Prima pagina

Se la crisi è radicale - Marco Ferrando

(da Il Manifesto)

11 Aprile 2009

La grande manifestazione della Cgil a Roma, non può finire sul binario morto di un evento rituale. E' necessario investirla in una prospettiva di svolta radicale col concorso unitario di tutte le forze disponibili.
In tutta Europa si moltiplicano dinamiche radicali di lotta che, seppur ancora frammentate, evocano una possibile rivolta sociale. E' ciò che la borghesia europea e i suoi governi temono come la peste. In Italia invece Guglielmo Epifani si vanta agli occhi dell'establishment di «saper evitare l'esplosione della rabbia sociale come in Grecia e in Francia», come ha dichiarato sul Corriere. Dal che deduco che il principale sindacato dei lavoratori viene candidato dal suo leader non a incentivare e guidare la ribellione sociale, ma a disinnescarla. E questo di fronte al governo più reazionario che l'Italia abbia conosciuto dal 1960, e alla crisi sociale più devastante degli ultimi 80 anni. E'incredibile. Così non va. La grande piazza operaia di Roma merita la prospettiva di una lotta vera. Si può fare un'opposizione efficace a Berlusconi, cercando di tranquillizzare Marcegaglia? Si possono contrastare concretamente le politiche governative e padronali, limitandoci alla routine di atti dimostrativi trimestrali, per quanto imponenti? Contrariamente a quanto dichiara Epifani, l'esplosione sociale non è «un rischio» ma l'unica possibile leva di una svolta vera nei rapporti di forza sociali e politici. Occorre investire unitariamente in quella direzione la forza del Circo Massimo. Occorre che tutte le organizzazioni sindacali non firmatarie dell'accordo capestro del 22 gennaio uniscano le proprie forze in un'azione di svolta radicale e di massa, superando vecchie logiche auto conservative di concorrenza tra sigle, e aprendo insieme una vera prova di forza col padronato e col governo. Occorre che tutte le sinistre politiche cosiddette «radicali», già compromessesi in politiche antioperaie quando stavano al governo, trovino ora l'audacia di un'opposizione vera, non declamata, che guardi al futuro del movimento operaio di fronte alla crisi, e non solo alla propria sopravvivenza istituzionale.
Qui sta allora la nostra proposta. Proponiamo a tutte le sinistre politiche e sindacali (confederali e di base) di promuovere una grande assemblea nazionale intercategoriale di delegati eletti, aperta a tutte le espressioni dei movimenti sociali e di lotta, come istanza democratica e unitaria chiamata a decidere sulla continuità e le prospettive dell'azione di massa, al di là di ogni vecchio steccato divisorio e condizionamento di apparato. Proponiamo l'apertura di una grande vertenza generale unificante del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, che abbia carattere di continuità e dirompenza: e che dunque si combini con l'occupazione delle aziende che licenziano, e con la costituzione di una cassa comune di resistenza, fuori dai vecchi rituali puramente simbolici. Proponiamo che la piattaforma unitaria della vertenza generale raccolga l'insieme delle rivendicazioni già positivamente avanzate dalla Fiom e dal sindacalismo di base (a partire dal blocco dei licenziamenti), sviluppandole in due direzioni complementari, imposte dalla precipitazione della crisi: il rilancio di una grande battaglia generale per la ripartizione del lavoro, con la riduzione progressiva dell'orario a parità di paga; e la rivendicazione della nazionalizzazione delle aziende che licenziano e delle banche, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. Riprendendo quella parola d'ordine «licenziare i licenziatori» oggi assunta da un settore del movimento operaio francese, che sta aprendo brecce in importanti lotte operaie in Italia (come a Pomigliano o all'Euroallumina), e che potrebbe unificare le mille lotte di resistenza in ordine sparso, spesso disperate e senza sbocco, a difesa del lavoro. Il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) ha avviato una campagna nazionale su questa proposta e impostazione, raccogliendo la prima adesione di numerose strutture sindacali e delegati operai. E ha rivolto, in questo senso, una lettera aperta alle sinistre (pclavoratori.it). Perché non sviluppare unitariamente questa campagna di svolta, nei luoghi di lavoro e in tutti i sindacati?
A chi obietta che questa impostazione è «troppo radicale», rispondiamo che sono più radicali i licenziamenti. A chi obietta che la radicalità «non serve», rispondiamo che è l'unica in grado di strappare risultati, come dimostra la lotta dirompente contro il Cpe in Francia nel 2006 o la lotta a oltranza alla Fiat di Melfi del 2005. A chi obietta che «le masse non seguirebbero», osserviamo che in realtà, proprio nel quadro della crisi, tanti lavoratori sono stanchi di perdere salario per iniziative rituali e inconcludenti, e sarebbero invece disponibili a una lotta radicale seria, determinata a vincere; e che più questa svolta ritarda, più cresce il rischio che una rabbia latente, senza sbocchi, sfoci nell'ulteriore scoramento o nella deriva populista. A chi infine obietta che questi obiettivi e pratiche sono «incompatibili» con le attuali regole del giuoco, rispondiamo che è vero: infatti riconducono alla prospettiva anticapitalistica di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa. Ma non è forse questo il tema centrale di prospettiva posto oggi dalla grande crisi del capitalismo? O qualcuno continua ancora a coltivare l'eterna illusione di un compromesso riformatore con i banchieri che rapinano e i capitalisti che licenziano? Del resto, una sinistra che rimuova questa prospettiva, persino di fronte alla bancarotta delle attuali classi classi dirigenti, quale ragione storica può mai rivendicare per la sua stessa esistenza? Davvero l'anticapitalismo può essere confinato nella simbologia elettorale o nella convegnistica domenicale, mentre si continua a governare con Bassolino e Marrazzo, magari in attesa di D'Alema? Di certo la grande crisi capitalistica sarà il banco di prova per tutte le sinistre, entro un livello di scontro storicamente nuovo. Le elezioni passano, la crisi resta. Per questo la nostra stessa campagna elettorale come Pcl - fuori da ogni pasticcio elettoralistico - sarà interamente concentrata sulla proposta di lotta contro la crisi, per una svolta di unità e radicalità del movimento operaio italiano.

*portavoce del Pcl

info@pclavoratori.it

CONDIVIDI

FONTE