Interventi

Io Capitano, un gran film

22 Settembre 2023
Io capitamo


Una traversata della speranza di un’umanità africana piena della gioia di vivere di una gioventù bella, varia e colorata ma con un unico ostacolo che gli si para davanti: la vergogna senza fine, aberrante e disumana del capitalismo genocida più marcescente e dei suoi schifosi sbirri di tutte le razze e i paesi e dei loro governi, imperialisti in primis.

Corredato da una fotografia suadente e romantica come gli spazi aperti ed infiniti del Sahara, il film ha forse qualche caduta nei sogni dei protagonisti e nell’incapacità di metterli in scena decentemente senza i trucchi e gli effetti speciali di Hollywood.

Sottotitolato praticamente tutto dall’inizio alla fine, forse per scremare il più possibile un pubblico di destra, di piccoli borghesi razzisti e analfabeti che sicuramente non capirebbero niente del film, esattamente come un asino può comprendere al volo di non essere una bestia fino a che non ha le orecchie di Minniti, Salvini o Meloni, il film racconta la drammatica esperienza di due giovani cugini alla ricerca di un’Europa che gli offra almeno la miseria di passare da sottoproletari a proletari, se non proprio la vincita all’enalotto di sfondare come cantanti.

Con maglie rigorosamente calcistiche, popolari e un po’ sbiadite come quella del Barça; senegalesi di un Senegal non molto dissimile da quello appena postcoloniale raccontato dal grande regista Ousmane Sembène e dal suo carrettiere, del quale c’è parso di intravedere un doveroso omaggio, i due ragazzi partono alla volta dell’Europa, incuranti di tutti gli avvisi, i presagi e le ammonizioni di mamme e stregoni. Direzione: Italia, attraverso le dune del deserto e la Libia.

Minorenni e quindi meno rischiosi per la mafia degli organizzatori, alla fine di diverse peripezie, vengono imbarcati, stipati e varati come animali da viaggio, mentre il più sano dei due addirittura improvvisato come capitano di una tinozza men che fatiscente.

Tra donne incinte e ulteriori carichi di carne umana pressata nella sala motori, i due ragazzi cavalcano le onde nella notte difendendo minuto per minuto la loro straordinaria umanità, mentre il capitalismo marcio succhia petrolio dalle piattaforme ipertecnologizzate nella più totale indifferenza e nel più criminale cinismo.

Il dramma è dietro l’angolo e lo si attende come ineluttabile. Ma non muore nessuno nell’improbabile finale, a parte i disperati che alla partenza non ci sono nemmeno arrivati, rapinati e uccisi prima dalla spietatezza del Capitale. Ma che importa sembra dirci Garrone. Siamo al cinema, la realtà è più vera se viene rafforzata da una metafora politica, non avvilita e dimezzata da un banale documentario.

I veri capitani sono loro, nessuno ha più coraggio di questi disperati cosi vitali come il ritratto della gioia umana fatta a persona quando tagliano il traguardo. Non quelli vigliacchi sulla terraferma, per sbaglio a guida di una bagnarola chiamata Italia borghese che meriterebbe solo di essere affondata seduta stante tanto puzza e fa schifo, se non fosse che sopravvive e galleggia proprio perché i capitani fasulli, come è noto, riescono a galleggiare come galleggiano le merde più nere e puzzolenti sullo sfruttamento dei drammi e delle disgrazie della povertà altrui.

Lorenzo Mortara

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