servo. Io non voglio più essere servo e non voglio più Padroni. Questo è il punto di partenza. Se non si inizia non cambierà nulla e non mi risulta che ai piedi della Bastiglia o nei paraggi del Palazzo d'Inverno, bastò bussare educatamente per varcare la soglia. Ogni giorno in più, è un giorno perso.

Andrea Boni

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