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Il caso INNSE e la battaglia di autunno.
La necessità di una svolta.
5 Agosto 2009
Il caso INNSE è divenuto ormai la metafora del prossimo autunno. Non riguarda più solamente i lavoratori di quella azienda, ma l’intero movimento operaio italiano.
E’ necessaria una mobilitazione generale di tutte le forze disponibili della sinistra – sindacali, politiche, associative, di movimento – che garantisca una presenza massiccia e duratura davanti ai cancelli dell’azienda al fianco degli operai. Nessun macchinario deve uscire dall’azienda, né intero né a pezzi. Per questo è necessaria l’organizzazione di una forza collettiva permanente, capace di disincentivare o respingere ogni nuova aggressione poliziesca e provocazione giudiziaria.
L’esperienza della “soluzione Genta” dimostra che non esistono “compratori buoni”, ma solo speculatori di passaggio. La proprietà dello “speculatore rottamaio” Silvano Genta va espropriata, senza alcun indennizzo, e affidata al controllo dei lavoratori. La produzione deve riprendere, col pieno utilizzo dei macchinari, sotto la gestione operaia. Altre “soluzioni” o sono del tutto provvisorie, o sono semplici palliativi.
La lotta di resistenza ad oltranza alla INNSE deve essere la base di partenza di una svolta generale di lotta in vista dello scontro di autunno. Nessun licenziamento dovrà passare. Occorre che tutte le forze sindacali e politiche del mondo del lavoro preparino l’occupazione delle fabbriche che licenziano, con la rivendicazione della loro nazionalizzazione, senza indennizzo, sotto controllo dei lavoratori. Le prime aperture di Gianni Rinaldini, segretario nazionale FIOM, alla prospettiva dell’occupazione delle aziende che licenziano, sono un passo positivo. Ma occorre passare alla preparazione concreta di quello sbocco, a partire dalla formazione di una Cassa Nazionale di Resistenza.
Il caso INNSE ci dice che la radicalità dei padroni deve trovare una risposta generale altrettanto radicale, che è l’unica via per strappare risultati. Altrimenti l’ “autunno caldo” lo faranno i padroni e Berlusconi contro i lavoratori italiani.
Milano, 5 agosto 2009
Partito Comunista dei Lavoratori
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LA DRAMMATICA SITUAZIONE DEGLI OPERAI DELLA INNSE CI IMPEGNA
A RILANCIARE CON FORZA LA CAMPAGNA PER LA NAZIONALIZZAZIONE
DELLE AZIENDE CHE LICENZIANO. APPELLO RIVOLTO AI DELEGATI RSU,
DIRIGENTI E STRUTTURE SINDACALI DI VARIO LIVELLO
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PER LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE AZIENDE CHE LICENZIANO
E PER LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE
La grande crisi economica internazionale si sta abbattendo sulle condizioni di vita dei lavoratori. In tutto il mondo, industriali e banchieri che per vent'anni hanno imposto ai lavoratori sacrifici immensi con la promessa di un futuro benessere, chiedono oggi alle proprie vittime di pagare il costo della propria crisi. E' inaccettabile.
In Italia, migliaia di aziende, a partire dalle più grandi (Fiat, Telecom, Alitalia…), stanno procedendo alla liquidazione complessiva di un milione di posti di lavoro. E' un processo a valanga che investe tutti i settori produttivi e i servizi.
Si allargano a macchia d'olio chiusure aziendali e licenziamenti collettivi, più o meno mascherati. 400 mila precari vengono buttati su una strada senza alcuna reale protezione sociale.
Le sole domande di cassa integrazione ordinaria conoscono nel dicembre 2008 un aumento del 525%.
Eppure le stesse imprese e banche che procedono a licenziamenti, chiusure, dismissioni, e che addirittura annunciano la prospettiva di una propria "inevitabile" scomparsa ( Fiat), continuano a chiedere allo Stato (e a ottenere dallo Stato) una nuova montagna di risorse pubbliche; che si aggiungono alle enormi regalie di cui hanno già beneficiato negli ultimi vent'anni.
I lavoratori sono così colpiti due volte: come lavoratori e come contribuenti. Con un solo beneficiario: i loro padroni. Che sono, oltretutto, secondo dati OCSE, i principali evasori fiscali in Italia. Basta pensare a Telecom: tre miliardi di evasione accertata ( quasi totalmente condonati).
Il caso Alitalia è stato al riguardo un emblematico apripista: 10000 posti di lavoro cancellati, a partire dai precari; criteri disumani di riassunzioni individuali per i lavoratori sopravvissuti, con la cancellazione dei diritti contrattuali acquisiti; debiti di oltre 4 miliardi scaricati sui contribuenti ( in cambio di un servizio ridotto e più costoso). Il tutto per premiare una cordata di industriali e banchieri senza scrupoli, pronti a fare le valigie con il bottino alla prima opportunità.
Un apposito provvedimento del governo rende oggi estendibile questo precedente, per vari aspetti, a tutte le situazioni di crisi:per cui un cambio di proprietà, connesso a crisi aziendali, può comportare, oltre alla riduzione dei dipendenti, la cancellazione del loro contratto. L'accordo tra governo-confindustria-CISL-UIL, non a caso, generalizza il principio di deroga al contratto nazionale.
Eppure, nonostante l'enormità dell'attacco subito, continua a mancare, per responsabilità sindacali, una risposta di lotta generale e unificante. In migliaia di aziende i lavoratori si trovano a difendere il posto di lavoro in ordine sparso, senza un'azione comune, senza un'obiettivo unificante, in un quadro di disgregazione e disperazione, Lungo un piano inclinato di cui non si vede la fine.
Così non può andare avanti. E' necessaria una svolta.
E la svolta dev'essere radicale, come radicale è l'attacco portato contro i lavoratori.
LICENZIARE I LICENZIATORI
SENZA INDENIZZO E SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI
E' necessario, naturalmente, in primo luogo, respingere l'accordo tra governo-confindustria-CISL-UIL sulle regole contrattuali e definire una piattaforma di rivendicazioni immediate che fronteggi l'emergenza: a partire dal blocco dei licenziamenti, dall'estensione del diritto alla cassa integrazione a tutti i lavoratori con copertura dell'80% del salario (indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda e dal tipo di contratto), dalla definizione di un salario minimo intercategoriale di 1300 euro netti mensili. Una piattaforma di lotta per una vertenza generale del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, che rompa definitivamente con la concertazione.
Ma non basta. Occorre uscire dalla difensiva. E mettere in discussione finalmente i privilegi della" proprietà" di tanti padroni bancarottieri, sempre pronti a privatizzare i profitti e a socializzare le perdite.
Proponiamo a tutto il mondo del lavoro, a tutte le sue espressioni di base, a tutte le organizzazioni dei lavoratori disponibili a battersi per le loro ragioni, una battaglia comune per la nazionalizzazione delle aziende in crisi e/o che licenziano, senza indennizzo per i grandi azionisti, sotto il controllo dei lavoratori; e per la nazionalizzazione delle banche, vera "associazione a delinquere" (con la difesa del piccolo risparmio).
E' una rivendicazione che risponde a un principio elementare: finirla con l'assistenzialismo pubblico verso le imprese e le banche, a danno di chi vi lavora e dell'interesse generale della società. Se si spendono risorse pubbliche per salvare un'azienda, pubblica dev'essere la sua proprietà e il suo controllo. Si nazionalizzino le imprese, non i loro debiti.
I padroni che dopo aver sfruttato i lavoratori e intascato soldi pubblici, oggi chiedono altri soldi per distruggere i posti di lavoro – dentro una crisi causata dalla voracità dei loro profitti- devono andarsene a casa. Chi ha fallito deve lasciare il campo. Non possono essere i lavoratori a pagare la crisi dei capitalisti e del loro sistema.
Proponiamo che la nazionalizzazione escluda l'indennizzo per i grandi azionisti: perché questi si sono già indennizzati a sufficienza con anni o decenni di superprofitti, lucrati su bassi salari e precariato, e oliati dalle risorse pubbliche.Sarebbe assurdo che la nazionalizzazione fosse a carico dei contribuenti e dei lavoratori. Al contrario: la nazionalizzazione delle aziende in crisi deve significare l'abbattimento degli sprechi scandalosi di soldi pubblici regalati a speculatori e padroni senza scrupoli.Soldi che si libererebbero per i salari, le pensioni, la sanità, la scuola, l'ambiente.
Proponiamo che la nazionalizzazione avvenga sotto il controllo dei lavoratori. Non vogliamo carrozzoni burocratici e clientelari, tipo vecchia IRI. Vogliamo che siano i lavoratori ad avere una parola determinante sull'organizzazione del lavoro, sulla trasparenza dei bilanci, su eventuali riconversioni della produzione. Perché siano i lavoratori i garanti della difesa del proprio posto di lavoro e i protagonisti di una nuova organizzazione dell'economia, dettata dalle esigenze della società, non del profitto.
Sappiamo che una battaglia per la nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche, aprirebbe uno scontro sociale e politico di grande portata. Perchè metterebbe in discussione la struttura più generale della società: indicherebbe l'esigenza di un piano economico definito dai lavoratori, a partire dal collegamento tra le aziende nazionalizzate, e porrebbe la prospettiva di un governo dei lavoratori e quindi di un cambio di comando alla testa della società. Ma se le vecchie classi dominanti hanno fallito non è colpa del mondo del lavoro. E non è il mondo del lavoro che deve temere un'alternativa. Di più: l'esperienza ci insegna che solo battendosi per un'alternativa di fondo, è possibile, cammin facendo, difendere vecchi diritti, strappare conquiste parziali, ottenere risultati concreti. Il padronato è disponibile a concedere qualcosa solo quando ha paura di perdere tutto. E viceversa, senza un orizzonte di alternativa, si continuerà solo ad arretrare, sotto la frusta di padroni e governi sempre più forti e arroganti.
In altri paesi, di fronte alla crisi, settori d'avanguardia del mondo del lavoro hanno avanzato la rivendicazione della nazionalizzazione delle aziende in crisi. Talvolta combinandola con l'occupazione delle aziende e l'esercizio diretto della gestione operaia della produzione( Argentina). Spesso con risultati positivi di difesa dei posti di lavoro. In ogni caso spostando in avanti rapporti di forza e terreno di confronto: sia verso il padronato e i governi, sia all'interno dello stesso movimento operaio e sindacale.
Proponiamo che una battaglia in Italia per la nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche si colleghi alle esperienze dei lavoratori e di altri paesi: dentro la necessità di una risposta globale alla crisi globale del capitalismo.








