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Prove INVALSI, ovvero la "pazza idea" di trasformare l'istruzione in merce

11 Maggio 2016
Invalsi

“Non tutto ciò che conta può essere contato, non tutto ciò che può essere contato conta”. Così scriveva Albert Einstein, un tipo che di numeri e valori ne capiva abbastanza, sicuramente più dei buro-pedagogisti di Stato, inzuppati di subcultura aziendalista, che da decenni appestano la scuola italiana scrivendo (e riscrivendo in continuazione) le regole alle quali docenti e studenti dovrebbero sottostare.

Non ci deve stupire: è cosa risaputa che Confindustria, per mano dei suoi tecnocrati, è il centro ispiratore delle ultime grandi riforme che hanno coinvolto (e sconvolto) la scuola italiana: la Riforma Bassanini/Berlinguer del ’99, la Moratti del 2003, la Gelmini del 2009 e, in ultimo, la Buona Scuola del 2015.

Davvero triste dover toccare con mano come la mercificazione capitalista non risparmi nessuno: gli uomini, i bambini, le idee, le conoscenze, i pensieri. Tutto è prodotto, tutto deve considerato, classificato e valutato in termini di input (cioè le risorse investite: attrezzature e ore di lavoro) e output: in questo caso cittadini il più possibile ignoranti e inconsapevoli, ma “competenti” quanto basta per essere scaraventati il prima possibile ad ingrossare l’“esercito industriale di riserva” che il Moloch del mercato globale esige.
Ogni lavoratore, ogni istituzione, ogni pietra delle nostre scuole viene corrotta, distorta e piegata verso questo obbiettivo. Ed è così che l’INVALSI, nato a Frascati nel 1974 su iniziativa di un intellettuale di livello internazionale come Aldo Visalberghi, con il nome di Centro Europeo dell’Educazione, viene ribattezzato INVALSI (Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema dell’Istruzione) da Berlinguer nel 1999, e trasformato dalla Moratti e dai suoi successori in un “quizzificio” alla Paolo Bonolis.
E credetemi: partire da un Visalberghi per arrivare a un Bonolis è davvero il segno di una disfatta culturale epica.

Tornando all’attualità, anche quest’anno, in questi giorni, gli studenti italiani sono alle prese con questa pseudomisurazione delle loro competenze, in Italiano e in Matematica. Quello che non tutti sanno è che da quest’anno la misurazione degli apprendimenti sarà elemento determinante del nuovo “Sistema Nazionale di Valutazione”, che rileverà una “classifica” delle scuole italiane in base alla quale… saranno distribuiti i premi ai prèsidi!

Al di là degli aspetti “etici”, voglio però concludere con una considerazione “di sostanza”. Questi quiz, somministrati ormai da una dozzina di anni, sono serviti a qualcosa? Hanno avuto qualche effetto apprezzabile e concreto?
Sì, sono serviti a convincere parte dei docenti italiani a tralasciare concetti, idee, pensieri, riflessioni e dialogo, per concentrarsi invece sull’“addestramento ai quiz”.
E tanto è vero questo che, secondo tutti gli indicatori internazionali, la scuola italiana in questi ultimi dodici anni è precipitata sempre più in basso, fino a contribuire alla conquista, per il nostro Paese, del poco invidiabile primato dell’analfabetismo funzionale più elevato fra i paesi sviluppati.
E dopo venticinque anni di “cretinismo aziendalista”, che è forse peggiore di quello parlamentare, ci sarebbe da stupirsi del contrario.

Andrea B.

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