Primo congresso

ORDINE DEL GIORNO CONCLUSIVO

L’agonia del governo Prodi e della sua maggioranza, l’approssimarsi della possibile scadenza referendaria, la formazione del PD e la relativa ascesa del veltronismo hanno introdotto un sommovimento profondo nella politica italiana. Il grosso della grande borghesia, a partire dai vertici di Confindustria, chiede una riforma elettorale ed istituzionale che favorisca governi più stabili e omogenei nella gestione decisionale delle politiche capitalistiche. I principali partiti dei due poli di alternanza cercano il punto di equilibrio tra la risposta all’interesse generale della borghesia e i propri specifici interessi politici (di partito, di corrente, o addirittura personali). In un quadro generale, tuttavia, in cui la ricerca delle soluzioni accresce le contraddizioni invece di dipanarle. E in cui la crisi interna alle due coalizioni (e spesso dentro i partiti che le compongono) può conoscere sbocchi e risultanti molto divaricati.

1) La ricerca di un asse Veltroni-Berlusconi-Bertinotti domina l’attuale passaggio politico.
Questo asse negoziale non è né consolidato né irreversibile. E tuttavia è reale: perché risponde, per ragioni diverse, a interessi politici convergenti.
Walter Veltroni e la sua nuova leadership del PD cerca di rispondere alla domanda borghese di semplificazione del sistema politico, con una operazione che mira a una riforma tendenzialmente bipartitica: che non esclude coalizioni, ma le subordina al dominus del PD; che è anche il dominus di Veltroni nel PD, col ridimensionamento di vecchie cordate e apparati. Da qui la ricerca di un gioco di sponda con Berlusconi, entro una reciproca legittimazione.
Berlusconi ha reagito all’insuccesso del proprio affondo autunnale contro il governo (la “spallata”), ma soprattutto allo scavalco pubblico di AN e UDC nel negoziato col PD, con una manovra spericolata e spiazzante. Il varo del “Partito della Libertà” risponde da un lato alla volontà di affondare il colpo contro gli ex alleati con l’arma dell’appello diretto e plebiscitario al loro elettorato; e dall’altro a recuperare il ruolo centrale di negoziatore diretto col PD al fine di ottenere una legge elettorale premiante per le fortune del suo “nuovo” soggetto. Da qui l’improvvisa apertura a Veltroni.
Bertinotti punta a ottenere una legge elettorale che eviti il referendum, e consenta al PRC di incamerare a tavolino, senza resistenze, PDCI, Verdi e Sinistra Democratica, dentro una Sinistra Arcobaleno a indiscussa egemonia bertinottiana; e parallelamente di imporre allo stesso PRC un partito unico della sinistra, ridimensionando ed emarginando resistenze interne di diverso segno. Da qui la spregiudicatezza dell’apertura a un governo di unità nazionale con Veltroni e Berlusconi. La proposta Vassallo, e la cosiddetta “mediazione” Bianco, hanno costituito il terreno centrale di negoziato tra questi interessi convergenti.


2) Tuttavia la forzatura operata ha disarticolato le coalizioni moltiplicando, ad ogni livello, fronti di resistenza. Il vecchio Polo della Libertà è di fatto dissolto, proprio nel momento, paradossalmente, della crescita delle sue potenzialità elettorali.
AN ha reagito al disegno berlusconiano con un attacco frontale al Cavaliere e una manovra politica a 180 gradi: che da un lato recupera le bandiere tradizionali della destra (indulto, criminalità,…) anche in replica all’operazione Storace sostenuta da Berlusconi; dall’altro coltiva la relazione con la UDC e Di Pietro nel tentativo di aggirare Forza Italia al centro del panorama politico.
La UDC di Casini, che perde verso Berlusconi la minoranza di Giovanardi, contrappone all’operazione bipartitica la vecchia prospettiva di un centro borghese cattolico o ad egemonia cattolica: con un’ala interna del partito (Tabacci-Baccini) che già intraprende un lavorio politico autonomo con Pezzotta (e con l’interlocuzione di Montezemolo) a favore di una nuova “Cosa bianca”.
La Lega si pone in diffidente attesa, consolida il proprio autonomo radicamento, e cerca di tenere aperta la via di una ricomposizione del Centrodestra.

Sul versante del Centrosinistra, lo sfondamento veltroniano registra resistenze in tutti gli ambienti.
La componente prodiana (Parisi) teme sia ricadute sul governo, sia l’emarginazione nel PD.
I maggiorenti del vecchio apparato DS, a partire dalla corrente D’Alema, vedono nel veltronismo una minaccia alle proprie rendite di opposizione, e quindi lavorano per sbarrargli la strada (con uno statuto di partito che limiti il bonapartismo del leader, e con una proposta elettorale “tedesca” che ridimensioni l’autonomia del PD e favorisca un nuovo centro con cui allearsi).
I partiti minori dell’Unione (PDCI-Verdi-SDI-UDEUR) semplicemente osteggiano ogni soluzione elettorale che segni la loro scomparsa o la distruzione del proprio potere negoziale. Nello stesso PRC l’apertura di Bertinotti-Giordano a Veltroni-Berlusconi, è contrastata, in varie forme, da tutte le componenti contrarie al “partito unico della sinistra”: compresa l’ala di Paolo Ferrero, tuttora aspirante a segretario di un PRC formalmente autonomo, seppur “federato”.


3) E’ difficile fare previsioni attendibili sul possibile sblocco di questo ginepraio. Di certo ogni soluzione appare disseminata di numerosi elementi di contraddizione. Un eventuale accordo Veltroni-Berlusconi-Bertinotti sul modello Vassallo-Bianco (con concessione al PRC sul calcolo nazionale dei resti) sarebbe possibile sulla carta dei numeri parlamentari. Ma difficilmente, per i suoi effetti indotti, salverebbe il governo Prodi (ritiro di Mastella). E incontrerebbe oltretutto un pesante ostruzionismo parlamentare, a partire da AN, in un quadro molto drammatizzato e difficilmente governabile anche all’interno del PD. D’altro canto un eventuale fallimento dell’accordo sotto il peso di resistenze trasversali e incrociate, non sarebbe affatto indolore: aprendo formalmente la via al referendum potrebbe determinare il disimpegno del PRC al governo e quindi la sua caduta. Con la difficoltà a predisporre un altro governo capace di varare una nuova legge elettorale antireferendum: perché un governo di unità nazionale appare ad oggi ancora immaturo e rischierebbe di disarticolare il PD. Le elezioni anticipate, con la presente legge elettorale, potrebbero allora imporsi per dinamica naturale delle cose: ma in quadro talmente destabilizzato da complicare non poco la ricomposizione delle vecchie alleanze (Berlusconi con Fini; PD con PRC). Proprio l’enorme difficoltà a trovare un nuovo equilibrio ha sinora retto il traballante governo Prodi. Che infatti si affida a questa impasse per provare a durare, nonostante la crisi della sua ” maggioranza “ al Senato. Al di là delle variabili indicate, emergono alcuni dati di fondo, nella situazione politica e nelle ricomposizione a sinistra.

a) La borghesia italiana avanza socialmente contro diritti e conquiste dei lavoratori ma ha difficoltà a stabilizzare il suo sistema politico di rappresentanza come sistema di alternanza. I caratteri peculiari del berlusconismo ostacolano la costruzione di un soggetto unificato di Centrodestra e al tempo stesso destabilizzano le basi della vecchia coalizione. Nel Centrosinistra, il decollo del PD e del veltronismo, come partito di massa della grande borghesia, cozza con la crisi del blocco sociale tra grande impresa e mondo del lavoro e con la difficoltà a tradurlo in un blocco politico parlamentare maggioritario. Il veltronismo (nell’interesse anche della borghesia) e il berlusconismo (nel suo proprio interesse) cercano di aggirare e sciogliere questi nodi di fondo con l’aiuto di una nuova legge elettorale truffaldina: che alteri ulteriormente il rapporto tra rappresentanza e consenso reale, a favore dei poteri dell’esecutivo e delle sue politiche antioperaie. Ma il tentativo non si rivela agevole.

b) Le sinistre di governo rivelano una volta di più la propria totale mancanza di principi. Invece che contrapporsi alle nuove leggi truffa col rilancio di una battaglia politica proporzionale, negoziano, come sul piano sociale, sul terreno dell’avversario, nell’esclusiva ricerca di una propria tutela di ceto sul piano della collaborazione di classe. Il gruppo dirigente bertinottiano del PRC, in particolare, pur di ottenere una legge elettorale utile al proprio progetto di Sinistra Arcobaleno si dichiara disponibile a un governo di unità nazionale con Veltroni e Berlusconi: un governo che avrebbe un carattere apertamente reazionario, sia sul terreno delle riforme istituzionali, sia sul terreno della politica sociale ed estera. La cosiddetta verifica sociale di gennaio chiesta dal PRC a Prodi è semplicemente il mascheramento pubblico (e la leva di pressione) del negoziato elettorale. Il PDCI, a sua volta, messo alle strette, minaccia di avallare il referendum ipermaggioritario di Segni-Guzzetta, nella speranza di essere imbarcato in una lista governativa a guida veltroniana. Dopo un anno e mezzo di sostegno al governo confindustriale di Prodi, i gruppi dirigenti delle sinistre di governo mostrano una volta di più tutto il loro opportunismo.

c) La “Sinistra Arcobaleno” al suo primo atto fondativo (7-8 Dicembre), si configura come sinistra del capitale, in continuità con la corresponsabilità di governo. La dismissione simbolica di falce e martello è il naturale riflesso della natura del “nuovo” soggetto, e della mediazione interna al suo composito ceto politico di riferimento: oltre che lo sforzo di accreditarsi agli occhi del PD anche sotto il profilo simbolico dell’immagine, come un partner di governo meno contestabile dalla demagogia delle destre (contro “i comunisti”). Peraltro in un quadro eventuale di legge elettorale proporzionale, più o meno corretta, con sbarramento al 5 % e senza vincolo preventivo di coalizione, Sinistra Arcobaleno e PD potrebbero presentarsi autonomamente con reciproco vantaggio elettorale, per ricomporre poi un’alleanza di governo in sede parlamentare. Ma il negoziato elettorale sta complicando le relazioni tra i soggetti costituenti della Sinistra: relazioni già disseminate di contraddizioni di fondo, in ordine a rapporti con la CGIL, legami internazionali, culture di riferimento.In questo quadro l’ipotesi della federazione arcobaleno appare oggi più probabile, per una prima fase di quella di partito unico caldeggiata da Bertinotti e Mussi.
La prova elettorale del nuovo simbolo per le prossime elezioni amministrative sarà un test indicativo per le scelte successive.

d) Il PRC vede approfondirsi nettamente, nell’ultima fase, la propria crisi interna. Il voto di fiducia al governo Prodi sul protocollo del 23 Luglio ha costituito, in una situazione già deteriorata, un elemento di scossa per migliaia di iscritti e di militanti di quel partito, che hanno vissuto quel voto come un “tradimento” del 20 Ottobre. La già scarsa capacità di suggestione della cosiddetta Cosa Rossa, ha subito un ulteriore colpo, appesantito dall’annunciata dismissione della falce e martello dal simbolo unificato del nuovo soggetto. Il rinvio del congresso da parte del gruppo dirigente, sottraendo l’unico possibile spazio e canale di sfogo del malumore interno, alimenta nuovi processi di implosione, passivizzazione, abbandono. La tenuta delle minoranze critiche interne si è fatta ancora più difficile. Mentre tutti gli indicatori parlano di una nuova crisi di consenso del PRC nel suo insediamento sociale tradizionale, operaio e di movimento. Più precipita la crisi del PRC, più la Sinistra Arcobaleno si configura come sponda di salvezza e di approdo del suo gruppo dirigente. Ma più avanza la “Sinistra Arcobaleno” più si accentua la crisi del PRC.

e) Sinistra critica ha operato l’annunciata separazione dal PRC, dandosi la veste di “movimento per la sinistra di alternativa”. Due sono i dati di fondo che emergono dalla sua assemblea costitutiva.
Il primo è la rimozione totale di ogni bilancio delle scelte compiute dal suo gruppo dirigente negli ultimi dieci anni (dal sostegno entusiasta al bertinottismo tra il ’98 e il 2003, ai 22 voti di fiducia al governo dei sacrifici e della guerra). Il secondo è il rifiuto, ad oggi, di costituire un partito, fosse pure sulle sue basi politiche e programmatiche, a favore di una “costituente anticapitalista” su basi movimentiste.L’intero testo programmatico di Sinistra critica e la relazione introduttiva dell’assemblea del 7 Dicembre, chiariscono il senso di queste scelte. La scelta di separazione da un PRC in agonia si presenta in larga parte, persino formalmente, come un atto di autotutela dal naufragio, più che come investimento in un progetto chiaro ed organico. Manca infatti l’ossatura più elementare di un programma strategico, a partire dalla scelta di un soggetto sociale centrale di riferimento. Manca una proposta politica generale al movimento operaio e ai movimenti che vada al di là delle parole d’ordine immediate. Gli unici riferimenti a un programma di fondo si riducono alla rievocazione evanescente di una “democrazia partecipativa”, dentro la rivendicazione nostalgica del bertinottismo delle origini. Sinistra critica è, in buona sostanza, un anticapitalismo d’immagine senza reale programma anticapitalista.Non si può escludere che proprio il centrismo movimentista e leggero di questa formazione possa guadagnarle un temporaneo consenso in alcuni settori di base bertinottiana in crisi, e non ancora pronti a passare con noi. Ciò che è evidente è che Sinistra critica e la sua proposta non configurano un’alternativa di direzione del movimento operaio, ma un aggregato centrista fragile e confuso, destinato al pari di Bandiera Rossa ed Erre, a continui zig zag e inevitabili crisi.

Le ragioni del PCL e della sua costruzione indipendente sono più che mai confermate dalla più recente evoluzione politica italiana.
Nella prossima fase politica il PCL è tenuto a sviluppare un’azione impegnativa su vari terreni tra loro combinati:
• un’azione di propaganda generale della nascita e delle ragioni del nuovo partito, attraverso un apposito volantone nazionale da diffondere su larga scala nell’intero territorio nazionale, partendo dalle grandi fabbriche.
• La preparazione del partito alla campagna elettorale amministrativa di primavera, con la presentazione più ampia possibile delle proprie liste in tutte le situazioni coinvolte secondo i termini indicati dal documento congressuale. Le strutture regionali del PCL dovranno da subito attivarsi al riguardo, in rapporto con le realtà interessate.
• Il rilancio della nostra campagna di opposizione al governo Prodi, combinato con la denuncia del carattere truffaldino della cosiddetta “ verifica “ annunciata. E’ centrale la nostra denuncia del fallimento senza appello delle sinistre italiane: sia che restino al governo, sia che vengano scaricate, sia che si disimpegnino per ragioni opportunistiche. Naturalmente un eventuale governo di unità nazionale tra Berlusconi-Veltroni-Bertinotti ( improbabile ma non impossibile ) dovrebbe vedere un’accentuazione particolarmente drammatizzata della nostra denuncia.
• La difesa della legge 194 dall’aggressione clericale e di avsti ambienti reazionari di centrodestra e centrosinistra, portando nella mobilitazione a difesa della legge le nostre rivendicazioni generali contro la chiesa.
• L’azione di contrapposizione agli attuali progetti di legge elettorale e di riforma istituzionale, combinando la rivendicazione democratica del proporzionale puro con la denuncia delle ragioni sociali antioperaie che stanno alla base dei progetti istituzionali in cantiere.
• La contrapposizione alla nuova concertazione sulle regole contrattuali. Contro le manovre di governo-confindustria-burocrazie sindacali che cercano di patteggiare qualche riduzione fiscale simbolica sui salari come copertura dell’attacco al contratto nazionale di lavoro, rilanciamo la nostra proposta di vertenza generale, a partire dalla lotta contro il carovita. Con la richiesta di un consistente aumento dei salari e degli stipendi per tutti i lavoratori, di un controllo operaio e popolare sui prezzi, dell’abolizione delle leggi di precarizzazione del lavoro. Rinnoviamo la proposta di un’assemblea nazionale dei delegati, a partire dalle fabbriche del No al protocollo, come sede democratica di unificazione dell’avanguardia di classe e strumento di rilancio di una mobilitazione di massa indipendente.
• La continuità della nostra azione contro l’imperialismo e la guerra in occasione dell’imminente rinnovo del finanziamento alle missioni militari e dell’accresciuto ruolo dell’imperialismo italiano in Afghanistan: con la nostra partecipazione più ampia alla manifestazione nazionale prevista per il 26 gennaio.
• Un’azione specifica di intervento sulla crisi del PRC, oggi in profondo aggravamento : con la moltiplicazione dei contatti, dei canali di dialogo, delle occasioni di intervento sulla base disorientata di quel partito, senza regalare ad altri spazi potenzialmente nostri.

E’ importante che su questi compiti immediati di lavoro e sull’insieme delle indicazioni del congresso, le strutture locali del partito attivino riunioni tempestive degli iscritti, utilizzando allo scopo anche le sessioni congressuali di ritorno che dovranno tradurre le linee generali del PCL in progetti di lavoro articolati a livello locale.