Interventi

In difesa del Partito Comunista dei Lavoratori

9 Giugno 2017
pcl


Il testo che segue è una risposta alle critiche, e in alcuni casi alle calunnie, che il Partito di Alternativa Comunista (PdAC) e la Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) hanno rivolto al PCL, ai suoi dirigenti e militanti. In particolare nel documento fondativo della FIR “La politica rivoluzionaria che manca” e la lettera aperta del PdAC alla FIR.


IL PdAC E LA FIR

I due gruppi hanno molto in comune: entrambi nascono da una rottura con il PCL; entrambi hanno attaccato, anche sul personale, i suoi dirigenti; entrambi ne criticano il modello di costruzione del partito; entrambi arrivano all’aperta calunnia per colpa del loro livore.

Però, nonostante queste affinità, non raggiungeranno l’unità. Come mai? Proprio perché sono identici, e un altro aspetto che li accomuna, forse il principale, è la totale indisponibilità ad essere in minoranza, o anche ad essere criticati all’interno del partito. Proprio per questo il gruppo della FIR non si potrà mai unire al PdAC: la FIR non accetterebbe essere una minoranza nel PdAC, come non ha accettato di esserlo nel PCL; il PdAC non tollererebbe mai una minoranza interna, come è già successo in passato con vari compagni e intere sezioni critiche “accompagnate alla porta”.


I CONGRESSI DELLA ROTTURA

Come si diceva pocanzi, sia il PdAC che la FIR nascono in rottura con il Pcl e il suo gruppo dirigente maggioritario. Appunto, maggioritario perché la rottura è avvenuta dopo una battaglia congressuale, nella quale chi credeva d’essere in maggioranza (PdAC e FIR) si è ritrovato in minoranza. Non sapendosi dare una ragione di tale avvenimento, entrambe le cricche hanno inventato fantomatici “brogli”, “cammellaggi”, “ripercussioni antidemocratiche”, etc.

È un po’ difficile credere che ci sia stata una gestione antidemocratica del congresso di Progetto Comunista nel 2005 (nel quale avvenne la rottura col PdAC di Ricci) quando l’allora gruppo dirigente di Progetto era in maggioranza “ricciano”, con ruoli fondamentali sotto il proprio controllo, tra cui il responsabile organizzativo, che era Ricci in persona (responsabile organizzativo che aveva il compito di controllare il tesseramento e i dati congressuali). Nonostante questo, una volta constatato che al congresso la componente di Ricci era in minoranza (30-40%), si è dichiarato il congresso nullo e si è usciti da Progetto Comunista.

Per quanto riguarda la FIR e il 4° congresso del PCL, invece, la contestazione è arrivata due o tre mesi dopo, con varie accuse:

1) L’esistenza di “cammellaggi”, “tessere gonfiate” e “sezioni fantasma”. Accusa particolare da più punti di vista. Innanzitutto la FIR, o meglio, la piattaforma da cui poi nascerà, aveva propri rappresentanti nella commissione congressuale, che gestiva il tesseramento e il congresso. Se c’erano prove di tutto ciò, come mai non contestare subito la validità del congresso? Ma soprattutto, come è possibile che esistano brogli, con militanti e sezioni “inventate”, con un tesseramento in calo (40 militanti in meno) e la stessa percentuale di voto rispetto al precedente congresso (72% dei militanti)? E con una percentuale di voto simile alle sezioni che hanno votato la piattaforma B (79%)?

2) L’ esistenza di “brogli”, con militanti e sezioni non in regola per poter partecipare al congresso. Peccato che se è vero che una sezione, che poi ha votato piattaforma A, non era in regola e gli è stato permesso di votare, la stessa identica cosa è successa con due sezioni della piattaforma B.

Una organizzazione che vuole truccare il congresso con brogli aumenta i numero di iscritti, inventa votazioni bulgare (con il 100% degli iscritti votanti, ovviamente tutti per la maggioranza) e si attacca ai formalismi per non far partecipare sezioni della minoranza. L’esatto opposto di quello che è accaduto.


SUL METODO E I MEZZI DELLA BATTAGLIA POLITICA

Un’altra affinità tra i due gruppi è la denuncia di campagne calunniose nei loro confronti da parte dei dirigenti del Partito Comunista dei Lavoratori. Che rovesciamento della realtà! Quale magnifico esempio di chi vede i propri difetti nei comportamenti degli altri.

«La nostra è sempre stata una polemica politica, cioè basata sulla critica di posizioni politiche e programmatiche», scrive il PdAC nella sua lettera. Bene. Facciamo un piccolo riassunto dei metodi e delle critiche, ovviamente strettamente politiche, del PdAC: Ferrando è stato definito «anziano leader-guru», e Grisolia «ombra naturale» ed «esperto di quarte di copertina di fama internazionale». Doro e Marceca (ex dirigenti del PdAC che ruppero per entrare nel PCL) sono stati tacciati di voler prendere poltrone nelle giunte comunali e nella FIOM (cosa che non è avvenuta, anzi il compagno Doro è stato represso dalla burocrazia della FIOM). E-mail intestate a Ferrando, ed ad altri dirigenti del PCL, sono state usate per screditare il partito verso i suoi militanti, e-mail create da Valerio Torre (allora dirigente del PdAC) e da ignoti residenti nella zona di Cremona (luogo di residenza di Ricci), come ha certificato la polizia postale.
Ovviamente questi sono metodi “politici” (ma soprattutto sono solo quelli più eclatanti).

Alla stessa maniera la FIR denuncia fantomatiche “campagne di calunnie e di attacchi in tutto il partito”, “sante inquisizioni contro due militanti della FIR” e “metodi amministrativi”.

La campagna calunniosa consisterebbe, per la FIR, nel fatto che Ferrando abbia contattato militanti del partito, dicendo loro che nella piattaforma B c'era qualcuno con intenzioni di rottura. Che calunnia da parte del “portavoce del partito”!
«La storia del partito comunista è pregna di fusioni, frazioni e scioglimenti. Non è questo che ci deve spaventare. I comunisti più si scindono, e meglio è [...] la piattaforma B non è fine a se stessa ma è l’inizio di un percorso». Queste parole, di Marcoflavio Cappuccio (dirigente della piattaforma B e della FIR), pronunciate durante il congresso provinciale di Napoli, non danno la minima idea che qualcuno fosse intenzionato ad uscire dal PCL! Tantomeno questo è stato verificato dalla storia successiva, infatti è del tutto casuale che sempre lo stesso Cappuccio sia uscito ad gennaio dal PCL scrivendo invettive e calunnie nel suo comunicato di rottura, e che la stessa FIR abbia rotto col partito quando la maggioranza ha chiesto di retrocedere dalle sue intenzioni di creare una frazione pubblica, rimanendo una frazione sì, ma all’interno del PCL.
«Paventare il pericolo della scissione» da parte di Ferrando, come si vede, era del tutto ingiustificato.

Oltre alle campagne di calunnie, si accusa il partito di aver fatto “inquisizioni” contro due dirigenti della FIR, i compagni Turci e Cappuccio. In cosa consisterebbe l’inquisizione? Nell’averli richiamati verbalmente per calunnie e atti sessisti. Richiamo verbale votato all’unanimità dal primo CC del partito dopo il congresso, compreso i dirigenti della FIR, tra cui lo stesso Turci. Questo perché i due compagni hanno messo in atto una campagna calunniosa verso due compagne dirigenti della maggioranza, accusate di aver aggredito una simpatizzante del partito, quando in realtà, al contrario, la compagna è stata difesa da un’aggressione, proprio dalle due “accusate” (avvenimenti certificati e confermati dalla stessa compagna aggredita). Il tutto condito di riferimenti maschilisti come «A girls», «fidanzate di...», ma soprattutto dal tentativo di boicottare l’intervento del partito nel movimento Non una di meno («...la tendenza ce la dobbiamo fare da soli perché queste di rompere non ne hanno mezza» [sic]).
Altro che inquisizioni! In un qualsiasi altro partito i due compagni sarebbero stati espulsi.

Non solo il PCL non ha sanzionato i dirigenti della FIR, come avrebbe dovuto fare, ma ha anche (giustamente) dato il pieno diritto alla frazione di fare battaglia interna: la possibilità, per la piattaforma, di presentare i suoi documenti a tutti i congressi del partito; la presenza nella commissione congressuale; la presenza negli organi dirigenti del partito in base alla percentuale di voto del congresso; la possibilità di fare riunioni di corrente a spese dell’intero partito (costo dell’albergo, della sala e dei viaggi); la possibilità in seguito di creare una frazione interna al partito.
Questi sarebbero i “metodi amministrativi” verso l’opposizione.


SUL "LASSISMO" E IL "FEDERALISMO" DEL PCL

Ristabilito il metodo col quale si è fatto la battaglia politica nei confronti dei due gruppi, parliamo del merito delle critiche.

La prima critica, legittima anche se non condivisibile, è la strutturazione “lassista” e “federalista” del Partito Comunista dei Lavoratori. Riteniamo legittima la critica, perché a differenza di tante altre non è una calunnia, ma una critica politica, che però non condividiamo per il semplice motivo che ci sembra che non tenga conto della realtà della storia del partito.
Il partito “lasso”, “che apre le porte a chiunque”, «federazione di gruppi distinti, ognuno con propri riferimenti da Castro a Mao, dall'anarchismo al marxismo» è lo stesso partito che in questi anni ha espulso: un terzo dei propri militanti (nel 2007) che volevano sciogliere il PCL in un'accozzaglia con gruppi centristi, di tendenza maoista e castrista; l’intera sezione di Mantova, che voleva far partecipare il PCL alla lista civile di Ingroia; singoli compagni che non rispettavano la linea di partito, tra cui l’ indipendenza di classe, come nel caso di un compagno che entrò nella giunta di Cerignola. Questi sono solo i casi più importanti in cui il partito, per difendere i propri principi di costruzione, è arrivato a misure tutt’altro che lasse, come l’espulsione.

Insieme alla critica di essere “lassi”, c’è la critica di “federalismo”: ossia la critica di avere “tanti PCL" «con interventi differenti locali, talvolta in contraddizione gli uni con gli altri». Anche qui ci permettiamo di dissentire.
Il Partito Comunista dei Lavoratori si è dato una linea di costruzione nazionale: la propaganda delle nostre parole d’ordine generali tramite la distribuzione di volantini nazionali e la vendita dei giornali davanti ai posti di lavoro, di studio e ai mercati popolari, e attraverso il suo sito di partito; la costruzione di tendenze classiste all’interno delle organizzazioni e/o movimenti di massa, la battaglia nell'opposizione CGIL all'interno del movimento operaio, il Coordinamento Studentesco Rivoluzionario nel movimento studentesco, e una tendenza classista – che si sta sviluppando in questo periodo - nel movimento Non Una Di Meno. E infine la presentazione elettorale per portare un programma rivoluzionario alle elezioni.
Ovviamente questa linea nazionale può essere applicata in base alle particolarità locali, con differenze secondarie tra questa e l’altra sezione, ma l’asse principale esiste e viene fatto rispettare.


SUL PRESUNTO INTERCLASSISMO ED ELETTORALISMO

Una critica che ci lascia basiti è l’accusa di “interclassismo” ed “elettoralismo”. Qualsiasi persona che veda il Partito Comunista dei Lavoratori per quello che è, e non per quello che vorrebbe che fosse, magari con le lenti del livore sugli occhi, sa che la polemica classista verso le altri correnti della sinistra è il pane quotidiano del PCL. È la principale polemica con l’area del movimentismo (disobbedienti e autonomi) che ha sostituito la centralità della classe operaia con la centralità del precariato cognitivo. È è la principale polemica con Rifondazione Comunista, che si imbosca in liste “civili” con esponenti delle questura (Di Pietro, Ingroia) o dell’intellighenzia liberale (Spinelli, Maltese). È la principale polemica con settori dell’estrema sinistra (CARC, Rete dei Comunisti) che appoggiano un movimento populista reazionario come il Movimento 5 Stelle, nonostante questo abbia un programma di attacco alla classe lavoratrice.
E, più in generale, il principale punto di demarcazione tra il PCL e il resto della sinistra è la lotta per un governo dei lavoratori. Ma il nostro classismo non si riduce alla semplice constatazione dell’esistenza della classe lavoratrice, o alla rivendicazione del governo dei lavoratori. Il nostro classismo consiste pure nel porre la centralità operaia in ogni lotta e vertenza, nel dire che ogni movimento parziale, democratico e progressivo, può avanzare ed ottenere risultati solo se va di pari passo col movimento operaio, e che ogni rivendicazione di questi movimenti (per la casa, ambientali, delle donne, etc.) può essere risolta solo da un governo dei lavoratori, che costruisca la società sulla base dei bisogni degli sfruttati e non sui profitti della borghesia.

Proprio per questa impostazione classista e rivoluzionaria, nelle presentazioni elettorali del PCL non c’è un grammo di elettoralismo. Qualsiasi scelta elettorale del partito: presentarsi o non presentarsi, presentazione autonoma o in comune con altre forze, dare indicazione di voto critico o per l’astensione; tutte le decisioni vengono prese in base alla loro efficacia nel propagandare il programma del partito e nella costruzione del partito. Ovviamente nella storia del PCL, ormai decennale, ci sarà stato pure qualche errore, qualche lettura sbagliata della situazione, ma mai abbiamo preso una decisione mossi dall’opportunismo o in cerca di poltrone.

Anche quando abbiamo fatto scelte tattiche e compromessi: indicazione di voto critico a forze progressiste contro forze reazionarie, o a forze riformiste contro le borghesi, liberali e conservatrici, o blocchi (liste comuni) con forze centriste e riformiste, l’abbiamo sempre fatto mantenendo la nostra propaganda indipendente e senza mai cessare la nostra lotta ideologica e politica contro di esse. A chi si scandalizza per questi “tatticismi” o “compromessi”, riportiamo questo breve paragrafo scritto da Lenin ne “L’estremismo”:

«Dal 1905 in poi [i bolscevichi] hanno propugnato sistematicamente l’alleanza della classe operaia con i contadini, contro la borghesia liberale e lo zarismo, senza mai rinunciare tuttavia ad appoggiare la borghesia contro lo zarismo (per esempio nelle elezioni di secondo grado e nei ballottaggi) e senza cessare la lotta ideologica più intransigente contro il partito contadino rivoluzionario borghese, i socialisti rivoluzionari, smascherandoli come democratici piccolo-borghesi che si annoveravano falsamente tra i socialisti. Nel 1907, i bolscevichi conclusero, per breve tempo, un blocco politico formale con i socialisti rivoluzionari per le elezioni alla Duma… senza mai cessare la lotta ideologica e politica contro di essi.»

Il punto non è se hai commesso questo o quell’altro compromesso, sostenendo al ballottaggio Pisapia, dando indicazione di voto critico a una lista SEL-PRC o facendo un blocco elettorale in Umbria con Casa Rossa (gruppo centrista). Il punto è se lo hai fatto da un punto di vista indipendente: denunciando il corso politico della forza che sostieni, mettendo al centro la necessità di costruire un partito rivoluzionario contro di essa. Avendo il massimo della flessibilità tattica su come avere un dialogo con le masse (voto critico, presentazione comune...), mantenendo però allo stesso tempo il massimo della rigidità sui principi, ossia mantenendo la propria indipendenza sul programma e la propaganda, in aperta polemica con le forze che stai “sostenendo”.


PROPAGANDA E AGITAZIONE NELLA STORIA DEL PCL

Alle tante critiche comuni si aggiungono delle critiche opposte, ma complementari: il PdAC ci critica per non avere una propaganda strutturata. La FIR ci accusa di vivere solo di propaganda e di non essere un partito basato sull’agitazione.

Il nostro giornale, Unità di classe, ha un’uscita regolare (anche se bassa), tra i sei e gli otto numeri l’anno. Il giornale del PdAC esce stabilmente sei volte l’anno (lo dimostra il fatto che dopo dieci anni sono usciti 64 numeri). Domanda: quindi anche quello del PdAC è una caricatura di giornale?
Unità di classe è un giornale con una propria linea editoriale, con articoli che spaziano dall’attualità italiana agli eventi internazionali, dalle vicende sindacali più significative agli articoli sul mondo della scuola, non proprio “scritti solo per riempire lo spazio disponibile” (una delle tante critiche “politiche” del PdAC), una vendita di circa 1.500 copie - numero modesto ma non insignificante, tenuto conto del numero dei militanti (circa 400, quindi tre o quattro copie vendute per ogni militante); facendo un paragone storico, lo stesso Lenin dice che nel 1912 la Pravda vendeva 40.000 copie, ma con un partito di circa 10.000 militanti.
E la nostra propaganda non si riduce a questo: c’è la rivista Marxismo Rivoluzionario, il sito pclavoratori.it (media di 20.000 visite al mese) e il volantino nazionale.

Ma il PCL non si limita alla sola propaganda, anche se questo è il suo strumento principale. Quando è stato possibile, abbiamo fatto agitazione in singole vertenze o in interi settori in lotta. Al di là delle affermazioni della FIR, che ci accusa di non fare agitazione, o meglio, come la definiscono loro “agit-prop", dove per agitazione, o agit-prop, si può intendere tutto: da un’assemblea con avanguardie sindacali, a occupare una fabbrica o una casa, a scrivere un post su facebook. Quindi vuol dire tutto (o quasi), e come tutte le cose che vogliono dir tutto, in realtà non vogliono dire nulla.

L’agitazione e la propaganda sono una cosa seria: la propaganda è inculcare tante idee a poche persone, l’ agitazione è inculcare poche idee a tante persone (Plechanov). Per dirla con Lenin:

«Per propaganda intenderemo la spiegazione rivoluzionaria di tutto il regime attuale o di sue manifestazioni parziali, tanto se la forma di questa spiegazione è accessibile solo a qualche persona, quanto se essa è accessibile alla grande massa. Per agitazione, nel senso stretto della parola intenderemmo l'appello alle masse per determinate azioni concrete che renderebbero più facile l'intervento rivoluzionario diretto del proletariato nella vita sociale.»

Il Partito Comunista dei Lavoratori ha fatto “appello alle masse per determinate azioni concrete”, ossia ha fatto agitazione più volte nella sua storia: nella lotta di Alitalia nel 2008, quando fummo l’unica forza della sinistra ad agitare l’occupazione delle piste (che fu votata da 2.000 operai); a Mirafiori nel 2012, quando facemmo campagna attiva per il No a Marchionne e per l’occupazione della fabbrica in caso di una sua vittoria; all’Irisbus nel 2012, quando proponemmo l’occupazione della fabbrica (occupazione che poi avvenne); nella lotta dei tranvieri genovesi del 2013, dove proponemmo la continuazione dello sciopero ad oltranza e la costituzione di una cassa di resistenza (tra gli applausi di migliaia di lavoratori); nella vicenda Ilva nel 2016, dove a fronte dell’occupazione dello stabilimento genovese fummo l’unica forza politica che propose, attraverso i propri militanti di fabbrica, l’occupazione degli stabilimenti di Novi Ligure e Taranto; durante l’ultimo rinnovo del contratto dei metalmeccanici, nel 2016, dove attraverso l’opposizione CGIL – Il Sindacato è un’altra cosa - e anche attraverso un nostro volantino di partito facemmo aperta campagna per il No al contratto. Tutti esempi in cui il partito ha usato le proprie modeste forze per fare appello alle masse per azioni di lotta concrete.


IL NAZIONAL-TROTSKISMO

L’ultima critica è il nazional-trotskismo del PCL, ossia il non avere un lavoro per la costruzione della IV Internazionale.
Cosa falsa. Il PCL, i suoi dirigenti e militanti, tra cui il sottoscritto, portano avanti un intenso lavoro per la rifondazione della Quarta Internazionale: l’ultima estate due compagni del PCL hanno partecipato alla scuola di formazione di IZAR (gruppo spagnolo legato alla corrente di sinistra dell'ex Segretariato Unificato, e da quest'ultimo espulso) non per motivazioni personali ma portando avanti un lavoro politico, di discussione con i militanti e i dirigenti di IZAR, tentando di convincerli della prospettiva di raggruppamento dei trotskisti conseguenti, a partire dalla rottura col SU; nello stesso periodo altri due compagni hanno partecipato al campeggio delle sezioni europee della FT-CI, propagandando la necessità di unificazione dei partiti del FIT argentino, contro l’autocentratura del PTS e della FT; una delegazione del partito ha partecipato alla Quarta conferenza euromediterranea in Grecia (così come alle tre conferenze passate) discutendo delle prospettive del CRQI. Questi sono solo gli esempi dell’ultimo anno di lavoro del PCL per la rifondazione della IV Internazionale. Tralasciando l’impegno pluridecennale per ricostruire un'internazionale dei lavoratori: prima con l’Opposizione Trotskista Internazionale, poi con il Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale, al di là della situazione di impasse in cui si trova in questo momento.

Gli “internazionalisti” (PdAC e FIR) ci diranno che non facciamo parte di nessuna organizzazione internazionale funzionante. A differenza loro, che sono la sezione italiana della LIT (PdAC), o tentano di diventare la sezione italiana della FT (FIR). Ci permettiamo noi di fare una critica a questo “internazionalismo”. Come Partito Comunista dei Lavoratori non consideriamo utile diventare la piccola succursale di un grande partito guida. Il fedele gruppo di poche decine di militanti che si costruisce copiando fedelmente le posizioni, o del PSTU brasiliano (PdAC) o del PTS argentino (FIR). Cosa che ha portato il PdAC a definire il movimento reazionario di Maidan in Ucraina, egemonizzato da forze fasciste, come il più grande movimento rivoluzionario d'Europa solo per seguire le direttive della LIT (e il suo tradizionale impressionismo che la portò a definire i processi di restaurazione del capitalismo nell'Est dell’89 come rivoluzioni democratiche). Cosa che ha portato un piccolo gruppo di 25 militanti a convertirsi in giornalisti, dedicandosi quasi solamente alla costruzione di un giornale on line, solo per seguire il metodo di costruzione del PTS argentino e il suo sito Izquierda Diario.

Possiamo capire che piccoli gruppi marginali, senza un intervento reale nel loro paese, debbano ricercare con affanno una realtà internazionale, al costo di convertirsi nei fedeli esecutori delle case madri.


IL BOLSCEVISMO REALE E QUELLO MITOLOGICO DELLE SETTE

Siccome la polemica nei nostri confronti si richiama spesso al bolscevismo, a dimostrazione di un presunto metodo di costruzione menscevico del partito, rispondiamo parlando del bolscevismo reale, e non quello mitologico delle sette.

Già abbiamo parlato del bolscevismo reale per quanto riguarda i “tatticismi” e i “compromessi” elettorali, contro le fandonie di un presunto purismo del bolscevismo. Ma il presunto purismo non si ferma alla tattica elettorale. Per quanto riguarda il “lassismo” e il “federalismo”: il partito bolscevico non espulse i suoi due dirigenti (Zinoviev e Kamenev) che denunciarono l’intenzione del Comitato Centrale di dare il via all’insurrezione, e di fronte alla proposta di espulsione di Lenin, Sverdlov (massimo dirigente dopo Lenin) rispose negativamente dicendo che questi non erano i metodi del partito bolscevico. Non solo. Lo stesso partito aveva nell’estate del 1917 le sezioni delle campagne unificate a quelle del partito menscevico, dopo cinque anni dalla rottura formale (1912). Evidenti prove della natura “lassa” e “federalista” del partito di Lenin, avrebbero detto i compagni della FIR e del PdAC.
La lunga critica dell'Iskra contro l’economicismo, che «vedendo gli effetti dell’agitazione, si entusiasmò al punto di dimenticare che questo è uno ma non l’unico metodo di lavoro fra le masse» (Krupskaja), avrebbe portato la FIR a definirlo un "partito d’opinione”. O il fatto che la Pravda vendesse 40.000 copie in un paese di 120 milioni di abitanti sarebbe stata definita dalla FIR una dimostrazione che il gruppo dirigente bolscevico avesse «una concezione del giornale vecchia, ma soprattutto inadeguata e senza chiarezza di metodo» o dal Pdac una «caricatura di giornale».

Questo dimostra che il Partito Bolscevico non era un partito perfetto, dove tutti i dirigenti e militanti rispettavano il centralismo democratico, dove ogni sezione era uniforme alla linea nazionale, dove esisteva un giornale perfetto, letto dalla massa degli operai e intorno al quale si costruiva il partito (organizzatore collettivo), ma era un partito reale, con i suoi difetti, limiti, errori, e che nonostante questi errori ci fossero, non hanno mai messo in discussione la sua natura rivoluzionaria. Perché la parola rivoluzionario non è un sinonimo di perfezione.


SULL'UNITÀ

Queste discussioni sul metodo di costruzione del partito, sulla sua tattica e strategia, ci portano a una questione di fondo: è possibile l’unità tra il PCL e questi due gruppi? A livello formale sì, perché abbiamo lo stesso programma, rivendichiamo la stessa tradizione (il trotskismo) e abbiamo lo stesso obbiettivo: la rivoluzione socialista. Però non ci possiamo fermare alla formalità, dobbiamo entrare nel concreto dello scenario. La concretezza ci porta purtroppo a dire di no. Perché l’unità è una categoria complessa: da un lato è un fattore poderoso perché aumenta le forze che lavorano in una determinata direzione, come riflettono i detti popolari “uniti vinceremo”, “l’unione fa la forza”. Ma dall’altro lato c’è un limite: quando gli elementi contraddittori di questa unità iniziano a neutralizzarsi l’un l’altro (per esempio una lotta faziosa portata avanti con metodi da cricca), questa unità – tra due partiti o tra due frazioni – ti fa cadere nell’immobilismo, che per una forza rivoluzionaria è la catastrofe.

Abbiamo avuto dimostrazione di questo sia nel periodo precedente alla rottura tra il PCL e il PdAC, sia nel periodo precedente alla espulsione della FIR. La corrente di Progetto Comunista, che per quindici anni aveva preparato una frazione rivoluzionaria all’interno del PRC contro la politica di collaborazione di classe (la partecipazione alle coalizioni di centrosinistra e ai suoi governi), preparando sistematicamente la rottura in caso di una sua entrata nel governo; arrivò indebolita e impreparata alla rottura per la lotta di frazione al suo interno e soprattutto per i metodi di questa lotta (furto della cassa, dell’indirizzario dei simpatizzanti, sostegno della corrente di Ricci alla rimozione della candidatura di Ferrando come senatore), un fattore che ha ostacolato enormemente la costruzione di un partito marxista rivoluzionario alternativo al PRC.

Lo stesso vale per la FIR: il PCL negli ultimi sei mesi ha visto un relativo fallimento delle proprie iniziative (meeting per il decennale e quello sull'UE) per colpa del boicottaggio interno della FIR. Non solo. Il quarto congresso del partito non ha potuto discutere seriamente su come portare avanti la costruzione del partito per colpa della contrapposizione faziosa della frazione. Quando a questi elementi, già di per sé negativi e distruttivi del partito, si voleva aggiungere la costruzione di una frazione pubblica, con un proprio intervento indipendente nel movimento femminista, nella costruzione della Quarta Internazionale e con un proprio giornale indipendente, abbiamo deciso – e lo rivendichiamo con orgoglio – di dare un ultimatum: o avrebbero ritirato l’impostazione di frazione pubblica, rimanendo una frazione interna, o sarebbero stati espulsi. Hanno deciso di rifiutare, e di separare le strade.


CONCLUSIONI

Il Partito Comunista dei Lavoratori è un partito rivoluzionario nonostante i suoi limiti, errori e debolezze: perché difende sistematicamente l’indipendenza della classe lavoratrice dalle forze e dai governi della borghesia, lotta per un governo dei lavoratori, collegando ogni lotta immediata e parziale a questa prospettiva generale; in Italia e nel mondo. In coerenza con questo programma, lavoriamo a costruire un partito, il PCL e la Quarta internazionale. Con chi condivide questo programma e rispetta la costruzione di questo partito – e quindi non lo immobilizza e boicotta con atteggiamenti da cricca – non abbiamo alcun problema ad unificarci. Proprio per questo, fino a quando il PdAC e la FIR non faranno ammenda dei loro atteggiamenti non possiamo proporre l’unificazione. Mai più il Partito Comunista dei Lavoratori cadrà nell’immobilismo.

Michele Amura

CONDIVIDI

FONTE