Rassegna stampa

Con la crisi sulle spalle

(da il Manifesto)

13 Giugno 2010


I lavoratori costretti a pagare, gli insegnanti della scuola che non si rassegnano alla privatizzazione e ai tagli, i metalmeccanici della Fiom in piazza per non cedere al ricatto di Pomigliano, gli enti di ricerca soppressi. La Cgil, isolata dagli altri sindacati, porta in piazza la prima protesta di massa contro la manovra. E si tira dietro tutta la sinistra. Epifani: colpiti solo i ceti bassi

L'hanno presentata come la manifestazione degli statali. Ma non è stato così. Ieri a Roma con la Cgil a manifestare contro la manovra economica voluta da Tremonti c'erano lavoratori di tutti i settori. Convinti di partecipare perché «l'attacco parte dai lavoratori pubblici, ma è un modo per intaccare il sistema dei diritti attuale. Arriverà anche a noi». Lo spiega con molta chiarezza un metalmeccanico della Saras - di proprietà della famiglia Moratti - arrivato dalla provincia di Cagliari con moglie e figlio in passeggino. In mano la bandiera della Fiom legata allo stemma dei quattro mori, la bandiera «nazionale» sarda. La moglie, che era impiegata a tempo indeterminato in un'azienda di trasporti sempre nel settore petrolifero, è stata licenziata dopo un anno dalla maternità «sai com'è - spiega - hanno messo la scusa del calo delle attività». Ora lavora in un'impresa simile, ma con un contratto a tempo determinato che scade alla fine del mese. E' la fotografia di una famiglia italiani qualsiasi. E per fortuna che in questo caso almeno un componente - l'uomo, guarda un po' - possa ancora contare su un contratto a tempo indeterminato. Le loro preoccupazioni, sotto il sole di Roma e sotto la scure di Tremonti, le mettono in fila con lucidità: «Sarà sempre più dura contare su una continuità lavorativa, perché la crisi morde ma non c'è neanche uno straccio di politica per lo sviluppo. E intanto cominceranno a metterci le mani nel portafogli: basta guardare ai tagli agli enti locali. E che li pagherà i servizi? Ovviamente noi». Ci vorrebbe un paese un po' più simile a questa piazza. Non perché si faccia il tifo per la Cgil, ma perché ieri, a piazza del Popolo, si poteva dialogare con centinaia di persone capaci di andare aldilà della facile retorica e della pericolosa mistificazione servita ogni giorno come menù dal tele-governo. Giovani e anziani, italiani e immigrati, dalla Sicilia e dal Piemonte, tutti con in testa, sulla schiena, attaccati allo zaino i fazzoletti rossi distribuiti per l'occasione dal sindacato: «Tutto sulle nostre spalle», lo slogan della manifestazione. Sulle spalle dei lavoratori che fanno i mestieri salariati, quelli che non hanno tante scappatoie per le evasioni, quelli che si svegliano tutte le mattine per portare a casa i soldi che servono a vivere una vita che si vorrebbe, semplicemente, dignitosa. Quelli, insomma, che portano avanti il paese. E lo fanno con orgoglio. Ma si sentono affannati. Sulle loro spalle non ci sono solo i sacrifici economici - con il blocco dei contratti e del turn over che la manovra porterà con sé - ma c'è anche il tentativo di dare un senso al paese. Lottando spesso contro i mulini al vento. «Io tutte le mattine devo ricostruire quello che al pomeriggio la tv distrugge - dice Stefania, professoressa di italiano in un liceo pedagogico della provincia di Forlì - ai nostri ragazzi fanno credere che si diventa ricchi e importanti facendo la velina e il tronista. Faccio lezione in classi con più di 30 ragazzi, dove spesso ci sono due disabili, uno più grave e uno meno, cinque o sei ragazzi di origine straniera, altrettanti dislessici che non vengono più certificati. E adesso la riforma delle superiori delle Gelmini cosa fa? Diminuisce l'orario. Da 33 ore passiamo a 27 nel biennio». E' il «massacro della nostra scuola», che denuncia il segretario della Cgil Flc Mimmo Pantaleo dal palco: «Il fine ultimo del ministro Gelmini è privatizzare il sistema: non siamo disponibili a vendere la scuola e l'università. Se queste sono le loro riforme possono tenersele. Siamo disponibili a fare non una lotta, ma cento», dice ricordando lo sciopero generale del 25 giugno che viene accolto da un'ovazione dalla piazza. La Cgil è scesa in piazza da sola, senza Cisl e Uil. Dicono «siamo centomila», e non sono molti di meno se a fine giornata anche la questura dirà che i numeri «ufficiali» sono di 25 mila: roba da grande mobilitazione, in piena estate. Dal palco si sente la voglia di dare la carica, di ricordare che «questa è la Cgil», sono tantissimi gli interventi in cui si dice «non vi lasceremo soli». Ma anche il sindacato non è stato lasciato solo, per quel che rimane sulla piazza della sinistra. Ieri verso piazza del Popolo ha sfilato tutto il centrosinistra, dal Pd all'Idv dal Sel a Rifondazione, appoggia anche il Pcdl di Ferrando. Quanto poi sia possibile mobilitare ampie fette del paese dopo le batoste degli scorsi anni, è tutta da vedere. Certo, la situazione è seria, a partire dal pubblico impiego, come ha ricordato Rossana Dettori segretario generale della Fp Cgil, ricordando che il potere di acquisto dei dipendenti pubblici perderà in termini di potere d'acquisto 3 mila euro. «Non siamo Alice, non viviamo nel paese delle meraviglie», attacca il leader della Cgil dal palco, Guglielmo Epifani. Gli tocca ancora rispondere a chi - di nuovo ieri - da destra (ma pure dal centro di Pierferdinando Casini) bollavano la mobilitazione della Cgil come inutile e addirittura dannosa. «Non veniamo meno al senso di responsabilità che abbiamo sempre dimostrato - dice Epifani - le battaglie si fanno per l'interesse generale del paese e per le fasce più deboli». Al parlamento, la richiesta di cambiare una «manovra iniqua». All'Europa di introdurre - finalmente - una tassazione sulle transizioni finanziarie speculative. Alla piazza, l'arrivederci al 25 giugno, per lo sciopero generale.

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FONTE

  • luca.prini@libero.it