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Il 'testamento' di Lenin

L'ultima battaglia del grande rivoluzionario

24 Marzo 2024

#centovoltelenin

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Proseguiamo la pubblicazione di articoli dedicati a Lenin nel centenario della nascita.



Lenin, il grande dirigente della Rivoluzione russa e della Terza Internazionale, visse, purtroppo, solo i primi anni successivi al suo trionfo. Solo sei anni dopo, il 21 gennaio 1924, Lenin moriva dopo lunga malattia, cedendo all’ultimo di una serie di ictus che lo avevano colpito a partire dal maggio 1922.

Con ogni probabilità, anche alla luce di analisi moderne dei documenti di autopsia e delle analisi mediche dell’epoca, rese pubbliche dopo il crollo dell’URSS, la sua morte fu, almeno in parte, la lontana conseguenza dell’attentato realizzato contro di lui nell’agosto 1918 dalla terrorista socialrivoluzionaria Fanny Kaplan, che lo colpì con due colpi di pistola alla gola e alla spalla. Un proiettile fu estratto solo nel 1922. Questi colpi provocarono un'arteriosclerosi arteriosa, oltre a un avvelenamento da piombo, causato dal proiettile estratto nel 1922.

Ricuperata solo in parte la salute dopo il primo ictus, Lenin riprese però alla fine dell’estate 1922 la maggior parte dei suoi impegni, con l’aiuto di una segreteria rafforzata. Il 13 dicembre fu colpito da un altro ictus, e fu da allora costretto a stare a letto. Sembrò tuttavia riprendersi abbastanza bene, dedicandosi da subito, sia pur dal letto, ad alcuni impegni politici fondamentali. In questo quadro dettò alle sue segretarie una “lettera al congresso del partito" (cioè quello previsto per marzo o aprile del 1923) in tre parti, il 23 e 24 dicembre e il 4 gennaio 1923.

È in questo documento che Lenin, sentendosi effettivamente vicino alla morte, indica pregi e difetti di quelli che considera i sei principali dirigenti del partito: Bucharin, Kamenev, Pjatakov, Stalin, Trotsky e Zinoviev (ad eccezione ovviamente di Stalin, tutti gli altri furono fatti uccidere da quest’ultimo tra il 1936 e il 1940).
Le critiche e i complimenti non sono però sullo stesso piano. Se Trotsky è a volte troppo attratto dall’aspetto amministrativo dei problemi, è pero Il più eminente membro del Comitato Centrale e ha dimostrato anche grandi capacità, come nello scontro nel partito sulla questione del monopolio statale del commercio estero.
All’opposto, di Stalin non viene indicata nessuna qualità, ma solo avanzata una critica pesante: ha accumulato troppo potere e se ne può servire senza sufficiente discrezione. Il 4 gennaio poi Lenin rompe ogni indugio. In un poscritto al testo precedente dichiara che Stalin è troppo brutale e sleale (e non solo), e chiede di toglierlo dal posto di segretario generale.

Spesso è stato affermato che Lenin ha scritto un testo mediocre, che non andava al fondo dei problemi, che riferiva caratteristiche personali e non guardava elementi strutturali da vero marxista. In realtà, nello scrivere come ha fatto, Lenin non contraddice per niente il metodo del materialismo storico. Se la base dello sviluppo storico è la realtà economico-sociale, nel concretarsi di tale sviluppo Marx ed Engels sono sempre stati contrari a ogni determinismo (sta qui la base della famosa frase ironica di Marx, tante volte citata a sproposito, “quanto a me non sono marxista”), e hanno sottolineato l’importanza del ruolo della personalità nella storia. Così pure Plekhanov, il grande teorico marxista russo (poi purtroppo passato al socialriformismo nella guerra mondiale).

Del resto queste indicazioni non avvengono nel vuoto. Lenin, pur malato, è partito da mesi in lotta contro la burocrazia parassitaria che vede svilupparsi. Il 22 novembre 1922 invia un messaggio di saluto al Congresso dei sindacati in cui afferma che bisogna “ridurre sistematicamente l’apparato sovietico e abbassarne il costo attraverso una riduzione dei suoi effettivi, con una organizzazione più perfezionata, con la soppressione delle lentezze amministrative, del burocratismo e con la riduzione delle spese improduttive”.
È quindi in questo quadro che, con la sua grande genialità, Lenin vede il pericolo nel rozzo Stalin, che potrebbe con il suo empirismo arivoluzionario e la sua slealtà diventarne il peggiore strumento (certo senza poter immaginare che il rivoluzionario sleale e brutale avrebbe potuto diventare il massacratore della grande maggioranza dei bolscevichi che avevano fatto la rivoluzione d’Ottobre).

In realtà era da mesi che Lenin sviluppava una battaglia politica contro Stalin.
Questi era stato eletto a questa carica, in sé nuova, ma che sostanzialmente ampliava i ruoli della segreteria del Comitato Centrale (i cui precedenti responsabili, a partire dal più importante, Krestinsky, si ritroveranno a breve tutti nell’Opposizione di sinistra con Trotsky e saranno fatti assassinare da Stalin negli anni ’30). Si trattava quindi di un ruolo importantissimo, non corrispondente a quello che oggi si intende con quel titolo, ma piuttosto con quello che oggi corrisponde al segretario organizzativo. Però nel caso concreto tanto più importante non solo perché il PC russo dominava, ma anche perché esso aveva solo una direzione collegiale, l’Ufficio Politico (di 9 persone), senza segretario politico, né presidente, Lenin essendo solo un primus inter pares, a volte posto in minoranza.

Contrariamente a una tenace leggenda, non era stato Lenin a proporre la nomina di Stalin, ma Kamenev, certamente per controbilanciare il ruolo centrale di Trotsky (che tra l’altro era suo cognato, avendo egli sposato la sorella del capo dell’Armata rossa, militante bolscevica dal 1902), che pensava troppo significativo. Lenin si era limitato ad accettare la proposta.

Lo scontro con Stalin e la progressiva comprensione del ruolo nefasto che egli poteva avere per il partito si svilupparono con un Lenin sempre più malato e la maggioranza dei bolscevichi non consci del livello di pericolosità di Stalin.

Il primo aspetto di tale battaglia si realizzò sulla questione del monopolio del commercio estero. Di fronte allo sviluppo della cosiddetta Nuova Politica Economica (NEP), che, superato il cosiddetto comunismo di guerra, aveva introdotto (1921) alcune limitate concessioni all’economia di mercato e agli investimenti esteri, la maggioranza dei componenti del Comitato Centrale del partito avevano pensato logico arrivare all’abolizione del monopolio statale del commercio estero o a una sua forte limitazione. Questo era avvenuto in un CC dell’inizio di ottobre del 1922, mentre Lenin e Trotsky erano assenti. Una volta informato con ritardo e ambiguità della ipotesi, Lenin si era dichiarato assolutamente contrario a tale prospettiva. Trotsky, quasi isolato, aveva intrapreso la battaglia sulla questione, sulle stesse posizioni contrarie di Lenin. Lenin, saputolo, gli scrive: “vi prego di intraprendere al prossimo plenum [del CC] la difesa della nostra comune posizione”. In questo plenum la pressione esterna di Lenin e quella interna di Trotsky portavano a ritirare la posizione iniziale di apertura del commercio estero. Ma oltre a coloro (ad esempio Zinoviev) che erano rimasti sulle posizioni originarie, coloro che avevano respinto la proposta si dividevano in due: coloro che avevano votato contro convinti dagli argomenti di Lenin e Trotsky, e chi dichiarò che pur essendo non convinto si piegava solo momentaneamente alle opinioni di Lenin, con l’ipotesi di riaprire successivamente la discussione. Tra questi Stalin, che lo fece brontolando polemicamente.

Fu in questo momento che Lenin cominciò a scrivere a Trotsky parlando di blocco politico tra loro contro la maggioranza del CC (e contro Stalin). Gli scrisse infatti: “A quanto pare, compagno Trotsky, siamo riusciti a prendere la posizione senza colpo ferire con una semplice manovra. Vi propongo di non fermarci e di continuare l’offensiva”.

Il secondo aspetto su cui Lenin sviluppò la sua battaglia fu il progetto di costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Fino a quel momento infatti la struttura dello stato socialista era stato una sorta di confederazione tra sei repubbliche socialiste sovietiche formalmente indipendenti: russa, ucraina, bielorussa, azerbaigiana, armena, georgiana (la prima federale al suo interno, le ultime tre federate tra loro nella repubblica transcaucasica). Si era deciso di andare a una unificazione sia formale che sostanziale delle sei.

Stalin, Commissario del popolo alle nazionalità, presentò un progetto che prevedeva un forte accentramento. Tra i critici i più netti furono i dirigenti del Partito Comunista della Georgia. In un primo momento Lenin si oppose alle loro critiche, pensando che fossero espressioni di un atteggiamento nazionalistico. Ma presto cambiò totalmente posizione. Scrisse che i veri sciovinisti (russi acquisiti) erano Stalin e il capo della GPU Dzeržinskij che lo appoggiava, che le critiche dei georgiani erano assolutamente corrette e che bisognava dare più autonomia alle singole repubbliche evitando la centralizzazione proposta da Stalin. Condannò anche apertamente i metodi amministrativi e le minacce usati da Stalin e dai suoi accoliti contro i dirigenti georgiani, scrivendo a questi ultimi “Stimati compagni, sono con voi con tutto il cuore…”.

Fu in questo momento che Lenin scrisse una lettera a Trotsky in cui diceva: “Vi chiedo insistentemente di assumere la difesa della questione georgiana nel Comitato Centrale”.
Il blocco dei due grandi dirigenti era ormai saldato, come nell’Ottobre 1917, e ciò su spinta principale di Lenin malato.
La sua segretaria Fotieva (che pure teneva i piedi in due scarpe e passava a Stalin copia di tutte le lettere di Lenin) afferma: “Lenin prepara una bomba contro Stalin al congresso”. Kamenev è informato da un'altra segretaria del fatto che Lenin “vuole stritolare Stalin al congresso”.

Ma un mese prima che il congresso si apra, il 10 marzo, Lenin ha un altro ictus. La parte destra del suo corpo rimane totalmente paralizzata e, soprattutto, perde completamente l’uso della parola.
Non ci sarà nessuna sua “bomba contro Stalin” al congresso.
Senza Lenin, Trotsky, il meno incline dei dirigenti bolscevichi a uno scontro di potere, il più alieno dal proporsi come “capo”, decide di non portare avanti la battaglia. Rifiuta di tenere la relazione politica del CC uscente al congresso e lascia che sia Zinoviev a farlo. Accetta, nonostante il “testamento”, che Stalin sia rieletto Segretario generale.

Il testamento è tenuto segreto. Sarà letto (ma non consegnato) ai delegati, non in seduta plenaria ma nelle riunioni delle diverse delegazioni regionali, nel successivo congresso del 1924, con l’impegno di non comunicarne l’esistenza all’esterno, dove però sarà noto dal 1925. All’evidenza, Trotsky vuole evitare uno scontro dirompente nel partito, non vede fino in fondo i rischi che esistono, forse spera anche che Lenin possa rimettersi in parte e giocare il ruolo che si era prefisso primo dell’ictus del 10 marzo.

E in effetti a fine luglio Lenin, che seguiva gli avvenimenti politici dai giornali che sua moglie, la Krupskaja, gli leggeva, comincia a riprendersi un poco e molto lentamente.
In autunno finalmente Trotsky, anche sotto la spinta della vecchia guardia rivoluzionaria, decide finalmente di lanciare la sfida al crescente apparato burocratico, sempre più conquistato da Stalin con benefici materiali.
L'8 ottobre Trotsky scrive una lunga lettera al Comitato Centrale di critica alla politica maggioritaria sia sul problema della democrazia interna che su quello della politica economica, che tendeva a fare nell’ambito della NEP sempre più ampie concessioni a settori piccolo-borghesi (contadini ricchi, piccoli commercianti) o addirittura borghesi (affaristi e grandi commercianti).
Il 15 ottobre, quarantasei importanti dirigenti del partito, tra cui Pjatakov, uno dei sei indicati nel “testamento” di Lenin, inviano a loro volta all’Ufficio Politico del CC un documento sulle stesse tematiche, chiedendo una libera discussione nel partito e la convocazione di una conferenza nazionale. Stalin e i suoi alleati del momento, Zinoviev e Kamenev (la cosiddetta troika), non permisero che si svolgesse un libero dibattito, ma convocarono la conferenza.

Nel frattempo la situazione di Lenin, sempre muto, era però migliorata a sufficienza perché egli potesse farsi portare in macchina, il 18 ottobre, dalla dacia in cui era convalescente a 30 chilometri da Mosca, fino in citta, al Cremlino. Si fermò per una notte nel suo appartamento. Prese dal suo studio alcuni libri, tra cui gli scritti di Trotsky, e poi rientrò alla dacia.

Intanto, per la conferenza, la sinistra presentò la propria piattaforma. Ma per la prima volta nella storia del partito si hanno brogli massicci. In particolare dove hanno la maggioranza, i seguaci della troika impongono spesso il criterio maggioritario per l’elezione dei delegati (prima sempre avvenuto su basi proporzionali alle diverse piattaforme). I dati dei voti individuali non sono mai stati resi noti. Le valutazioni di quanti hanno votato, nonostante tutte le pressioni burocratiche, per l’opposizione di sinistra variano tra il 10% e il 30% del totale, in ogni caso diverse decine di migliaia di militanti (tra cui un giovane dirigente dei minatori in Ucraina, di nome Nikita Kruscev, che si pentirà subito e sarà uno dei pochissimi tra loro che sopravviveranno agli anni Trenta). Così alla conferenza che si riunisce dal 16 al 19 gennaio del 1924, e che ha un ristretto numero di 102 delegati, solo tre rappresentano l’opposizione.

Mentre l’opposizione combatte la sua disperata battaglia, si va completando quella di Lenin per sopravvivere. Riceve pochi dirigenti del partito: Bucharin, Preobrazenskj, Krestinsky, Pjatnisky, Voronsky. La maggior parte di essi sono tra i quarantasei dell’opposizione. Tutti, senza eccezioni, saranno fatti uccidere da Stalin negli anni ’30.
Poi così riportano le sintesi dei suoi ultimi giorni: la sua attività essenziale tra il 17 e il 20 gennaio consiste nell’ascoltare la lettura del rendiconto della conferenza del partito. Lenin sembra attentissimo, e a gesti pone talvolta delle domande; alcuni punti lo contrariano visibilmente, ma la Krupskaja riesce a calmarlo, probabilmente con informazioni inventate di sana pianta a questo scopo.

Il 21 gennaio la salute di Lenin si aggrava improvvisamente. Muore alle 18.50.
Alle sequele delle pallottole della socialriformista Kaplan si somma ora l’amarezza per aver visto la frazione del partito che lui avrebbe voluto capeggiare insieme con Trotsky, e di cui lui più di ogni altro capiva l’importanza storica della battaglia, sconfitta dall’apparato dell’uomo che aveva sempre più compreso avrebbe avuto un ruolo nefasto per la rivoluzione – anche se, ripetiamolo, nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato il mostruoso tiranno distruttore fisico del partito bolscevico – Giuseppe Stalin, appoggiato ingenuamente da tanti rivoluzionari confusi (come Zinoviev, Kamenev, Bucharin, Rykov etc.) che se ne sarebbero pentiti amaramente e avrebbero pagato con la vita il loro errore.

Così si apriva la notte nera della controrivoluzione burocratica, prodromo storico della restaurazione capitalista.
Ma anche se sconfitto in quella che è stata definita giustamente “l’ultima battaglia di Lenin”, la sua opera rivoluzionaria, i suoi principi e il suo programma, quello della rivoluzione socialista mondiale, difeso nei lunghi decenni successivi da Trotsky e dai trotskisti conseguenti, continua a vivere e si realizzerà per liberare questo mondo da ogni barbarie e ingiustizia, e permettere alle future generazioni di vivere una vita veramente degna.

Franco Grisolia

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