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Per una soluzione anticapitalista in Venezuela

12 Maggio 2017
vuvuzela


La crisi del nazionalismo latinoamericano ha trovato in Venezuela il suo punto di massima precipitazione. La crisi ha una precisa base materiale, connessa alla crisi capitalistica internazionale iniziata nel 2008.

Il Venezuela è il paese che ha i maggiori giacimenti petroliferi del mondo. Il modello capitalistico venezuelano si reggeva e si regge sull'esportazione del petrolio. Il regime “bolivariano” ha fatto dell'esportazione petrolifera la fonte di finanziamento di misure sociali per ampi settori di massa, attraverso il sistema delle cosiddette missiones. Misure sociali sicuramente più limitate di quelle elargite a suo tempo, in un altro contesto storico, dal nazionalismo peronista in Argentina, e tuttavia capaci di assicurare al chavismo una vasta base di appoggio negli strati popolari, urbani e rurali. L'appoggio popolare, a sua volta, diveniva la principale leva negoziale del regime nazionalista nel proprio rapporto con la borghesia venezuelana (innanzitutto la Federcameras), con gli stati imperialisti (a partire dagli USA), con le loro multinazionali (in particolare nel campo estrattivo). L'organizzazione attiva della base di massa del chavismo era in funzione di questa politica. L'osmosi del regime con l'apparato militare, attraverso l'offerta di ruoli centrali agli ufficiali in campo economico (aziende statali) e istituzionale (governatorati), metteva in sicurezza questo equilibrio sociale.

All'interno di questo equilibrio non sono certo mancate contraddizioni profonde tra il regime nazionalista e l'imperialismo, perché il chavismo è, a suo modo, politicamente autonomo dall'imperialismo, a differenza dei vecchi partiti borghesi venezuelani. Tuttavia il regime nazionalista, lungi dal rompere con l'imperialismo, ha sempre salvaguardato un rapporto di collaborazione: ha pagato regolarmente il debito pubblico al capitale finanziario internazionale; ha tutelato le grandi imprese americane ed europee, anche nel caso di parziali interventi di nazionalizzazione, attraverso il sistema di lauti indennizzi (a volte superiori alle stesse quotazioni di borsa); ha risparmiato le proprietà della ricca borghesia venezuelana spesso intrecciata con gli interessi imperialisti. Ciò che ha inoltre alimentato lo sviluppo abnorme di una nuova borghesia affaristica e corruttrice (la cosiddetta “boliborghesia”), cresciuta nello spazio di intermediazione del regime col capitale finanziario, e per questo indissolubilmente legata al chavismo.
È quello che larga parte della sinistra ha chiamato... il “socialismo del XXI secolo”.


LA CRISI PROFONDA DEL CHAVISMO

Questo equilibrio sociale ha retto sino a che ha retto la rendita petrolifera. La rendita assicurata da un barile di petrolio a (oltre) cento dollari consentiva un ampio spazio di manovra al regime nazionalista e alla sua autorappresentazione propagandistica di baluardo del popolo. Tutto si teneva: i sussidi e i servizi a favore delle periferie assieme alla corruzione dilagante e al pagamento del debito. Ma proprio per questa ragione il crollo del prezzo del petrolio sino a 40 dollari (per poi risalire di poco) ha minato le fondamenta dell'intero edificio, confermando una dipendenza strutturale del Venezuela dal greggio che il chavismo non ha mai neppure scalfito.

La recessione che ha colpito il Venezuela ha pochi paragoni al mondo: nei soli due ultimi anni il PIL è calato del 18%, si prevede un ulteriore calo del 4% quest'anno. L'inflazione è salita al 600%. La penuria di luce elettrica, acqua corrente, medicinali, beni alimentari segna la vita quotidiana delle masse popolari. I prezzi calmierati sanciti dal governo sono aggirati da un mercato nero sempre più vasto e incontrollato. Tutto ciò mentre la borghesia venezuelana osserva la crisi dalle lussuose terrazze di Caracas e porta all'estero i propri capitali attraverso il canale delle banche.

La crisi di consenso del chavismo, ulteriormente aggravata dalla morte di Ugo Chavez, ha trovato una espressione inequivocabile nelle elezioni politiche dell'Assemblea Nazionale del 6 dicembre 2015. Per la prima volta il chavismo perdeva la maggioranza in Parlamento a vantaggio della destra della MUD. Le dimensioni della sconfitta (MUD al 56%, PSUV al 40%) davano la misura del tracollo. Si configurava così quella sorta di dualismo di poteri tra Assemblea Nazionale da un lato, governo e regime chavista dall'altro, che segna l'attuale precipitazione della crisi politica.


FUORI E CONTRO LA MOBILITAZIONE REAZIONARIA E FILOIMPERIALISTA

La mobilitazione di massa animata dalla MUD ha il segno indiscutibile della reazione.

Il personale politico del MUD, a partire da Voluntad Popular, è in larga parte lo stesso che aveva puntato al rovesciamento golpista di Chavez nel 2002. Esso cerca di sfruttare l'onda lunga della svolta a destra in Argentina e Brasile ai fini della propria rivincita. Ha il sostegno politico e materiale dell'imperialismo USA, che ambisce riprendere il controllo politico diretto del Venezuela attraverso il proprio personale fiduciario, tanto più in un contesto in cui la Russia e soprattutto la Cina hanno allargato la propria presenza nel paese.

Il programma della MUD punta a smantellare l'intero sistema delle missiones chaviste per imporre una drastica svolta liberista: privatizzazione generale, liberalizzazione dei prezzi, vendita delle case popolari, licenziamenti di massa nella pubblica amministrazione, cancellazione dei sussidi. La bandiera propagandistica delle libere elezioni, della lotta alla corruzione, di una libera costituente, avvolge questo preciso contenuto sociale, antioperaio e antipopolare.

La destra venezuelana ha sicuramente conquistato una base attiva nelle libere professioni, nella piccola borghesia, in settori popolari (in particolare studenteschi), facendone uno strumento di mobilitazione di massa. Le contraddizioni politiche tradizionali all'interno della MUD (tra un settore borghese liberale disposto a negoziare col chavismo e il settore più apertamente golpista) sembrano temporaneamente congelate dalla polarizzazione dello scontro col governo e dalla crisi dello stesso spazio negoziale. La parola d'ordine unificante della mobilitazione della destra è oggi “dimissioni di Maduro”. Il suo metodo di lotta l'occupazione delle piazze.

Da questo punto di vista, appaiono totalmente sbagliate le posizioni di quei settori della sinistra trotskista che in nome dell'opposizione al chavismo si schierano, formalmente o di fatto, al fianco della mobilitazione in atto. È il caso della LIT e della sua sezione venezuelana (UST), che ha appoggiato il referendum revocatorio promosso dalla destra con la parola d'ordine “via Maduro”. È il caso della UIT e della sua organizzazione in Venezuela (PSL) che il 20 aprile ha pubblicamente rivendicato il pieno sostegno alla mobilitazione della MUD, salvo richiedere "un'altra sua direzione politica”. La stessa rivendicazione da parte della FT-QI di “una costituente libera e sovrana”, pur combinandosi con una denuncia della natura reazionaria della MUD, rischia oggi di avallare, al di là di ogni intenzione, la campagna “democratica” della destra.

I marxisti rivoluzionari non possono collocarsi all'interno o al fianco di una mobilitazione reazionaria, sia pure con proprie parole d'ordine. Valeva per piazza Maidan in Ucraina, vale per l'attuale mobilitazione della destra venezuelana. La denuncia della sua natura, la sconfitta dei suoi obiettivi, la disgregazione del suo campo, sono e debbono essere un aspetto centrale della politica rivoluzionaria.


NESSUN SOSTEGNO POLITICO A MADURO

Questo significa allora sostegno politico a Maduro? Per nulla.

Il governo chavista è il primo responsabile della crisi sociale e della stessa avanzata della destra. Il suo modello economico e sociale è fallito. La sua pretesa di continuare a pagare il debito pubblico al capitale finanziario (70 miliardi negli ultimi tre anni), riducendo parallelamente le importazioni alimentari, concorre alla miseria popolare. La sua volontà di preservare la proprietà privata di quella stessa industria alimentare (Polar) che promuove il sabotaggio economico imboscando prodotti per il mercato nero è complice della crisi. La sua difesa delle banche private copre di fatto l'evasione fiscale e l'esportazione di capitali all'estero, colpendo al cuore la bilancia dei pagamenti.

Il regime ha tentato di uscire dalla crisi ricercando un dialogo di pacificazione con l'opposizione della MUD, attraverso i canali della diplomazia internazionale (il Vaticano e Zapatero). Ma il risultato è stato quello di agevolare la sua campagna reazionaria. Maduro è giunto persino a ricercare buoni rapporti con la nuova amministrazione Trump, con la donazione di 500.000 dollari per le celebrazioni della investitura del nuovo presidente USA attraverso la PDSVA. Ma il risultato è il pubblico sostegno di Trump alla mobilitazione della MUD nel nome improbabile della libertà.

Di fronte al vicolo cieco del regime, di fronte alle crepe interne al chavismo che minacciano la sua tenuta, Maduro ha cercato nell'ultima fase una soluzione bonapartista alla crisi, in più direzioni. Prima col tentativo di attribuire i poteri parlamentari alla Corte Costituzionale controllata dal chavismo, tentativo bloccato da settori chavisti della magistratura (Luisa Ortega) e alla fine revocato. Poi con il lancio pubblico e solenne, nel giorno del primo maggio, di una “costituente operaia, veramente operaia” per ridisegnare la costituzione del '99. È il tentativo estremo del chavismo di riattivare la propria base sociale d'appoggio, profondamente incrinata, ma ancora presente in diverse fabbriche e aziende.

Ma la rivendicazione del potere della classe operaia”in bocca a Maduro ha lo stesso valore che aveva il socialismo del XXI secolo sulla bocca di Chavez. La cosiddetta costituente viene convocata da una Commissione presidenziale guidata dall'attuale ministro dell'educazione (Elías Jaua), sotto il controllo del regime. Alla sua elezione non possono concorrere i partiti, e peraltro diversi partiti della sinistra venezuelana si vedono tuttora privati di un riconoscimento legale. La sua composizione di 500 delegati costituenti vedrebbe per la metà rappresentanti “della classe operaia” designati in realtà dalla burocrazia sindacale chavista (in un contesto in cui le elezioni sindacali nelle aziende sono bloccate per decreto); per l'altra metà da esponenti designati dalle associazioni d'impresa, dalle professioni liberali, da strutture comunali controllate dal chavismo. L'Assemblea costituente “veramente operaia” si riduce dunque a una finzione burocratica, alla ricerca di una collaborazione istituzionale e “patriottica” tra le classi sociali sotto il controllo del regime bolivariano.


PER UNA MOBILITAZIONE DI CLASSE INDIPENDENTE

Una reale mobilitazione “veramente operaia” è invece l'unica via per indicare una soluzione progressiva della crisi venezuelana. Ma può svilupparsi solamente in piena autonomia dal regime chavista e in aperta opposizione al governo Maduro.

La linea della sinistra critica chavista, è finita su un binario morto. È la linea seguita da Marea Socialista (sezione osservatrice del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale), che ha rotto col PSUV nel 2015, e, in forme diverse, dal PCV (Partito Comunista Venezuelano) stalinista. Una linea che ha a lungo rivendicato una correzione a sinistra della linea del governo nel nome di un mitologico “chavismo originario”. Questa linea si è scontrata con la natura irriformabile del regime nazionalista, con la sua sua politica organica di subordinazione e irregimentazione del movimento operaio e popolare in funzione della salvaguardia del proprio potere e della collaborazione con la borghesia. Il fatto che sia Marea Socialista sia il PCV si siano visti respingere la semplice richiesta del proprio riconoscimento giuridico come partiti indipendenti dà la misura del loro scacco. Il sostegno critico di Marea Socialista alla linea del dialogo con la MUD con la parola d'ordine delle elezioni esprime una politica insieme codista verso il chavismo ed equivoca di fatto verso la mobilitazione della MUD: una somma di subalternità.

Una mobilitazione “veramente operaia” richiede invece un programma di lotta indipendente, in aperta contrapposizione alla politica del chavismo come alla mobilitazione della destra. Un programma straordinario di emergenza imposto dalla drammaticità della crisi. Un programma di rottura anticapitalista e antimperialista.

Scala mobile dei salari, per proteggersi dal carovita. Difesa del lavoro e blocco dei licenziamenti, con l'esproprio sotto controllo dei lavoratori di tutte le aziende che licenziano. Cessazione immediata del pagamento del debito pubblico al capitale finanziario, per destinare le risorse così risparmiate alla protezione sociale e alimentare. Nazionalizzazione delle banche e loro unificazione in un unica banca pubblica, sotto controllo sociale, per stroncare la fuga dei capitali. Controllo operaio sulla produzione, per il colpire sabotaggio economico. Nazionalizzazione sotto controllo operaio e senza indennizzo dell'industria petrolifera e del commercio con l'estero, per troncare gli artigli della speculazione e della corruzione.
Senza queste misure di svolta non vi sarà alcuna via d'uscita dalla crisi. Solo una mobilitazione indipendente della classe operaia attorno a questo programma di svolta può ricomporre un blocco sociale alternativo, disgregare il blocco reazionario, capovolgere i rapporti di forza, aprire la via di una alternativa anticapitalista.


PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI BASATO SULLA LORO FORZA

Questo programma di mobilitazione è inseparabile dall'autorganizzazione democratica di massa.

Una autorganizzazione “veramente operaia” passa per la rivendicazione di libere elezioni sindacali. Ma anche per la libera elezione nei luoghi di lavoro di consigli di lavoratori, quali strutture di controllo della economia, nel campo della produzione e della distribuzione (innanzitutto oggi dei beni alimentari e dei medicinali), nella prospettiva di un loro coordinamento e centralizzazione su scala nazionale. Un congresso nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro, a partire dalle fabbriche, può diventare riferimento centrale e punto di aggregazione per più ampi strati di popolazione povera, immiseriti dalla crisi, segnati dalla disperazione, che rischiano oggi di cercare a destra ciò che non trovano a sinistra.

Un'organizzazione indipendente della classe lavoratrice ha diritto a provvedere alla propria autodifesa, con tutti i mezzi necessari. Anche intervenendo nelle contraddizioni dell'esercito. La destra filoimperialista si rivolge alle gerarchie militari per chiedere loro un golpe reazionario contro Maduro. Maduro cerca di assicurarsi il sostegno fedele dell'apparato militare offrendogli ruolo politico e ricche prebende. Il movimento operaio non può certo fare affidamento sui generali chavisti. Può e deve rivolgersi ai soldati e ai gradi inferiori dell'esercito venezuelano per assicurarsi il loro sostegno contro ogni golpe reazionario, così come contro ogni repressione del regime. Ma può farlo solo sviluppando innanzitutto la propria forza organizzata di massa.

La prospettiva indipendente di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla forza della classe operaia, sulla sua mobilitazione, sulla sua capacità di autodifesa, è l'unica reale prospettiva di svolta per le masse oppresse del Venezuela. Non esistono soluzioni istituzionali progressive della crisi in corso al di fuori di una soluzione socialista.


LA MATURAZIONE DI UN'AVANGUARDIA DI CLASSE

La classe operaia venezuelana è oggi prevalentemente passiva e disorientata, sotto il peso della delusione verso il chavismo e della drammatica crisi sociale. È l'aspetto politico più problematico della crisi in corso.

Ma settori di avanguardia della classe vanno maturando un orientamento nuovo e più avanzato. Sono ad esempio i settori che si sono raccolti attorno alla Plataforma del pueblo en lucha, che rivendica la cessazione del pagamento del debito e la nazionalizzazione dell'industria petrolifera. Questa piattaforma è divenuta un punto di confluenza di ambienti classisti della sinistra e di settori di sinistra del chavismo (Fronte Nazionale Simon Bolivar). Al di là della linea politica errata dei gruppi dirigenti di queste sinistre, emerge un settore della classe operaia che cerca una propria via d'uscita dalla crisi politica e sociale. I marxisti rivoluzionari venezuelani possono sviluppare in questo bacino d'avanguardia un lavoro prezioso di propaganda e agitazione, in funzione della propria politica di raggruppamento e della costruzione del partito rivoluzionario della classe. Che resta in Venezuela, come ovunque, la questione strategica decisiva.

Marco Ferrando

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