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Dopo lo sciopero del 10 ottobre continua in Francia la mobilitazione contro Macron

Intervista a Typhaine (Anticapitalisme et Révolution)

11 Ottobre 2017
10ottobreFrancia


Quasi cinque milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici, attraverso 130 cortei in tutto il paese, hanno animato il secondo sciopero generale nazionale (in questo caso del pubblico impiego) dell'era Macron dopo quello del 12 settembre, a neache cinque mesi dal suo insediamento. I tassi di adesione – 20 per cento del totale degli occupati – confermano lo stato di fermento che percorre trasversalmente tutte le categorie e gli strati sociali.
Con la seconda riforma del lavoro quasi in vigore, gli effetti della prima già in atto, in Francia la controffensiva è stata lanciata dalle piazze, dai luoghi di lavoro, dai quartieri popolari già da un anno: per contrastare i licenziamenti massicci nel pubblico, i tagli a sanità, scuola e università, la chiusura di interi stabilimenti produttivi, l’attacco ai sussidi di disoccupazione, i licenziamenti facili, i contratti sempre più precari, la violenza della polizia che genera morti nelle periferie, l’introduzione dello stato d’emergenza, la repressione e le rappresaglie contro i militanti sindacali e i giovani, colpiti da processi e pesanti condanne.
La mobilitazione resiste: dopo il 12, il 21 e il 28 settembre, il 10 ottobre è stata la volta della funzione pubblica, alla quale anche il lavoro privato si è unito per lo sciopero generale.
Typhaine, una compagna militante di Anticapitalisme et Révolution – principale corrente di sinistra del NPA (Nouveau Parti Anticapitaliste), studentessa a Parigi e attiva nel Front Social, ci spiega meglio che cosa sta succedendo attualmente in Francia, per tracciare un quadro delle prospettive, a partire dal calendario delle mobilitazioni e delle forze presenti.

Qual è lo stato della mobilitazione in Francia, a livello di giovani e lavoratori, rispetto al 2016, visto che Macron prosegue il suo progetto di riforme per decretazione d' urgenza e ordinanze?

Typhaine (A&R): C'è una diffidenza consistente da parte dei giovani e dei lavoratori rispetto all'attuale governo. Poche persone hanno votato Macron, e quelli che l' hanno fatto spesso non ne erano convinti. Gli annunci fatti durante l'estate e al rientro, ancora nel senso di togliere alla maggioranza della popolazione per dare sempre ai più ricchi. Tutto questo trova resistenza.
Nonostante il fatto che le direzioni sindacali nazionali non avessero assolutamente preparato gli scioperi e le manifestazioni del 12 e del 21 settembre, i tassi di adesione erano alti in una serie di settori, e altrettanto lo erano i numeri dei cortei organizzati. A partire dal settore degli insegnanti e ricercatori per esempio, che non ha grande peso economico diretto, ma un interesse strategico relativamente alla mobilitazione studentesca, dove quindi i lavoratori si sono posti loro stessi la questione (senza i sindacati) di mettersi in sciopero dal 12 per inviare un messaggio forte al governo.
Durante il movimento contro la riforma del lavoro del 2016, le categorie del pubblico erano decisamente poco presenti nello sciopero. Questo disequilibrio è molto meno importante in questo momento. Infatti, la massiccia abrogazione dei contratti di inserimento, decisa dal governo appena prima della fine dell'estare, ha costretto il personale della Pubblica Istruzione a lottare, semplicemente perché non potevano assicurare l'inizio del nuovo anno scolastico: diritto alla pensione e diritto di sciopero, presidi e manifestazioni sono stati numerosi e continuano ad esserlo. Hanno fatto proprie queste date anche molti lavoratori del privato, persino nei settori più precari, come quello dei corrieri “uberizzati”.


Ci potresti illustrare le rivendicazioni e l'andamento del conflitto, soprattutto fra i giovani?

T: Per i giovani, le forme di mobilitazione in molti casi sono ancora embrionali. Si stanno creando dei contesti di autorganizzazione. A livello nazionale ci sono assemblee generali in molte università, con dei comitati di mobilitazione che stanno via via prendendo piede. Il numero dei partecipanti è diverso a seconda dei periodi e delle città. Le assemblee generali possono riunire da una trentina a trecento persone.
Il movimento studentesco è esploso, ed è stato molto avanzato sia per ciò che riguarda le rivendicazioni sia per le forme di lotta: cortei nelle manifestazioni contro la riforma del lavoro XXL (in versione extralarge, cioè molto peggiorativa rispetto alla legge El Khomri, ndr), una giornata di mobilitazione nazionale degli studenti STAPS (scienze e tecniche delle attività fisiche e sportive) contro il sorteggio al momento delle iscrizioni all' università (con manifestazioni che hanno coinvolto più di 6000 studenti), dei presìdi locali nelle facoltà per esigere l'iscrizione degli studenti, seguiti dagli studenti medi che scioperano o picchettano, anche in sostegno agli insegnanti in agitazione, per ottenere più mezzi, o per paura, soprattutto, della futura riforma della scuola (che toccherà, ad esempio, il diploma di maturità). Parallelamente, ci sono stati parecchi presìdi contro la repressione in occasione dei processi, che sono numerosi, sia a carico di manifestanti a seguito della lotta contro la riforma del lavoro nel 2016, sia a carico dei lavoratori in sciopero.
In generale, fra i giovani, a parte quelle legate al tema della repressione, sono quattro le principali rivendicazioni: contro la selezione all'entrata del master e al primo anno, contro l'attacco al Codice del lavoro, contro l'abbassamento dell'APL (sussidio statale per l'alloggio) fino a 70 euro, contro l'aumento dei costi per le cure mediche.
Gli studenti portano avanti la protesta da soli in certi università, ma a volte anche con il personale o con la direzione della facoltà, o la stessa presidenza, che convoca assemblee generali a causa della situazione disastrosa dei budget.
È la stessa cosa per tutte le categorie di lavoratori: tutti lottano contro le ordinanze, ma anche per rivendicazioni settoriali. Una serie di settori manifestano sia nelle date interprofessionali contro le ordinanze, sia nelle proprie date di agitazione, localmente e/o nazionalmente. Gli scioperi locali si sono moltiplicati, coinvolgendo tanti settori. Le direzioni sindacali non fanno assolutamente niente per rompere l'isolamento e unire tutti i settori in lotta.


A seguito della mobilitazione dell'anno scorso, c'è stata una repressione brutale dei militanti, sindacali e politici, oltre che degli studenti, che ha raggiunto cifre enormi, a partire dal caso degli otto lavoratori di Goodyear. Potresti spiegarci meglio la situazione, e quindi come si pensa di poter reagire contro la repressione?

Nello specifico gli otto lavoratori di Goodyear erano stati perseguiti a causa di azioni compiute prima della mobilitazione, quando lottavano per cercare di salvare il proprio impiego, nel 2014. Ma hanno continuato a combattere anche dopo, contro la repressione e nel movimento operaio nel suo complesso.
Effettivamente, durante il movimento contro la Loi Travail, abbiamo visto un inasprimento delle pratiche di repressione poliziesca e giudiziaria. Poliziesca perché anche in una manifestazione tranquilla e consuetudinaria come quella del primo maggio, i cortei sono stati spezzati in molti punti da cordoni della polizia e colpiti da gas lacrimogeni. Da quel momento, lo scopo del potere non era più solamente impaurire ma fare male: lacrimogeni, cariche, lanci di granate di ''désencerclement'' (bombe a mano che racchiudono palle di gomma e gas lacrimogeni o al peperoncino, ndt) e fucili flashball. Delle pratiche che si conoscevano già nei quartiere popolari, ma non in manifestazioni in centro città. Giudiziaria perché in un secondo momento, constatando l'inefficacia di questa modalità (oltre che il lato controproducente, poiché basato sulla sola collera), i fermi e le azioni giudiziarie si sono moltiplicate. L'attacco contro una macchina della polizia da parte di manifestanti è stato strumentalizzato per stigmatizzare e criminalizzare il movimento. Abbiamo visto per la prima volta come dei manifestanti si siano ritrovati in prigione sulla semplice base di un sospetto o di un'accusa di agenti della DRPP (Direction des Renseignements de la Préfecture de Police, Digos).
Lo Stato approfitta del fatto che le organizzazioni del movimento operaio sono deboli, tanto a livello numerico quanto nelle pratiche. I settori più avanzati nell'autorganizzazione e i più combattivi hanno quindi rimesso in atto dei riflessi di prevenzione e solidarietà contro la repressione. In questo sono stati supportati e affiancati da aree sindacali esse stesse vittime di rappresaglia sui loro posti di lavoro. È il caso dei postini di Sud Poste 92, ma anche degli operai ex Goodyear. Nel contesto del movimento del 2016 si sono creati dei legami tra diverse correnti politiche, organizzazioni sindacali e associative: da sezioni della CGT a correnti autonome, passando da Droit Devant! e il Pink Bloc. Si è presa la testa dei cortei per assicurarsi che questi avanzassero e non fossero subordinati alle decisioni della prefettura. Ci si è opposti alle perquisizioni organizzando dei preconcentramenti per andare in manifestazione collettivamente. Perché una delle pratiche per fare paura ai manifestanti è stata quella di mettere in atto ciò che noi abbiamo definito «gabbie»: i percorsi di manifestazione erano delimitati a tutti gli angoli delle strade circostanti da file di forze dell'ordine (polizia o gendarmeria) e noi dovevamo passare parecchi sbarramenti di questo tipo, con delle perquisizioni sistematiche, per poter arrivare al concentramento di qualsiasi manifestazione.
Questo per ciò che riguarda la prevenzione. Successivamente queste reti servono a pubblicizzare e mobilitare al momento di arresti e processi, a organizzare casse di solidarietà per pagare gli avvocati...


In più, stiamo parlando di una violenza di Stato che colpisce i militanti così come la gente dei quartieri e che, oggi, porta al centro delle cronache, ad esempio, casi come quello del processo di Quai de Valmy, ad esempio (processo che si è appena aperto contro nove persone accusate di aver incendiato una macchina della polizia in quai de Valmy, a Parigi, nel maggio 2016, ndr). Ci potresti aggiornare su questo episodio? Come si può sfruttare questo dato in termini di coscienza di classe e convergenza delle lotte?

Il caso della macchina bruciata, detto del Quai de Valmy è emblematico in questo senso. Io, come studentessa di Nanterre ed ex insegnante di uno degli imputati, ho potuto vedere l'evoluzione della presa di coscienza della gente mobilitatasi attorno a questo caso. Persone per niente o scarsamente politicizzate fino a quel momento, sono rimaste scioccate nel vedere il trattamento giudiziario (e mediatico) degli indagati in questo affare. Il giorno stesso dei fatti, le immagini della volante che ha preso fuoco vennero trasmesse in loop dappertutto. Seguite da dichiarazioni del governo e di politici in vista che esortarono a trovare i colpevoli immediatamente e ad applicare «sanzioni implacabili, contro chi pensa di farla ad un poliziotto». Quattro persone furono arrestate nelle loro case la sera stessa e la mattina successiva, sulla base della semplice informazione che si trovassero alla manifestazione. Si tentò allora di attribuirgli diverse cose, arrivando anche a cambiare la versione sui fatti loro individualmente imputati. In seguito saranno arrestate altre cinque persone via via nelle manifestazioni. Prima del processo, la maggior parte degli imputati venne messa in carcere, con capi d’accusa deliranti, come «tentativo di omicidio volontario su una persona depositaria di autorità pubblica». Fuori dal carcere, a carico degli imputati furono predisposte misure di allontamento. Se le accuse più gravi decadono perché insussistenti, l'argomentazione dei rappresentanti di parte civile (i due poliziotti e Alliance, sindacato di polizia) e dello Stato tenta di assimilare i manifestanti a dei terroristi e di diffondere l' idea che volessero uccidere. La procura chiede un anno con la condizionale e divieto di manifestare per tre anni solo per gli studenti accusati di essere presenti quel giorno. Ad Antonin, fermato nelle stesse condizioni dei tre, e al quale l'accusa aveva più volte tentato di attribuire successivamente diversi ruoli durante le udienze, si danno cinque anni con uno di condizionale sulla semplice base di una testimonianza anonima di cui era stata provata l’infondatezza (da parte di un agente della Digos) e l’accusa di avere una «personalità pericolosa»! Le pene richieste arrivano fino ad otto anni di carcere.
C'è anche un inasprimento del clima nei quartieri popolari. Qui, la gente in generale e i giovani in particolare sono sempre stati oggetto sia di atteggiamenti di disprezzo che di post-colonialismo, razzismo da parte dello Stato. Ma nel quasi silenzio dei media.
Oggi, con la crisi economica, lo Stato ha bisogno di stigmatizzare ancora di più questi quartieri per addossare loro la responsabilità delle inefficienze. Lo Stato ha anche bisogno di reprimerli più violentemente, perché in loro c'è sempre più rabbia contro questo sistema che li distrugge. Si moltiplicano le rivolte, la protesta diventa automatica quando qualcuno viene ammazzato. Lo stupro di Théo nel gennaio 2017 ha permesso anche di prendere parola liberamente sulle umiliazioni e le violenze sessuali. Infine, la polizia, strutturata da una certa ideologia e in parte composta da militanti di estrema destra, riceve sempre più segnali e permessi legali per reprimere e sfogarsi. Mi riferisco ai discorsi di dirigenti politici, alla legge del febbraio 2017 che permette agli agenti di sparare su persone in fuga o per proteggere un edificio, allo stato di emergenza e al suo inserimento in costituzione.
Con la repressione feroce del movimento del 2016, molti hanno preso coscienza di quello che vive la gente dei quartieri popolari da molto più tempo dei militanti politici, e di quello che è lo Stato in quanto rappresentante degli interessi della borghesia: farsi umiliare dalla polizia che ci perquisisce, farsi colpire da lacrimogeni e caricare, vedere l'aumento delle notifiche di divieto di manifestare e le condanne di manifestanti costretti ad allontanarsi dalla regione o il carcere ben prima del processo...
Ci ricolleghiamo esplicitamente a questi episodi nel nostro discorso e nelle nostre pratiche. Questa unità si è materializzata nella costituzione di un raggruppamento chiamato Front Social.


Contro gli attacchi del padronato in Europa, in Francia come in Italia, si sente l'esigenza di costruire una risposta unitaria di classe, per una strategia vincente soprattutto ai fini dell'unità fra i settori di lavoro, e tra i lavoratori e gli studenti. È per questo, ad esempio, che in Italia parte del mondo del sindacalismo conflittuale ha avanzato la proposta di un percorso unitario ai lavoratori del pubblico (educazione etc.) e del privato (logistica, trasporti, metallurgia, etc.) che arriverà ad una prima giornata di sciopero nazionale il 27 ottobre contro le politiche antisociali di austerità che massacrano la nostra classe da qualche anno ormai, complici anche le direzioni sindacali confederali. Come si esprime in Francia questo bisogno di unità, nel senso di strategia di lotta, e quali sono le forze motrici di questa presa di iniziativa?

Il Front Social è composto da sindacalisti, collettivi antirazzisti, femministi, forze anticapitaliste. Ha dimostrato la sua utilità contro la repressione, ma anche contro l'immobilismo, il tradimento delle direzioni sindacali. All'origine della sua costituzione c'era una volontà ferma: al posto di accontentarsi di denunciarne l'inazione, iniziare noi stessi a dare una bussola alla nostra classe sociale. Abbiamo da principio confidato nella possibilità di convocare noi stessi date di mobilitazione, in maniera simbolica al momento delle elezioni presidenziali. In quell'occasione abbiamo voluto mandare il messaggio che non avremmo potuto contare su ciò che sarebbe uscito dalle urne per cambiare le cose, ma che sarebbe stata la piazza a doverlo farlo. Migliaia di persone hanno risposto all'appello alla vigilia del primo turno elettorale e poi durante i due turni. In seguito, abbiamo partecipato alla pressione sulle direzioni sindacali, esercitata dalla loro base e dalle sezioni locali, per convocare date di manifestazione e di sciopero, interprofessionali e nazionali. In queste manifestazioni, come nei nostri settori d'intervento, siamo presenti per rilanciare parole d'ordine e spiegare l'esigenza dell'unità delle lotte. Per questo, siamo impegnati in volantinaggi in alcuni punti fissi e in cortei che riuniscono giovani e lavoratori in sciopero, frange militanti combattive, tutti quelli che sono stufi dei cortei di routine e vedono il dinamismo dei manifestanti presenti e la loro determinazione. La prossima tappa è fare partire in sciopero ad oltranza i nostri settori a partire dal 10 ottobre, controcorrente rispetto alla politica abitualedelle direzioni sindacali nazionali, fatta di giornate di mobilitazione isolate e 'discontinue'.

a cura di Marta Positò

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