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L’INIZIO DI UNA CRISI ISTITUZIONALE. LA NECESSITA’ DI UNA RISPOSTA PROLETARIA INDIPENDENTE.
22 Ottobre 2009
La situazione politica italiana ha registrato in queste settimane fatti di indubbio rilievo. La bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale, le successive reazioni del Presidente del Consiglio, lo scontro tra Presidenza del Consiglio e Presidenza della Repubblica, hanno innescato, in un clima già da tempo deteriorato, un’improvvisa accelerazione degli avvenimenti politici in direzione di una possibile crisi istituzionale.
La situazione è in pieno movimento, ed è azzardato avanzare previsioni certe e definitive. Tuttavia è possibile ed utile segnalare i nodi di fondo e le principali linee di tendenza.
1) Tutti gli elementi reazionari del berlusconismo si sviluppano in forma concentrata. Sino ad oggi, sia pure con ricorrenti contraddizioni e frizioni, le tradizionali tendenze populistico plebiscitarie del Cavaliere (svalutazione delle sedi parlamentari a favore del potere esecutivo, conflitti con la magistratura, appelli “al popolo”, scontri con la stampa...) si erano collocate all’interno di un relativo equilibrio politico istituzionale. Un equilibrio certo insidiato a più riprese da quelle tendenze, ma sostanzialmente accettato o subito dai principali protagonisti dello scenario politico. Nell’ultima fase quell’equilibrio mostra crepe sempre più larghe e rischia di precipitare.
2) La prima fase di questa crisi si dispiega dopo il voto europeo. E’ la fase in cui il mancato successo elettorale berlusconiano (perdita di tre milioni di voti in un anno) si combina con l’esplodere degli scandali di corte, con lo sviluppo strisciante di una corsa alla successione all’interno della maggioranza ( tensioni con Fini..), con l’aprirsi di contrasti con settori della Chiesa (area Ruini), con l’affacciarsi di contraddizioni nuove nel blocco sociale di riferimento del centrodestra, sotto la pressione materiale della crisi capitalistica (insoddisfazione crescente di strati popolari nel Sud e di settori di piccola e media borghesia del Nord). Berlusconi reagisce a questo quadro di difficoltà da un lato rinsaldando l’asse di ferro con la Lega, dall’altro passando ad una guerra di movimento contro i suoi avversari: intimidazioni giudiziarie ad alcuni organi di stampa (la Repubblica e Unità), cambio di gestione del giornale di famiglia (soluzione Feltri) in direzione di una linea di scontro, attacco diretto a Boffo- Ruini ( a favore di un asse diretto con Bertone e la Segreteria vaticana), apertura dello scontro con Fini, riproposizione più o meno grottesca della propria auto rappresentazione mitologica di uomo della Provvidenza (“Il più grande statista degli ultimi 150 anni..”, “il salvatore miracoloso dell’Abruzzo”..). Tuttavia questa prima reazione “furiosa” si conteneva ancora dentro la salvaguardia di una relazione istituzionale, suggerita insistentemente da Gianni Letta e predicata ogni giorno da Napolitano: al punto che il varo della cosiddetta “riforma della giustizia” veniva sospeso, in attesa del pronunciamento sul Lodo Alfano; e che la stessa ricerca di una soluzione concordata sul Lodo coinvolgeva apertamente i giuristi del Quirinale, col viatico di Letta.
3) La seconda fase della crisi, in pieno sviluppo, si manifesta dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Agli occhi di Berlusconi non si tratta solo del riaffacciarsi dello spettro di una incriminazione giudiziaria, ma del fallimento di un equilibrio istituzionale e della linea di “mediazione”. Da qui il salto politico: l’attacco alla Presidenza della Repubblica e il rilancio della guerra alla magistratura. Dentro una aperta rivendicazione dell’”investitura popolare” come fondamento principe del proprio potere contro gli altri poteri dello Stato. La rivendicazione di una riforma costituzionale in senso presidenziale- con aperto riferimento alla quinta Repubblica francese- è la traduzione di questa pulsione. In questa reazione non giocano solo elementi emotivi , di fragilità nervosa o di ordinaria megalomania (indubbiamente presenti e patologici), ma anche fattori di calcolo politico. Dentro un aperto conflitto di potere Berlusconi decide di far leva sul suo principale elemento di forza : la relativa tenuta del consenso popolare. Ed anzi punta a consolidare il proprio consenso popolare proprio per via della contrapposizione politica agli altri poteri dello Stato. L’elemento politico del richiamo plebiscitario, da sempre presente nel berlusconismo, tende ad assumere una valenza centrale.
4) Non è ancora chiaro- probabilmente neppure a Berlusconi- lo sbocco politico concreto del suo nuovo corso. Due sono i possibili scenari, in parte sovrapposti ma certo diversi: uno più soft o minimale , l’altro decisamente più radicale. Il primo scenario è quello che vede il Presidente del Consiglio agitare la riforma costituzionale come deterrente contrattuale per cercare in realtà un nuovo punto d’equilibrio all’interno dell’attuale quadro istituzionale: un presidente della repubblica tenuto sotto pressione e delegittimato nel suo ruolo “super partes” dalla campagna propagandistica berlusconiana, avrebbe minori margini di manovra nella gestione degli effetti di una possibile condanna giudiziaria del Cavaliere, rendendo più difficile la sua destituzione; parallelamente Berlusconi e il suo fido Ghedini cercherebbero l’ennesimo marchingegno per disinnescare i processi. Il secondo scenario è quello che vede il presidente del consiglio intraprendere realmente la via della revisione istituzionale in senso presidenziale: con la definizione di un concreto progetto di riforma, il doppio passaggio alle camere, il referendum confermativo. Non è una via semplice per Berlusconi, nell’attuale quadro di scontro: dovrebbe sconfiggere resistenze interne alla sua stessa maggioranza, perché non solo Fini ma neppure la Lega è interessata alla precipitazione di un conflitto politico-istituzionale che rischierebbe di complicare ulteriormente l’itinerario del “federalismo”; e certo non incontrerebbe i favori di Confindustria e dei poteri forti, che guardano con timore ad un quadro di destabilizzazione istituzionale, tanto più sullo sfondo della crisi economico-sociale. Ma non si può affatto escludere che la dinamica degli avvenimenti imprima questa direzione di marcia. E che un Berlusconi con le spalle al muro giochi alla fine la carta dell’avventura, puntando su una sorta di svolta bonapartista.
5) Paiono nettamente indebolite, nell’attuale scenario, sia la via delle elezioni anticipate per volontà del Cavaliere, sia l’ipotesi subordinata di un governo di “garanzia istituzionale” con nuova maggioranza parlamentare. La prima perché Berlusconi non si fida di Napolitano e di una crisi rimessa nelle sue mani; né si fida fino in fondo di una maggioranza parlamentare composta di tanti deputati ancora in attesa di maturare i diritti di pensione e quindi refrattari allo scioglimento delle Camere. La seconda perché l’unica nuova maggioranza reale e possibile ( sia alla Camera che al Senato) richiederebbe il coinvolgimento determinante di Fini e dei finiani: che non pare vogliano bruciarsi in una soluzione rischiosa ed incerta compromettendo le ambizioni strategiche di prospettiva. Con ogni probabilità assisteremo dunque al tentativo di Berlusconi di blindare questa legislatura e l’attuale maggioranza, come quadro di sviluppo della propria operazione politico- istituzionale: puntando su qualche successo d’immagine (case ai terremotati in Abruzzo) da vendere al “popolo”; sulla crisi profonda delle opposizioni; ed anche sul perdurante sostegno della Confindustria, che guarda con imbarazzo la via populistica del Cavaliere, ma continua a garantirgli l’appoggio( sia per l’assenza ad oggi di alternative politiche praticabili, sia per continuare ad incassarne i favori).
6) Ciò non significa che venga meno la trama politica esistente nel campo borghese per una soluzione alternativa a Berlusconi. E’ un lavorio sottotraccia sospinto da ambienti di Bankitalia, della grande finanza ( Banca Intesa) , della grande industria (Montezemolo); ed anche da settori politici trasversali (UDC, area finiana della PDL, il giro di Gianni Letta, il settore dalemiano del PD, la personalità di Giulio Tremonti). Ma l’oggetto di questo lavorio non è ad oggi la diretta defenestrazione del Cavaliere. E’ la preparazione della successione a Berlusconi a fine legislatura,quali che siano i suoi tempi: dentro un’aperta competizione sottotraccia tra progetti diversi e ambizioni confliggenti (contrasto Draghi-Tremonti, divergenze sullo stesso modello istituzionale tra Fini e Casini..). Peraltro uno degli scopi dell’accelerazione populista-plebiscitaria di Berlusconi è quello di tagliare l’erba sotto i piedi di ogni operazione di “successione”, di ogni “congiura” ai suoi danni, utilizzando anche le contraddizioni tra i “congiurati”. Impossibilitata a pervenire a breve ad uno sbocco politico, la trama antiberlusconiana nel campo borghese diventa dunque di fatto uno dei fattori propulsivi della possibile svolta “bonapartista”.
7) La dinamica di accelerazione dell’offensiva berlusconiana è una nuova cartina di tornasole della subalternità e/o impotenza delle opposizioni liberali, e della crisi di direzione del movimento operaio. Il principale partito dell’opposizione borghese liberale- il PD- resta paralizzato non solo da una crisi interna sempre più convulsa, ma dal perdurante sostegno confindustriale a Berlusconi. Così oscilla tra la denuncia demagogica del “fascismo”, alla coda del populismo di Di Pietro, e la disponibilità negoziale sulla “riforma costituzionale” con Berlusconi, nel nome della “pace istituzionale” richiesta da Confindustria e dal Corriere della Sera. Nel frattempo sostiene l’accordo separato contro i metalmeccanici cucinato da Berlusconi e Confindustria e occhieggia a Draghi sull’aumento dell’età pensionabile. Col risultato di regalare altro spazio alle recite populiste del governo tra settori popolari sempre più disorientati, agevolando così i progetti reazionari di Berlusconi. Parallelamente la principale direzione del movimento operaio- la CGIL- continua a combinare la critica delle politiche sociali del governo col rifiuto di una vera mobilitazione di classe capace di sconfiggerle, al solo fine di cercare di tenere aperto uno spazio di ricomposizione con Confindustria. Il risultato è non solo quello di favorire di fatto la sconfitta sociale dei lavoratori, ma di demotivare la stessa battaglia democratica di massa contro Berlusconi: che è inseparabile dalla riconoscibilità delle ragioni sociali e da una lotta vera per imporle. Ancora una volta la forza e pericolosità del Cavaliere è direttamente proporzionale all’inconsistenza delle opposizioni.
8) Tanto più oggi, la nostra proposta generale per una svolta di unità e radicalità del movimento operaio e di tutti i movimenti di lotta non ha solo una valenza sociale, ma anche una valenza politica. Unificare e radicalizzare il fronte sociale non risponde solo all’esigenza di strappare risultati sul terreno sindacale, ma anche a quella di erigere un argine contro la reazione politica. Una classe operaia abbandonata a sé stessa, disgregata dalla crisi capitalista e dall’offensiva padronale, privata di una capacità di risposta sociale, non si mobiliterà contro la reazione. Rischierà anzi di essere suggestionata, più di prima, dal populismo reazionario. E a sua volta una mobilitazione antiberlusconiana scissa dalle ragioni dei lavoratori e dalla loro lotta, affidata alla direzione dei liberali o di Di Pietro, finirebbe con l’essere sconfitta sullo stesso terreno democratico. Viceversa solo il rilancio di un’opposizione sociale radicale e di classe- autonoma dal liberalismo borghese- può riproporre la classe operaia come direzione naturale della battaglia democratica contro il berlusconismo; può incidere sulle stesse contraddizioni interne del blocco sociale di centrodestra; può demistificare l’inganno del populismo e della xenofobia , trascinare la ripresa di una sensibilità democratica a livello di massa, spostare i rapporti di forza nella società. Per questo proprio la lotta contro il berlusconismo è inseparabile dalla necessità di battersi per un’altra direzione del movimento operaio. Una direzione non solo autonoma dal liberalismo ,ma capace di lottare contro di esso, per affermare un’ egemonia di classe anticapitalista sulla stessa battaglia democratica. La nostra parola d’ordine “cacciare Berlusconi con la mobilitazione operaia e popolare, nella prospettiva di un governo dei lavoratori e non di un nuovo centrosinistra” è la sintesi di questa impostazione. Che va sviluppata in ogni mobilitazione sociale o democratica e nella più ampia relazione di massa.( Facendo emergere ovunque possibile la distinzione tra la nostra proposta e la politica di chi ( PRC e PDCI) ancora una volta, nel nome della lotta a Berlusconi, ritesse accordi di governo con i liberali nelle regioni, e rivendica un governo nazionale persino con Casini. )








