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Il bosone di Dio e il buco del culo di lor signori

17 Ottobre 2016
bosone culo

C’è una di quelle leggende che gira fra chi s’interessa ancora di etica e ricerca scientifica: un dialogo fra Enrico Fermi e Ettore Maiorana, i due scienziati che furono il cuore propulsivo del gruppo di fisici di via Panisperna, in pieno regime fascista, dal 1926 al 1938.

Fermi, lo sperimentatore, avrebbe detto a Maiorana, riferendosi ai risultati dei loro studi sull’ energia nucleare: “Abbiamo trovato una fonte di energia di grande potenza e praticamente inesauribile”. Maiorana, il teorico, gli avrebbe risposto: “L’abbiamo trovata perché l’abbiamo cercata”.

Cosa voleva dire Maiorana a Fermi? Forse che la ricerca scientifica è il campo più complesso e ampio delle attività umane, dove ad ogni pensiero deve seguire la pratica che lo confermi: un procedere teoricamente senza fine. E che proprio per questa infinitezza della scienza, intesa come conoscenza del tutto, bisogna a priori scegliere cosa cercare, altrimenti se ne perde il senso, lo scopo, la ragione d’essere. Ma può anche succedere che l’obbiettivo diventi la ragion d’essere, allora si finisce per trovare quello che si vuole abiurando l’universalità della scienza, ignorando ciò che essa dovrebbe essere in quanto tale: un servizio al genere umano e all’ equilibrio ecologico che consente la vita sulla Terra.

Insomma, se si cerca l’energia si troverà, se si vuole concentrarla e poi liberarla per ottenere la massima potenza, si arriverà all’energia nucleare ma se ne ignoreranno le conseguenze.

Del resto la scienza è anche ubiqua, si trova in ogni luogo; sicché nel cercare, può accadere di trovare qualcosa che porta nella direzione opposta a quella prevista. E a questo punto, quando ci si rende conto che l’obbiettivo previsto, desiderato e annunciato è impossibile o addirittura non esiste, ecco che avviene la torsione verso la non-scienza, verso l’insensatezza dell’obbligo imposto dalla ragione economica e di Stato.

Pochi mesi fa, per esempio, è stata annunciata la scoperta della cosiddetta “particella di Dio”: il bosone di Higgs, dal nome dello scienziato che ne teorizzò l’esistenza nel 1964.

Per ammissione degli stessi scienziati del CERN di Ginevra, l’enorme e costosissimo acceleratore di particelle, il bosone di Higgs è stato appena intravisto, per il resto se ne sa poco o niente. Tuttavia nonostante l’evidente aleatorietà dell’evento, nessuno dell’establishment mondiale ha messo in dubbio l’assoluta rilevanza della scoperta e le sue conseguenze progressive sul futuro dell’umanità. Le poche voci, anche autorevoli, fuori dal coro sono state naturalmente ignorate; del resto come si sarebbe potuto giustificare un fallimento dopo aver investito una enorme quantità di soldi pubblici e aver messo in gioco il prestigio e i principi fondanti della scienza occidentale?

E poi, tutto sommato, anche se il fantomatico bosone non fosse altro che il mito della pentola della d’oro alla fine dell’arcobaleno da dare in pasto all’immaginario popolare, quel che importa è che i componenti di una tale colossale apparecchiatura mica si comprano al mercato: vanno progettati, costruiti e collaudati integralmente. Ci vuol poco per immaginare i vantaggi per le imprese private coinvolte nell’impresa: migliaia di scienziati a disposizione, risorse in abbondanza, nuove tecnologie a costo di ricerca zero e infine ammirazione, gratitudine e il più vasto consenso popolare, cosa vuoi di più? La ricerca scientifica che una volta era di poche menti illuminate è diventata una grande opera collettiva: come una grande banca di investimenti troppo grande per fallire, pena il collasso del sistema. Una grande opera come la TAV o il ponte sullo stretto di Messina suscitano l’insorgere di opposizioni di massa per l’evidente inutilità sociale, ma chi ne capisce qualcosa del bosone di Higgs oltre agli addetti ai lavori?

Ai tempi di Fermi e Maiorana le potenze capitaliste si apprestavano a giocarsi il secondo round della lotta per l’egemonia mondiale. Dopo il macello della Grande Guerra sarebbe arrivata la Seconda Guerra Mondiale, che avrebbe consegnato il bastone del capitalismo agli USA e ai loro alleati subalterni, ma la guerra eterna della competizione fra Stati e capitali non è cambiata da allora: si continua a cercare quello che crea profitto ignorando ciò che serve.

Questo vuol dire la che la ricerca scientifica non ha scelta? Che deve per forza andare nella direzione dell’interesse dei potenti e che oggi più che mai sfugge fisiologicamente al controllo sociale? In realtà la critica alla neutralità della scienza e della tecnologia è stata abbandonata da tempo insieme alla critica della società di mercato. Si è riaffermato il vecchio luogo comune che ogni scoperta, ogni novità tecnologica è positiva in sè, semmai dipende dall’uomo applicarla o meno per il bene comune. Eventuali conseguenze negative, come la distruzione dell’ambiente naturale, non dipenderebbero dalla scienza ma dai singoli che sbagliano, come se la ricerca dei principi naturali non fosse il frutto dell’attività umana collettiva, organizzata e cosciente, ma un dono di Dio, contesa fra le forze immateriali del bene e del male.

L’antico oscurantismo religioso, dopo secoli di lotta senza quartiere alla modernità, si è fuso armonicamente con l’anarchia del capitale e con l’ideologia della crescita indefinita del PIL a prescindere dalle contraddizioni fra crescita della produttività e distribuzione dei benefici.

La contraddizione fra capitale e lavoro è più che mai evidente, ma la ricerca scientifica e le tecnologie applicate continuano ad essere orientate e dirette dalla classe dominante borghese: banchieri, industriali e politici genuflessi. Nelle masse popolari, soggiogate e ininfluenti, non si intravede ancora un movimento in grado d’invertire la tendenza; anzi al contrario crescono movimenti oscurantisti e reazionari: il sistema è marcio e continua a marcire ma rimane in piedi contro ogni logica grazie al suo gigantismo permeante ogni piega dell’ordine sociale e con il dominio telematico sulla psicologia delle classi subalterne.

Con questi presupposti come può affermarsi una scienza al servizio della intera umanità? Semplicemente non può; una ricerca orientata al benessere sociale può esistere soltanto se il potere economico e politico diventa collettivo, sotto il controllo delle masse popolari attraverso un sistema democratico più evoluto dell’attuale democrazia liberale in crisi terminale: il comunismo.

La vita dei cittadini, specialmente dei proletari o meglio, di tutti coloro che vendono se stessi attraverso il proprio lavoro, non può dipendere da leggi finanziarie che, oltre ad essere imperscrutabili se non per pochi esperti, non tengono minimamente conto dei bisogni di chi vive ai piani bassi della piramide sociale.

La ricerca scientifica dovrà essere trasparente, ogni obiettivo dichiarato e approvato, all’interno di un piano di programmazione della produzione, ambientalmente sostenibile e socialmente virtuoso. L’immensa potenza produttiva raggiunta non può essere lasciata in mano all’arbitrio dei singoli proprietari dei mezzi di produzione in competizione fra loro. Se questo era vero agli albori della società industriale oggi è imprescindibile per la sopravvivenza dell’intera umanità.

Ora la rivoluzione comunista per una società senza classi e di conseguenza per un sapere universale è attuale più che mai: alla contraddizione capitale-lavoro si aggiunge quella fra capitale e ambiente naturale ma, paradossalmente, sembra che mai come ora sia stata così lontana dal realizzarsi. Ciò non toglie che i problemi della fase di passaggio fra una società capitalista e una comunista, la transizione fra un sistema e l’altro, non meritino di essere affrontati per fornire ai rivoluzionari una griglia programmatica di riferimento coerente ed articolata.

Il postulato è che una scienza di classe non esiste, per cui non esiste nemmeno una scienza proletaria.

La scienza come ricerca dei principi, la tecnologia come processo energetico di trasformazione energia-materia e la tecnica come processo di produzione, esistono soltanto se sono universali; e perciò diventa conseguente che la scienza borghese non esiste. La scienza proletaria è impossibile, la scienza borghese è diventata regressiva.

Solo una società senza classi, potrà garantire un’inversione di tendenza.

Ma la rivoluzione comunista non è la sola, per quanto indispensabile, presa del potere politico da parte della maggioranza, è anche l’inizio di una fase in cui progressivamente la scienza come ricerca e la conoscenza come sapere sociale e politico diventano patrimonio comune.

Cosa sarà la ricerca scientifica nell’immane processo di socializzazione liberato dal comunismo, a cui miliardi di menti potranno contribuire, è impossibile da immaginare; ciò che è sicuro è il nostro dovere di fare conoscere alle masse sfruttate che vale la pena battersi affinché ciò avvenga.

Falaghiste

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