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La situazione internazionale

7 Febbraio 2024

Documento discusso e approvato dal Comitato Centrale del 12-14 gennaio

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Lo scenario internazionale è ancora dominato dalla guerra in Ucraina, anche se l’attenzione mediatica in proposito si è spostata sul fronte mediorientale e la guerra in Palestina.

La guerra di invasione dell’Ucraina da parte dell’imperialismo russo è entrata in una nuova fase. Dopo i rovesci subiti all’inizio del conflitto, dovuti all’inaspettata capacità di resistenza del popolo e delle forze armate ucraine e alla sconfitta nella battaglia di Kiev seguita da una precipitosa ritirata, lo scontro era entrato in una fase di stallo, una sorta di guerra di trincea con il fronte del Donbass sostanzialmente immobile e con grandi perdite da entrambe le parti. Il fallimento della controffensiva ucraina nella scorsa estate e le difficoltà crescenti di approvvigionamento di armi da parte degli USA e della UE stanno mutando l’inerzia del conflitto a favore di Putin, il cui regime ha resistito fin ad ora alle enormi perdite militari, al tentativo del colpo di stato di Prigozhin e alle sanzioni economiche occidentali.
Tuttavia, le forze di occupazione russe non sono ancora in grado, per problemi militari e politici, di riconquistare il terreno perduto, perciò l’esito più probabile del conflitto, che potrebbe durare ancora a lungo, è quello di una tregua armata.

Abbiamo già analizzato il fatto che la politica espansionista dell’imperialismo russo sia stata favorita dal declino dell’egemonia americana che da decenni subisce colpi come quelli in Medio Oriente (Iraq e Siria) e in Afghanistan. Anche il possibile esito della guerra in Ucraina, almeno parzialmente favorevole a Putin, potrebbe esserne un effetto. Questo processo di declino però non mostra una tendenza lineare; al contrario incontra elementi di resistenza e di compensazione quali l’allargamento della NATO con l’ingresso di Svezia e Finlandia e il buon andamento dell’economia statunitense.


L’IMPERIALISMO CINESE E L'IMPERIALISMO RUSSO

Le potenze imperialistiche orientali, Cina e Russia, e la loro alleanza acquistano un peso crescente nella determinazione dello scenario politico mondiale e nella capacità congiunta di contrastare le potenze imperialistiche occidentali (tra e quali includiamo il Giappone). Lo sviluppo accelerato della spesa in armamenti, le grandi manovre militari e la volontà di condizionare i governi di intere porzioni di continenti (Africa, Medio Oriente, Sud-Est asiatico) da una parte e dall’altra del fronte dimostra una tensione crescente nel confronto tra i due blocchi imperialisti che potrebbe condurre a una guerra mondiale con esiti catastrofici, anche se questa ipotesi non
sembra ad oggi imminente.

Tuttavia, il percorso di Cina e Russia non è privo di ostacoli.
La Cina affronta una crisi economica inedita per lo scoppio della bolla immobiliare, con il sostanziale fallimento di Evergrande. Questa crisi non si presenta ancora con i numeri di una vera e propria recessione. Il PIL cinese mostra ancora un dato positivo. Ma certamente costringe il governo a una virata strategica del proprio modello di sviluppo e mette in discussione il ruolo della Cina quale locomotiva dell’economia mondiale. Dentro questo cambiamento obbligato si inserisce anche il contenzioso con Taiwan per il suo valore quale nodo della rete commerciale mondiale, soprattutto nel campo dei superconduttori. La tensione con Taiwan tiene aperto un fronte caldo di confronto con gli USA, altrettanto interessati a trattenere Taiwan nella propria sfera di interessi.

La crisi economica cinese mostra caratteristiche che potrebbero rassomigliarla a una crisi tipica da potenza imperialista matura. Tuttavia, allo stesso tempo potrebbe costituire un rallentamento importante nella sua dinamica ascesa, anche se non ancora un’inversione di tendenza o di declino.
Le difficoltà emergenti dell’imperialismo cinese hanno riflessi sulla sua proiezione internazionale, con la maggiore difficoltà di accesso al mercato europeo e intoppi sulla Via della Seta.
Al contempo la Cina segna il punto del rafforzamento dell’alleanza con la Russia con un peso predominate, e un ruolo diplomatico aumentato nei confronti dei paesi del cosiddetto sud del mondo e in Africa (anche se con possibili difficoltà dovute alla rivalità con l’India).

L’imperialismo russo, dopo aver subito i colpi della inaspettata resistenza ucraina e della rovinosa sconfitta della battaglia per Kiev, è riuscito ad approfittarsi del successivo stallo di guerra e del possibile cambio dell’inerzia di guerra a suo favore. Il regime di Putin purtroppo sembra ancora saldo, e semmai capace di continuare a sostenere lo sforzo bellico e di far crescere la sua influenza diplomatica e militare in Medio Oriente e in Africa (nel sud del Sahel) a scapito dell’imperialismo americano e francese.


LA GUERRA DI ISRAELE E LA RESISTENZA PALESTINESE

L’azione militare della resistenza palestinese del 7 ottobre, con i duri colpi inferti all’esercito occupante, ha portato alla ribalta la lotta pluridecennale del popolo palestinese, pur con il risvolto negativo del coinvolgimento di civili israeliani, in particolare con lo stupro di diverse donne. Il governo di Netanyahu, sorretto dall’estrema destra sionista, da tempo incalzato da un vasto movimento popolare che ne contesta la corruzione e la volontà di assoggettare la magistratura, ha colto l’occasione per entrare in una nuova fase dell’espansione israeliana che ha come fronti Gaza e la Cisgiordania.

Proprio le difficoltà giudiziarie e di consenso del Primo ministro spiegano la straordinaria ferocia con cui le forze armate israeliane stanno colpendo indiscriminatamente la popolazione di Gaza e della Cisgiordania, che dal canto suo sta mostrando una capacità di resistenza e di sopportazione esemplari. Questo è il primo fattore che può mettere in discussione non solo l’attuale governo ma anche l’apparato statale e coloniale israeliano.


LA NUOVA NAKBA

Il progetto di Netanyahu e della destra sionista è quello della distruzione di Gaza e della deportazione di gran parte della sua popolazione, del sostegno dell’espansione degli insediamenti coloniali nella Cisgiordania e il rafforzamento del movimento armato dei coloni, sua base elettorale.
Per entità dei massacri, della distruzione e della numerosità della popolazione deportata, siamo in presenza di una nuova Nakba, o più precisamente della continuazione della stessa fin dal 1948, ma a uno stadio ancora più elevato.


POTENZE REGIONALI A CONFRONTO E POSSIBILITÀ DI ALLARGAMENTO DELLA GUERRA

Tutte le potenze regionali sono in difficolta: la Turchia sconta ancora gli effetti sociali e politici del terribile terremoto che ha sconvolto il suo territorio nel febbraio del 2023; l’Arabia Saudita è stata spiazzata dall’azione del 7 ottobre che, ha interrotto il processo di avvicinamento con Israele (Accordi di Abramo) ed è in difficoltà nella guerra in Yemen; l’Iran è attraversato dalla rivolta delle donne e dei giovani contro il regime teocratico.

Tutti questi paesi, anche se ufficialmente appoggiano la causa palestinese, in realtà sono terrorizzati dallo sviluppo indipendente della mobilitazione popolare in soccorso alla Palestina, che potrebbe travolgere i propri governi accusati di ipocrisia e doppiogiochismo.

Israele, come abbiamo detto, è attraversato da un vasto movimento contro la deriva autocratica e confessionale dello Stato impresso dall’estrema destra, anche se ad oggi, di fronte agli avvenimenti del 7 ottobre, pare sostanzialmente unito non con Netanyahu ma certo contro il popolo palestinese.

Anche qui si scorgono le difficoltà sul piano politico-diplomatico dell’imperialismo americano impegnato in un sostegno pressoché incontrastato dei massacri di civili da parte delle IDF (Forze di Difesa Israeliane), accusato dal mondo arabo di sostenere l’occupazione israeliana mentre fino a poche settimane ha sostenuto fermamente la condanna e lo scontro con l’occupazione russa dell’Ucraina, e sotto attacco in Iraq dove le sue basi militari sono ripetutamente prese d’assalto dalla popolazione.

Il declino egemonico degli USA è allo stesso tempo frutto e concausa del quadro mutato della globalizzazione capitalista oggi in crisi, come dimostrato plasticamente nel Mar Rosso dagli attacchi dei ribelli houthi alle navi cargo, con la conseguente interruzione dei flussi commerciali. La concatenazione delle difficolta diverse e di scala differente delle potenze della regione mediorientale, e la minaccia di bombardamenti americani, frenano la dinamica di un possibile allargamento del conflitto, anche se non lo escludono. Attori diversi e meno controllabili, come gli houthi, potrebbero avere un ruolo importante nel costringere all’impegno militare l’Iran.


LE DIFFICOLTÀ DEL SIONISMO

La resistenza palestinese mette in difficoltà le forze armate israeliane, costringendole a subire perdite di ordine probabilmente superiore a quelle denunciate dalle autorità israeliane.
I massacri israeliani e la resistenza palestinese hanno suscitato nel mondo il più vasto movimento di solidarietà dai tempi del Vietnam. Molto oltre i confini del mondo arabo, imponenti manifestazioni si sono avute nei due continenti americani, in Europa e in Asia.
Con il genocidio a Gaza, l’Occidente, che lo sostiene, perde ogni giorno credibilità di fronte a vasti settori opinione pubblica, soprattutto giovanile, nella grandissima maggioranza della popolazione mondiale, che dal confronto con il sostegno alla resistenza ucraina gli rivolge l’accusa – a ragione – di doppio standard. L’indignazione popolare colpisce governi di diverso colore politico, e non risparmia le istituzioni internazionali come l'Unione Europea, il tribunale dell’Aja e la stessa ONU, incapace di prendere risoluzioni vincolanti per Israele.

A questo proposito si assiste a un profondo scollamento tra la narrazione massmediatica occidentale, tendenzialmente compiacente con Israele, e vasti settori popolari indignati o anche solo molto perplessi e preoccupati dall’arroganza israeliana e americana.
Contro questo movimento viene utilizzata, come una clava, l’accusa di antisemitismo, con il risultato oltretutto di legittimare politiche repressive in Francia e in Germania. Il fenomeno dell’antisemitismo (o, per essere più precisi nel termine, giudeofobia) è sicuramente riemergente e non manca di destare preoccupazioni. La politica di Israele sicuramente non facilita il contrasto del fenomeno. Quello che si può dire è che, almeno in Europa, esso non ha quasi nessun appoggio politico. Al contrario, la grande maggioranza delle forze politiche conservatrici e reazionarie appoggiano Israele.

In realtà questa accusa infamante è servita a indottrinare mass media occidentali e a intimidire i giornalisti, ma non ha scalfito il grande movimento che invece ha accusato di doppia morale e ipocrisia proprio questi mass media e le istituzioni filoccidentali.


L'UE E LE POTENZE IMPERIALISTE EUROPEE

L’approvvigionamento energetico, la competizione soprattutto con la Cina sul passaggio all’elettrico del settore automobilistico, e i segnali del profilarsi di uno scenario di difficolta nella guerra in Ucraina, hanno dei riflessi importanti sulla UE e sulle potenze imperialiste europee.

L’economia tedesca soffre per il cambio strategico dell'approvvigionamento energetico e per l’aumento delle tensioni politiche ed economiche con Russia (ovviamente) e Cina. In Francia Macron ha problemi di consenso, incalzato alla destra lepeniana, in vista delle elezioni europee, e non è capace di rilanciarsi sul piano internazionale. Al contrario, subisce colpi nei suoi tradizionali insediamenti africani, dove con gradazione diversa trova concorrenti sia nell’imperialismo russo che in quello italiano. L’Italia di fronte alla crisi energetica ha giocato un ruolo di sponda alla diplomazia degli USA dentro la UE, che al momento sembra avvantaggiarla ma che nondimeno soffre della crisi della locomotiva Germania, e gioca d’azzardo in Africa (piano Mattei).

Nel complesso, l'Unione Europea alla prova delle elezioni europee sembra avere un ruolo indebolito sul piano dell’economia globale e nelle sue capacità diplomatiche rispetto a Cina e USA.


GLI USA

Come già accennato, l’imperialismo USA è segnato dall’approfondirsi del declino del proprio ruolo egemonico. Ciò non significa che sia vicino al crollo, ma consente maggiori margini di azione agli imperialismi avversari e una relativa autonomia di manovra alle medie potenze regionali.

A questo proposito sono esemplificative la compromissione del proprio ruolo diplomatico nello scacchiere mediorientale dopo essere andato vicino a un accordo di buon vicinato tra Arabia Saudita e Israele (Accordi di Abramo). Oggi il suo ruolo fondamentale di protettore del colonialismo sionista raccoglie virulentemente l’odio delle masse popolari arabe, favorevoli o meno che siano ai propri regimi.

Un altro fronte critico è la difficoltà crescente a continuare il sostegno economico e di rifornimenti all’esercito ucraino, tanto più nel quadro dell’oneroso impegno politico-militare al fianco di Israele. Non mancano poi problemi interni, dovuti al ruolo montante di Trump e del suo movimento in vista delle presidenziali, con un effetto di potenziale grave destabilizzazione istituzionale.

Come sempre, però, ogni processo mostra una dinamica dialettica, per cui gli USA nello stesso tempo incassano l’allargamento della NATO, per la quale non vorrebbero impegnare maggiori risorse proprie ma piuttosto pretenderle dai paesi UE; incassano la sponda diplomatica italiana come una specie di cavallo di troia dentro la UE e in concorrenza con la Germania; e il buon andamento della propria economia, con un rinnovato ruolo di traino per l’economia mondiale.

La presidenza Biden è sottoposta a una pressione crescente sia sul piano internazionale sia per il pericolo reale di uno smottamento anche istituzionale provocato dal movimento trumpista. Una pressione che al momento non sembra in grado di governare efficacemente, e che la porterà a perdere consensi anche per il suo appoggio al governo Netanyahu, contestato da una larga parte – soprattutto i settori giovanili – del partito e dell’elettorato democratico.


AFRICA

Molti paesi africani in generale tentano di acquistare una maggiore autonomia di movimento politico ed economico, barcamenandosi tra le potenze imperialiste declinanti USA e UE, e ascendenti Cina e Russia, senza però arrivare al punto di una definitiva scelta di campo, cercando di spuntare le migliori condizioni economiche e contratti di fornitura più vantaggiosi.
I colpi di stato e cambi di regime di diversi paesi nella regione del Sud Sahel ne sono una risultante, nel quadro di un impoverimento di vasti settori popolari. Impoverimento sospinto oltre che dall’instabilità interna anche dalla crisi climatica.
Il continente africano, ricco di risorse minerarie, rimane in ogni caso il più esposto alle scorribande predatorie imperialiste, il che ne fa un terreno di scontro con potenzialità esplosive nel prossimo futuro.


AMERICA LATINA

Si conferma il regresso delle esperienze variamente riformiste e populiste progressiste e di sinistra (la "marea rosa"), con la parziale eccezione del Brasile, dove è stato rieletto Lula.

Il regime di Maduro in Venezuela ristagna, anche se ultimamente potrebbe aver tratto vantaggio dalle crescenti tensioni sull’approvvigionamento energetico tra le maggiori potenze imperialiste. In molti paesi cresce gravemente il tasso di criminalità e la capacità delle bande criminali, soprattutto narcotrafficanti, di affrontare le forze di sicurezza e mettere in discussione persino la tenuta degli organismi di Stato (Ecuador, Messico).

«La lotta di classe è comunque proseguita, inizialmente depressa dal Covid-19 e poi accelerata dall’incapacità dei governi di destra di affrontare la pandemia e le sue conseguenze economiche. Le proteste sono scoppiate in Argentina, Bolivia (con la risposta rivoluzionaria al golpe del 2019), Brasile e in altri luoghi della prima "marea rosa". Si sono diffuse in paesi che non facevano parte della prima “marea rosa” o che ne erano marginali, tra cui, in modo spettacolare, il Cile nel 2019, la Colombia nel 2019 e nel 2021 e il Guatemala nel 2020.» (Documento approvato al congresso dell'Opposizione Trotskista Internazionale)

Dopo alcuni successi elettorali, però, la “marea rosa” è tornata a rifluire. Nel documento più sopra citato così è significativamente riportato: queste forze «non si opporranno al capitale, non sfideranno l’ordine imperialista e non si uniranno. Senza questi passi, non potranno apportare cambiamenti fondamentali e nemmeno resistere al neoliberismo» (documento approvato al congresso dell'Opposizione Trotskista Internazionale).

La disfatta del peronismo in Argentina, con la vittoria del populista ultraliberista Milei, rappresenta una clamorosa conferma di questa previsione. La crisi del peronismo non ha visto una capitalizzazione di consensi alla sua sinistra da parte del FIT (Frente de Izquierda). Invece si è aperta la strada alla destra ultraliberista. Tuttavia, è prevedibile un accentuarsi nel prossimo periodo della lotta di classe provocata dagli attacchi di Milei, per cui sarà determinante il ruolo di avanguardia rappresentato dalle compagne e dai compagni del Frente de Izquierda.


IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E IL FALLIMENTO DI COP 28

Il 2023 è stato l’anno più caldo che la storia ricordi. Il cambiamento climatico, ormai ineluttabile, segnerà le prossime line di scontro tra le potenze imperialiste e nel confronto tra esse e i paesi economicamente dipendenti. Le aree vivibili, le terre fertili, l’acqua potabile del pianeta saranno contese tra centinaia di milioni di persone. Aumenteranno i flussi migratori e le politiche repressive nei loro confronti. Indubbiamente si tratta di uno dei fronti più caldi del declino del capitalismo mondiale.

La COP 28 è fallita anche dal punto di vista borghese, e non poteva essere altrimenti. Con effetti anche paradossali, come averne affidato l’organizzazione a uno dei regimi più “fossili” del mondo, e che ovviamente ha boicottato i seppur timidi tentativi europei di arrivare ad un impegno più marcato riguardo alla riduzione delle emissioni. Il rifiuto delle maggiori potenze industrializzate del mondo di finanziare sufficientemente la riduzione delle emissioni nei paesi economicamente dipendenti annulla gli sforzi dell’ambientalismo borghese riformista di arrivare anche solo parzialmente ai risultati prefissati nel tentativo di scongiurare il catastrofico riscaldamento globale
nel prossimo decennio.

Il passaggio al riscaldamento e alla mobilita elettrici difficilmente sarà capace di scongiurare questo scenario, dal momento che il ritmo delle implementazioni da fonti energetiche rinnovabili è molto più lento di quanto auspicato, e la produzione di batterie e accumulatori comporta la distruzione di interi ecosistemi nel territorio di numerosissimi paesi dipendenti.

Anche l’avvento dell’Intelligenza Artificiale e di un nuovo stadio della robotica, sotto il dominio capitalista, annunciano sfracelli: guerra per le terre rare, nuovi sconvolgimenti dovuti alla produzione mineraria, disoccupazione tecnologica e nuova divisione di classe a livello internazionale. In definitiva, il capitalismo rovina tutto ciò che tocca, e contamina sul nascere anche le conquiste più avanzate dell’intelletto umano.


14 gennaio 2024

Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori

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