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Senza teoria rivoluzionaria: cosa significa cento anni dopo Lenin

21 Gennaio 2024
Lenin


Ne avevamo già parlato, poco più di un anno fa, per mettere con le spalle al muro i senza partito, quella strana genia di comunisti che predica le più svariate cose in salsa marxista, avendo sempre una scusa per non tenere la tessera in tasca di un partito. Questo articolo affronta da un altro versante lo stesso problema e lo dedichiamo a Lenin, a 100 anni esatti dalla sua morte.

La teoria ci insegna – scrivevamo – che senza partito non vi è rivoluzione che possa vincere. Ne segue a corollario che senza teoria rivoluzionaria un partito non può vincere. La frase originaria è: «senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario» (Lenin, Che fare? E forse è pure ripresa da qualcun altro, ma non ha importanza. Ormai è ascritta a lui e quel che conta è il suo significato). La frase è bella, nitida e tornita, e riempie la gola dei fanfaroni di sinistra. Non c’è gruppo radicale, persino tra gli anarcoidi, che non ami citarla. Quale bonzo intellettuale e accademico non l’ha messa a suggello della sua scintillante teoria velleitaria nuova di zecca?

Molti si immaginano che per “teoria rivoluzionaria”, si intenda una qualche elaborazione intellettuale, di norma un libro o comunque una produzione di un certo spessore culturale. È il caso del guru di turno di questo o quel gruppo di radicali sulle più svariate tematiche. Da Panzieri a Sofri fino a Tronti e Negri, sono stati tutti insigniti dalla critica superficiale dell’aura di teorici rivoluzionari sol per aver prodotto, ai tempi, roboanti sofismi in salsa vagamente marxista. E d’altra parte, non c’è gruppo ambientalista, femminista, anarcoinsurrezionalista, neropanterato e insomma in qualche modo anticapitalista che non abbia qualcuno che non si sia fregiato, in questa o quella arringa, di questa frase iconica. Ciò non toglie che nonostante gli scroscianti applausi dei seguaci, non ne abbiano capito un tubo né loro né i vari guru.

Per comprendere la frase, bisogna comprendere l’autore e il contesto in cui è stata scritta, nonché i tempi di allora e gli aggiornamenti fino al 2024.

L’autore è un socialdemocratico del POSDR, il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, cioè un marxista russo impegnato ai primi del ’900 in una delle tante battaglie interne tra le varie correnti, cioè tra le varie “teorie rivoluzionarie”. È un marxista che sa di non essere lui, né il suo gruppo, il soggetto della storia, perché il soggetto della storia, cioè della possibile rivoluzione, è per i marxisti la classe operaia, il proletariato. Questo vale ieri come oggi fino alla fine del capitalismo. È il proletariato e solo il proletariato che può produrre teoria rivoluzionaria, perché solo il proletariato può fare praticamente e non solo teoricamente la rivoluzione. E senza unità dialettica tra teoria e prassi, non c’è né l’una né l’altra. Ecco perché solo per il proletariato ha senso parlare di teoria rivoluzionaria, perché è il solo soggetto che, avendo in potenza la prassi rivoluzionaria, può quindi avere anche la teoria. Non è, certo, l’intera classe a produrla, ma la sua avanguardia, vale a dire la sua crema, i suoi elementi migliori racchiusi in un partito. Solo però se questi e questo si sforzano di radicarsi nella classe, di penetrarla e fecondarla. Perché questo in fondo significa la frase: senza partito rivoluzionario, non c’è teoria rivoluzionaria che tenga, cioè il proletariato non è in grado di passare dalla prassi rivoluzionaria in potenza, all’atto vero e proprio. Senza questo sforzo di radicamento del partito e nel partito, e nella classe e verso la classe, la teoria, per quanto radicale possa sembrare, resta una teoria pressoché insignificante e tutto sommato, salvo curiosità da erudito, si può saltare a piè pari visto che non è prodotta né dal proletariato né da una qualche frangia attiva al suo interno che lo possa innescare, quando questi ha già innestato la marcia rivoluzionaria. Di rivoluzionario ha solo le sue pretese intellettuali tipiche del piccolo borghese che in fondo pensa di essere lui coi suoi libri il soggetto del cambiamento.

Qui già finisce la teoria rivoluzionaria per il 99% degli amanti a sproposito di Lenin. Chi scrive un libro, chi bazzica questo o quel movimento, chi passa da un convegno alla cattedra di un’università e viceversa, chi entra ed esce da tutti i centri sociali senza un solo giorno dentro un sindacato, senza mai una tessera di partito, non può produrre teoria rivoluzionaria e se ne ha la velleità, sapete già in partenza che produrrà, a questo o quel livello, non teoria rivoluzionaria ma revisionismo, cioè prassi della sconfitta sicura qui e ora, quando è palese, oppure domani quando la storia si incaricherà di smascherarne come illusioni le sue chimeriche “teorie rivoluzionarie”.

Scremati il 99% dei leninisti a sproposito, restano i marxisti gli unici che possono dare un senso reale alla frase. Ma anche qui se i sedicenti gruppi marxisti non si vedono all’interno dei sindacati, o peggio se li si vede solo per appoggiare il Landini di turno, tipo il vecchio PRC di Bertinotti o Lotta Comunista, anche questi li puoi scartare ben sapendo che non producono né produrranno mai teoria rivoluzionaria, ma al massimo retorica sulla teoria rivoluzionaria (Lotta Comunista) o aperto rinnegamento di detta teoria (PRC), in breve altro revisionismo, altre sconfitte.

Il cerchio si restringe. Chi resta? Restano gli altri marxisti di tutte le razze e sono purtroppo molte. Producono tutte teoria rivoluzionaria? Non possiamo escluderlo a priori, perché non possiamo incoronarci, da presuntuosi, unici depositari del verbo rivoluzionario, ma qui però dobbiamo introdurre l’altro aspetto fondamentale della teoria rivoluzionaria, regolarmente ignorato dai leninisti della domenica, ed è l’aggettivo “giusta”. La frase di Lenin, dopo averla spiegata, va completata per essere appresa appieno: senza teoria rivoluzionaria “giusta”, non c’è partito rivoluzionario, o meglio c’è un partito rivoluzionario dalla teoria rivoluzionaria sbagliata, destinato quindi alla sconfitta e a fare una brutta fine, tirandosi dietro purtroppo il proletariato. È il caso dei sedicenti marxisti da “Unidad Popular”, strani leninisti che vogliono fare la rivoluzione con la collaborazione della borghesia. E casi come Unidad Popular ce ne sono a bizzeffe.

La parola “giusta” per i falsi rivoluzionari, è come il numero della bestia. Non la vogliono pronunciare, perché questa esigerebbe da loro il bilancio storico che non vogliono fare per non scoprirsi in fallo. Di fronte al bilancio diventano fumosi ed evasivi, e la loro citazione diventa buona solo per il sermone domenicale che elude, uno ad uno, tutti i punti nodali che fanno invece l’ossatura di una vera e robusta teoria rivoluzionaria. È il caso di quei vecchi barbogi dei giovani comunisti.

Nella teoria rivoluzionaria seria, rimbomba continuamente l’eco di una domanda: son giusta o sono sbagliata? Solo se si ha il coraggio di rispondere a questa domanda per ogni evento o fatto della lotta di classe si può sperare di produrre teoria rivoluzionaria almeno interessante. Eh già, perché la teoria rivoluzionaria giusta è il responso della lotta di classe dal punto di vista della necessità rivoluzionaria. Quando Marx, dopo la Comune, corregge il Manifesto – non più conquista dello stato ma sua distruzione – lo fa perché si rende conto che se si vuol far la rivoluzione è giusto così. Perché la prassi della Comune di Parigi lo dimostra. Lo stesso fanno Rosa Luxemburg e i futuri comunisti quando rompono con la II Internazionale. Tirano le conseguenze del suo tracollo pratico ed esigono una camicia pulita perché sanno che è giusto per la causa rivoluzionaria.

Non si può fare un bilancio univoco della lotta di classe, perché la scienza della lotta di classe non è una scienza esatta, non è un’equazione matematica. Su tanti episodi si può discutere senza giungere a un giudizio condiviso. La rivolta di Kronštadt, per esempio, non potrà mai avere una valutazione univoca. Per me fu giusto domarla, ma non ha senso difendere anche gli eccessi che si fecero soprattutto dopo, a rivolta già domata. Kronštadt resta comunque un episodio, e non il più significativo della storia della lotta di classe. Gli episodi più generali della lotta di classe, sono molto più limpidi, e dovrebbero unire i marxisti, se non fossero marxisti solo a parole, cioè ideologici nel senso mistificatorio del termine, legati in maniera infantile al gruppo che si sono scelti.

Se si prende un filo e lo si passa attorno alle grandi svolte della storia, domandandosi quale fosse la scelta giusta da fare in chiave rivoluzionaria, è abbastanza facile ripercorrere la strada della teoria rivoluzionaria corretta, annodando di volta in volta la posizione giusta: è sempre quella che viene confermata dalla prassi (Rivoluzione d’Ottobre) e, al contrario, quella sbagliata è quella che viene sconfitta (praticamente in tutti gli altri casi, a gradi diversi).

Chi aveva ragione tra Rosa Luxemburg e i cialtroni socialdemocratici riformisti? Il 4 Agosto 1914 ha risposto: Rosa Luxemburg. Chi ha avuto ragione tra Rosa e Lenin sull’autodeterminazione dei popoli? Lenin con buona pace di chi oggi ci sputa addosso per il nostro appoggio al proletariato ucraino, verso il quale non ha una sola parola, anche solo di solidarietà. Chi ha avuto ragione tra Rosa, Lenin e Trotsky sul modo di costruire il partito? Lenin! Chi tra lui e Trotsky sulla dinamica della rivoluzione russa? Trotsky. Chi tra lui e Stalin sulla rivoluzione in permanenza o il socialismo in un paese solo? Trotsky. Così come sul fronte unico rispetto al socialfascismo e su tutto ciò che l’ha diviso dallo stalinismo.

Se si segue questo filo, non è difficile riannodare tutta la teoria rivoluzionaria giusta arrivata fino ai nostri giorni: è quella che passa da Marx Engels, Luxemburg, Lenin, Trotsky e arriva fino alla IV Internazionale, al netto dei suoi tanti errori. Chi lo nega è solo un prete travestito da marxista, uno che di fronte al contrasto tra Stalin e Trotsky non sa far altro che smezzare il pane, imburrarlo e dire: «ancora Stalin e Trotsky? Sono cose del passato, volemmose bene, siamo tutti comunisti!». E se gli chiedete com’è che, ad esempio, Stalin ha preso a fucilate i rivoluzionari in Spagna nel ’36 facendo vincere Franco, comincia una pantomima di frasi fatte, di penose giustificazioni, di contorcimenti mentali burocratici da far invidia a Bréžnev, tutto per non far i conti con la verità rivoluzionaria. La teoria sbagliata, indifferente alla verità, vuole sempre unire il giusto con lo sbagliato, perché sente di star dalla parte sbagliata ma non ha la forza di correggersi per mediocrità e codardia mentale. La teoria rivoluzionaria giusta, lo è proprio perché separa con forza e vigore il giusto dallo sbagliato. Senza concessioni fumose da preti rossi alla teoria errata.

La frase aggiornata al gennaio 2024, almeno per i marxisti, significa dunque: senza partito trotskista, non c’è teoria rivoluzionaria giusta. Fuori c’è solo teoria sbagliata, prassi felice dell’eterna sconfitta del proletariato. Quindi lasciate ogni speranza intellettuali della più bell’acqua. Ma non solo: lascino le speranze anche i marxisti da bandiera anticapitalista per magistrati borghesi; lascino le speranze i marxisti da Controvento, cioè da cenacolo di discussione sulle direzioni ostinate e contrarie, sulle burrasche, sui mari in tempesta e mai sulle loro vele regolarmente ammainate di cui ancora non si sono accorti; lascino le speranze i marxisti che sentono tutte le voci delle lotte solo per racchiuderle nella loro terrificante rivista, “marxisti retrogradi per Giovanna D’Arco” (memorabile il loro ultimo omaggio a Tronti); lascino le speranze i più comici di tutti, i marxisti da Marxpedia, la prima enciclopedia marxista che alla voce “partito”, ha la “striscia” di Don Abbondio in vestaglia che recita «Carneade, chi era costui?»; lascino infine le speranze i più incredibili di tutti, i marxisti di tendenza, ovvero i marxisti che il giorno delle elezioni dicono «vota Corbyn, vota Chávez, vota Tsipras, vota chiunque tranne noi, noi abbiamo piena fiducia nelle masse, siamo marxisti di tendenza, la famosa tendenza alla sfiducia più totale nell’avanguardia che non siamo»

Il cerchio si chiude, restano tre o quattro gruppi con speranza di teoria rivoluzionaria giusta. Vedremo il giorno delle elezioni europee se la teoria rivoluzionaria giusta sarà più importante della loro cricca. Eh già, perché la teoria rivoluzionaria giusta, quella di Lenin e del famoso Estremismo dice che il giorno delle elezioni i partiti marxisti e cioè trotskisti, se sono troppo deboli o piccoli, devono unirsi o almeno provare a farlo. Già lo so che il mio partito, con tutti i limiti che ha, magari all’ultimo minuto, una proposta comunque la farà. Vedremo cosa faranno gli altri, se risponderanno con le solite scuse o se si assumeranno una buona volta la responsabilità che hanno verso la classe operaia, cioè verso l’unica possibilità di teoria rivoluzionaria giusta. Lenin insegna e continua a insegnare cento anni dopo: senza il partito la classe non può vincere, ma lo scopo non è il partito, tanto più se questo ha la fissa di restare abbarbicato al proprio eterno embrione.

Lenin è morto cento volte fa. Evviva cento e mille volte Lenin!

Lorenzo Mortara

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