Rassegna stampa

Libano: Quelli del «no» alla missione

31 Agosto 2006

Eccoli. Gli assenti alla manifestazione per la pace di sabato scorso ad Assisi. Quelli su cui i grandi media hanno puntato la loro attenzione, quasi più che sull'iniziativa organizzata dalla Tavola della Pace e dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace.

Se siano più pacifisti degli altri, quelli che ad Assisi c'erano e sfilavano dietro uno striscione con la scritta «Forza Onu», è una questione che non interessa. A nessuno dei presenti importa avere un certificato di «pacifista doc».

Vero è invece che rappresentano una parte del movimento per la pace, seppur minoritaria, che rende manifesta una certa riottosità a gioire di fronte a una forza multinazionale sotto il comando delle Nazioni unite che dovrebbe andare in Libano «per garantire la pace».

Ieri si sono incontrati a Roma, su invito di Marco Ferrando del Partito comunista dei lavoratori, per decidere una serie di iniziative contro l'invio dei nostri militari al seguito della missione Unifil. E hanno stilato una dichiarazione congiunta contro la missione militare in Libano. Dalla Rete dei Comunisti al Forum Palestina, passando per singole individualità come Giulietto Chiesa e Lucio Manisco, la decisione è stata di agire per aggregare un fronte unitario contro la missione in Libano, che sia «il più vasto possibile, senza chiusure a nessuna componente del movimento pacifista».

«Non condividiamo né la natura né le finalità della missione», dicono i firmatari del documento. In primo luogo perché non credono che «il gigantesco dispositivo militare e di guerra previsto dalla spedizione possa essere missionario di pace». Tutt'al più è funzionale «ad ottenere il disarmo della resistenza nazionale libanese entro un disegno di normalizzazione interna del Libano». A supporto della loro tesi portano le dichiarazioni del segretario di stato americano Condoleeza Rice e del presidente statunitense George W. Bush. La prima considera il coinvolgimento europeo nell'azione di polizia internazionale come una via d'uscita dalle difficoltà del proprio unilateralismo in Iraq. Il secondo rivendica apertamente la missione multilaterale in Libano come «continuità della guerra al terrorismo condotta in Afghanistan e in Iraq». Per questo i «dissidenti pacifisti» non credono al nuovo «protagonismo europeo» che il vecchio continente si è conquistato nell'ultimo periodo. E tantomeno al riscatto delle Nazioni unite. Per Ferrando «l'Onu, con la sua finta neutralità giuridica, ha semplicemente timbrato il ricostituito quadro multilaterale tra Usa e Europa».

In quest'ottica l'impegno del governo italiano non segna quindi una linea di discontinuità con il precedente, ma anzi ne è il proseguimento. Come testimonia, a detta loro, il voto unanime e bipartisan del parlamento all'invio dei nostri soldati, che certo non vanno in Libano a «portare la pace, ma a fare la guerra».

31 agosto 2006

Alessandro Braga (Il Manifesto)

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