Interventi

Movimento 5 Stelle e fascismo

La fitta rete di relazioni sociali e ideologiche tra fascismi e M5S

23 Novembre 2016
m5s almirante

“La piccola borghesia non sa in concreto ciò che vuole, e non può saperlo, per la sua stessa collocazione sociale. Perciò riesce a coprire con tanta facilità la confusione delle sue rivendicazioni e delle sue speranze riposte ora sotto la bandiera anarchica, ora sotto la bandiera populista, ora sotto una bandiera semplicemente “verde”. Opponendosi al proletariato essa tenta, sotto tutte queste bandiere, di far girare all’inverso la ruota della rivoluzione”.

Così scriveva Leòn Trotsky nel 1921, sviscerando la natura piccolo-borghese dell’insurrezione di Kronstadt che “voleva affrancarsi dal capitale, ma, nel medesimo tempo, non accettava affatto di sottomettersi alla dittatura del proletariato”, preparandosi, quindi, a rifluire nelle torbide acque della dittatura della propria borghesia, cioè del capitale.

Questo frammento sulla piccola borghesia camaleontica e ondivaga dagli anarchici ai verdi pur di non parteggiare mai per una risoluta politica proletaria, è certamente applicabile a molte pagine di storia in cui i piccolo-borghesi integrano il caso. Il passo di Trotsky, per la precisione, si riferiva alla specifica piccola borghesia contadina di Kronstadt, insorta contro il governo bolscevico.

In “In memoria della Comune” del 1911, Lenin scrive:
“Il movimento (comunardo) era sostenuto anche dai piccoli commercianti minacciati da rovina se il pagamento delle cambiali e degli affitti non fosse stato prorogato (ciò che il governo aveva rifiutato di fare e che invece la Comune accordò). Infine, nei primi tempi, il movimento ebbe, in parte, la simpatia dei repubblicani borghesi, i quali temevano che l’Assemblea nazionale reazionaria (i “rurali”, i rozzi e brutali grandi proprietari fondiari) restaurasse la monarchia. Ma la funzione principale fu evidentemente assolta dagli operai (…)”, etc.
Poiché “il capitalismo francese era poco sviluppato e la Francia era ancora un paese prevalentemente piccolo-borghese (di artigiani, contadini, piccoli commercianti) (…), non esisteva un partito operaio, e la classe operaia non era né preparata né lungamente addestrata e, nella sua massa, non aveva un’idea chiara dei suoi compiti e dei mezzi per assolverli”.
Si conclude che la gloriosa Comune parigina fu allestita e difesa sì da una maggioranza di proletariato salariato (per i tempi, necessariamente disorganizzato e confuso ancora tra patriottismo e socialismo), ma anche da una parte di piccola-borghesia schiacciata da tutta la grande borghesia nazionale (“tutti i grandi proprietari fondiari, tutti gli uomini della Borsa, tutti i fabbricanti, tutti gli aggiotatori grandi e piccoli, tutti gli sfruttatori”) produttiva e di governo.
Una fetta di piccola borghesia provinciale, costituita perlopiù da mezzadri provenienti dai margini della città ed estranei ai fatti, guidata da Bismarck, si lasciò attrarre dal soldo e dalle menzogne della reazione e si scagliò, in uniforme e fucili spianati, contro la propria stessa classe nella dissipazione della Comune, nonché contro, naturalmente, i nullatenenti, i proletari.

Questo conferma, dall’altra prospettiva, quella “non-collocazione per propria stessa natura sociale” della piccola borghesia di cui diceva Trotsky.
E riconferma che non c’è una legge meccanicistica per cui la piccola-borghesia decida, di volta in volta, di stare o col fronte proletario o col fronte alto-borghese. Le ragioni per cui avviene che essa scelga di stare di qua o di là, stanno nelle condizioni politiche che questa classe si trova apparecchiate intorno nel momento in cui brandisce il dissenso. Con condizioni politiche si intendono condizioni di organizzazioni politiche, propaganda, culturali, cioè di sovrastruttura.
Nella sua struttura economica e nella sua oggettività sociale, la piccola borghesia può avere due modi per arricchirsi e rimontare la crisi.
Il piccolo borghese o tenterà di strappare ricchezza ai grossi capitalisti, ed è il caso in cui, ancora oggi, i piccolo-borghesi possono marciare insieme al proletariato contro il nemico che essi hanno scelto di condividere (l’interclassismo del movimento No Tav ne è un esempio),
oppure il piccolo borghese vorrà tenere immutati i flussi di ricchezza nelle tasche dei grandi proprietari e, a quel punto, per arricchire se stesso, non gli rimane che intensificare il saccheggio sul proletariato, in questo modo saccheggiato due volte: dal ciclo fisiologico del grande capitale e dal rincaro dei saccheggiatori piccolo borghesi che tante più carcasse devono fare per tenersi aggrappati all’albero sotto il ciclone del grande capitale.
In questo secondo caso, quando la piccola borghesia imbocca questa via, dovrà vessare ancora di più i proletari, dovrà sottrargli ogni diritto, ogni possibilità di sciopero, di organizzazione, di qualsiasi cosa minacci la sopravvivenza della propria classe. È così che la Germania nazista ha sconfitto la sua crisi “nazionale”, dopo la prima guerra. Sulla pelle del proletariato. In una parola, è il fascismo.

In Italia, da sette anni in qua, il partito della piccola borghesia arrabbiata per eccellenza e che, grazie alla sua verginità politica, è riuscita a canalizzare le masse è il Movimento Cinque Stelle.

Non è un caso se questo partito/antipartito (come si presentò per “antipartito” lo stesso fascismo, con lo stesso sprezzo per le formazioni sociali, lo stesso sovversivismo abbrutente e antidialettico, e lo stesso ipocrita rifiuto per le funzioni di rappresentanza, “parassitarie”) si trovi, in politica interna ed estera, sempre al fianco dei fascisti. Da Farage, a Trump alle posizioni della Lega contro gli immigrati (Ius Soli e chiusura delle frontiere).

Che “la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa”, trattandosi di un partito messo su da un comico, suona, nel nostro caso, come la profezia più riuscita di Marx.
La facciata si leviga, certo: non si promulgano più leggi razziali, ma si fa del razzismo col programma, dalla cittadinanza negata agli extracomunitari invasori allo sgombero dei campi rom, e non si instaura più una dittatura che metta al bando le organizzazioni sindacali, ma si dichiara apertamente quanto i sindacati siano delle zavorre ottocentesche e dei freni allo sviluppo dell’economia.
E per il rosso e la falce e martello, come dice una canzone, Di Maio e soci hanno la stessa allergia di un prefetto fascista.
Non sono cupe coincidenze: è lo svolgimento puntuale e di classe degli stessi compiti che si prefisse, al secolo, il PNF, e che oggi applicano tutti i fascismi che tornano dal tombino più forti che mai, grazie all’assenza di una sinistra coerente, e alla confusione e ignoranza che la lotta di classe disertata e inesistente da troppo tempo ha generato in chi cerca uno sbocco alla propria frustrazione, e crede di trovarla in questi cialtroni.

Tanto torna di moda il fascismo, cioè la bile piccolo-borghese tutta interna al capitale, che le nuove destre non sentono nemmeno più il bisogno di una, pur ipocrita, autoattestazione di antifascismo; cosa che, durante la prima repubblica (eccezion fatta per l’MSI) instaurata dopo la Liberazione, era d’obbligo.
La razzistissima Lega Nord di Bossi si dichiarava antifascista, e lo stesso segretario non perdeva occasione per vantare la propria discendenza “partigiana”.
Oggi Salvini sfila coi fascisti di Gianluca Iannone, definendoli “gente per bene”. E lo stesso Bossi ne impallidisce. Figuarsi quanto impallidiamo noi! Si concedono spazi televisivi in prima serata a Simone Di Stefano, Giuliano Pisapia lascia che, qualche giorno dopo il 25 aprile, un gruppo di teste rasate deturpi i cimiteri di bandiere della RSI, la parola “antifascista” è derisa come un fronzolo “buonista” e inutile, e nell’arena della politica italiana non corre assolutamente più d’obbligo.

IL FASCISMO CONCLAMATO DEL M5S

Il M5S non si è mai dichiarato antifascista. Né per difendersi dalle accuse che gli son state mosse nel corso degli anni - e per la sua gestione burocratica interna e per le sue politiche -, ma nemmeno davanti alle domande dirette dei giornalisti. “L’antifascismo non mi compete”, dice Grillo, col fior fior della sua ciurmaglia intorno, mentre si intrattiene con Casapound a parlare dei possibili punti d’incontro. Anzi, apre il “movimento”, che è “ecumenico”, a chiunque voglia farne parte.
Qualche tempo fa, il blog di Beppe Grillo ha insolitamente ospitato un articolo di Arrigo Petacco in cui si sosteneva, strampalatissimamente e senza uno straccio di documento, che Giacomo Matteotti non sia stato assassinato dalle squadracce per ordine di Mussolini, ma da alcuni banchieri americani, con interessi di petrolio di mezzo, non meglio specificati.
Un articolo di vero e proprio revisionismo storico, degno della peggiore propaganda casapoundiana, in un sito che, peraltro, non è solito ospitare interventi o pagine di storia passata o cultura generale. È chiaro che il motivo è strizzare l’occhio a quanta più destra ed estrema destra possibile per convogliarla presso il M5S, ed un modo per dire “guardate che non siamo troppo distanti da voi; Mussolini? Parliamone!”.

Fioccano, nel frattempo, casi su casi di grillini in carica nostalgici del Ventennio: la consigliera comunale di Ragusa, Gianna Sigona, che riempie il suo Facebook di busti del Duce con tanto di presentazioni: “Noi eravamo fascisti, poi siamo rimasti fascisti e saremo sempre fascisti”.
Roberto Finardi, assessore della giunta Appendino, cita la Decima Mas, alla commemorazione dell’8 settembre al Cimitero Monumentale; gli astanti trasaliscono, l’Anpi si infuria, e lui risponde “Sono nipote di partigiani, ma i morti sono tutti uguali. Non intendevo offendere, non era un giudizio di valore.”
Già.
Il capolavoro del sindaco di Nettuno, Angelo Casto, che rende omaggio, al cimitero di guerra, ai repubblichini di Salò. Ma lui non recede di un passo. Ribatte: “Il 2 novembre è per tutti i caduti: le ideologie del Novecento sono state una truffa all’umanità”.
Fino a Chiara Appendino che, volpescamente, la piglia di tacco: non inneggia al Duce, ma ai Savoia. Cioè ai migliori alleati del fascismo.

Non è un caso che il M5S, nemico a parole di tutti i partiti, poi in realtà i suoi alleati li abbia, e non siano mai tra le fila di una sinistra, pur malmessa e ciondoloni, ma sempre con la destra più estrema, nemica dei sindacati, nemica degli immigrati, nemica dei poveri.
Il M5S, il fascismo lo ha nei geni. Nel suo “antisistemismo” reazionario, nel suo razzismo, nel suo sessismo, nel suo giovanilismo, nel suo sovranismo, nel suo qualunquismo, nel suo liberismo assassino verniciato di demagogia legalitaria e futurista.
È il carrozzone putrescente della piccola-borghesia in revanche che, nei tempi di calma, ha fatto la spola da Forza Italia (Gianroberto Casaleggio) alla Lega Nord (Grillo, e il suo Bossi “grande statista”), oggi si trova tutta sotto un logo nuovo (privato, rigorosamente), ma con le idee di sempre e con la stessa linea di classe: combattere la recessione e il debito finanziario, scaricandone tutto il peso sulle spalle degli ultimi, e alleggerendo il groppone della borghesia, senza toccare un soldo ai capitalisti.
È la piccola borghesia depauperata che ha scelto di ribellarsi da destra.
Questo il motivo dei tanti proclami disattesi nei fatti da un partito che non mette in discussione nemmeno uno zero dei milioni e milioni di euro che il padrone ha il diritto di fare sullo sfruttamento dei salariati, questo il motivo delle alleanze coi peggiori partiti reazionari d’oltralpe (e in casa), questo il motivo per cui il movimento operaio e i comunisti rivoluzionari hanno nel M5S il più pernicioso nemico politico del momento, e nulla possono avervi a che fare, se non ciò che è hanno sempre fatto contro tutta la borghesia espropriatrice ed abusiva, e contro tutti i suoi partiti: resistenza e lotta di classe!

Salvo Lo Galbo

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