Rassegna stampa

«Adesso vedremo se nell’Unione è rimasto un compagno»

lo scetticismo del trozkista che ha “strappato” con rifondazione

2 Settembre 2006

Marco Ferrando, la sinistra radicale minaccia di non votare la finanziaria. È una sceneggiata o c’è davvero il rischio di una rottura?

«Non voglio fare processi alle intenzioni, mi limito a guardare in faccia la realtà. E la realtà dice che c’è una sinistra neo-governativa che da un lato assicura al governo che non gli farà mancare la fiducia e che dall’altro continua a negoziare sul terreno di una politica dei sacrifici a danno dei lavoratori e ad unico vantaggio della grande industria, delle banche e dei parametri di Maastricht. I milioni di lavoratori che si erano opposti alla Cdl per respingere questa politica, insomma, se la ritrovano ancora sotto il governo Prodi, e pergiunta blindata da una politica di concertazione sindacale di cui Berlusconi non disponeva».

Cosa pensa un comunista ortodosso come lei di questa manovra?

«Tutto il peggio possibile. In campagna elettorale le sinistre avevano annunciato una politica a sfondo sociale. Oggi, però, ci ritroviamo con una proposta di revisione dei coefficienti che potrebbe ridurre le pensioni del 7-8% e con l’intenzione di allungare l’età pensionabile. Se un’operazione di questo genere l’avesse proposta il Governo Berlusconi saremmo già alla preparazione dello sciopero generale. Mi meraviglio, perciò, che le direzioni sindacali continuino a rimanere sul terreno delle minacce allusive, senza intraprendere alcuna azione di contrasto».

Dopo le candidature di Luxuria e Caruso, alcuni nella base e nell’elettorato del partito si erano domandati che fine avesse fatto il partito degli operai. Lo chiedo a lei che da quel partito è fuoriuscito: che fine ha fatto?

«L’immagine del partito degli operai non è messa in discussione dalle candidature di Caruso e Luxuria, ma dal fatto che un partito che si è sempre richiamato alle esigenze del mondo del lavoro accetti oggi di negoziare il programma della grande industria e delle banche e di stare a braccetto con un personale politico che rappresenta gli interessi del capitale finanziario. Basti citare il nome di Padoa Schioppa».

Con una certa regolarità ormai le obiezioni di coscienza dei parlamentari di Prc, Pdci e Verdi vengono sacrificate alle ragioni di bottega. Si sta aprendo una questione morale nella sinistra radicale?

«Non parlerei di questione morale, quanto piuttosto di questione politica. La sinistra radicale aveva promesso che questo governo sarebbe stato l’inizio di un altro mondo possibile. I manifesti del Prc, oggi ancora affissi ai muri, dicevano “L’Italia cambia davvero”. Ora però siccome l’esperienza conferma che questo è il governo del capitale finanziario e della continuità sostanziale della politica estera con l’esecutivo della destra, noi ci domandiamo che cosa ci stia a fare lì dentro la sinistra radicale e conseguentemente le chiediamo di uscire dal vicolo cieco autodistruttivo in cui si è cacciata. Perchè le dichiarazioni o le interviste non salvano l’anima a nessuno. Se, viceversa, mancherà questo coraggio, la sinistra radicale diventerà corresponsabile di una politica che va contro i lavoratori e che perdipiù si avvale della sua presenza al Governo come di una sorta di ammortizzatore politico-sociale. Proprio per questi motivi noi per tutto l’autunno incalzeremo la sinistra radicale proponendole di rompere con il Governo e di unirsi intorno a un programma di vera alternativa».

L’appoggio di Bertinotti al “Governo dei banchieri” è il tramonto del mito del sub-comandante?

«Noi, come corrente di minoranza all’interno del Prc, non abbiamo mai coltivato questo mito, anzi. Abbiamo sempre sostenuto che il movimentismo barricadero di Bertinotti fosse semplicemente finalizzato a guadagnare una massa critica contrattuale per tornare al Governo, e i fatti mi sembra che ci abbiano dato ragione. Soprattutto, però, mi sembra che il disincanto nei confronti del mito del bertinottismo sia molto diffuso. La percezione di Rifondazione come un partito che ha perso l’anima è assai diffusa non solo nell’elettorato, ma anche in un pezzo crescente del corpo militante. Non a caso la crescita del nostro Partito Comunista dei Lavoratori si sta estendendo a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale».

Ha la sensazione che anche qualche parlamentare di Prc possa confluire nel suo partito?

«Non pongo limite alla provvidenza. Dico solo che noi faremo leva sui fatti e non su pregiudizi ideologici per incalzare le contraddizioni sempre più profonde della sinistra italiana».

Tutti ricordano Bertinotti con la spilla della pace appuntata sul petto alla parata militare del 2 giugno. Poi però c’è stato il voto sull’Afghanistan, la svolta militarista del Libano e quella strana marcia della Pace di Assisi. Il pacifismo “senza se e senza ma” è morto o non è mai esistito?

«È esistito nel quadro di un ancoraggio della sinistra radicale all’opposizione e contro il governo Berlusconi ha svolto una funzione positiva e determinante. Constato, però, che la mutazione genetica della vecchia sinistra radicale e la sua ricollocazione al Governo con i rappresentanti dell’industria e delle banche hanno avuto una ricaduta devastante su quello che fu il movimento pacifista. Aggiungo, inoltre, che una parte del ceto politico di questo movimento pacifista non si sta solamente limitando a fare sponda al governo, ma che addirittura ha preso a recitare in proprio la parte del cosiddetto “militarismo umanitario”. La manifestazione d’Assisi, da questo punto di vista, è stata tanto triste quanto significativa. Tuttavia, devo aggiungere che il nostro coordinamento nazionale di opposizione alla missione in Libano sta trovando un consenso crescente anche all’interno del corpo militante dei partiti della sinistra radicale. È un processo appena iniziato ma molto promettente, e presto avrà visibilità con il presidio che insceneremo davanti a Montecitorio nel giorno in cui inizierà la celebrazione dell’unità nazionale intorno alla missione libanese».

D’Alema però considera questa missione come il successo delle storiche istanze della sinistra in politica estera.

«No. Semmai è un successo di D’Alema, di Prodi e della maggioranza che in effetti rivendicava nel programma elettorale la riconquista del multilateralismo. Oggi il dalemismo celebra proprio questo. Tuttavia sono proprio Francia e Italia, cioè i paesi che in Libano hanno interessi, che si stanno presentando agli occhi di Bush e Olmert come i garanti di un processo di normalizzazione israeliana del Paese. Che D’Alema presenti questo come un successo lo trovo legittimo, ma non mi pare proprio che si tratti di un successo della sinistra radicale. In un certo senso, anzi, la missione libanese è la pietra tombale di quello che fu, in politica estera, la sinistra radicale».

Posto che mi sembra scettico sul fatto che la sinistra radicale possa fare cadere il Governosulla finanziaria, mi può indicare qualche comunista “duro e puro” rimasto in questa maggioranza?

«Se ce ne sono, come mi auguro, usciranno fuori nelle prossime ore. D’altra parte, se non ora quando? Sta per discussa una missione militare che registra l’unità nazionale tra centrodestra e centrosinistra e voglio proprio vedere se vi sarà un solo deputato o un solo senatore della sinistra radicale che avrà il coraggio di dire “io non sono d’accordo e voto contro”. Analogo discorso vale per la politica sociale. Anche se non sono incoraggiato dall’esperienza, saranno i fatti a dirci se la sinistra vera esiste oppure no. In ogni caso, però, i fatti dimostreranno anche che una vera sinistra non può tenere il piede in due scarpe: o sta dalla parte dei banchieri oppure sta dalla parte dei lavoratori».

02/09/2006

ALESSANDRO MONTANARI (la Padania)

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