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Tunisia: quando il fuoco cova sotto la cenere

23 Gennaio 2016
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A cinque anni dalla rivoluzione del 2011, che ha portato alla cacciata di Ben Alì e all’ondata della “primavera araba” in Nord Africa e Medio Oriente, la gioventù disoccupata tunisina ancora una volta prorompe nelle strade e nelle piazze del paese per protestare contro un sistema capitalistico in crisi che distribuisce miseria, sfruttamento e oppressione. Ancora una volta i disoccupati e le masse oppresse rivendicano “lavoro, libertà e dignità”.

In una sequenza che ricorda gli avvenimenti del 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid, il 16 gennaio 2016 a Kasserine, una delle regioni più depresse della Tunisia, la tragica morte di un giovane disoccupato, Ridha Yahyaoui, ha costituito il fattore di innesco della mobilitazione generale. Il giovane è deceduto mentre scalava un palo dell’elettricità per protesta contro la sua esclusione dalle graduatorie per un posto di lavoro. Il 19 gennaio 2016 i disoccupati occupavano il governatorato di Kasserine, il governo regionale reagiva proclamando il coprifuoco, le masse di disoccupati rispondevano dando fuoco alla sede governativa e a quella del partito di governo Nidaa Tounes, un partito liberale.

In pochi giorni la mobilitazione si è estesa in tutto il paese: Sidi Bouzid, Siliana, Zaghouan, Sousse, Kairouan, Kef ed El Fahs, Gafsa, Tajerouine, Kairouan, Sfax, Douz, Biserta, fino a Tunisi dove sono scesi in piazza anche gli studenti. Il governo nazionale del premier Habib Essid, una coalizione borghese di centrodestra tra il liberale Nidaa Tounes e i Fratelli Musulmani di Ennahda, di fronte alla crescente mobilitazione generale reagiva secondo uno schema ben noto: da un lato ha promesso una commissione d’inchiesta sulla corruzione e alcuni milioni di dinari per tamponare l’emergenza, dall'altro ha attuato una brutale repressione poliziesca con arresti, ferimenti, di manifestanti e infine proclamando il coprifuoco in tutto il paese.

La prima ondata della rivoluzione di cinque anni fa è stata deviata e sconfitta. La proposta avanzata dal presidente Beji Caid Essebsi di “conciliazione economica”, cioè di recupero del vecchio ceto dirigente del RCD, il partito del regime di Ben Alì, coronava l’operazione di recupero. Quella sconfitta trova la sua origine in primo luogo nella mancanza durante gli scontri di cinque anni fa di un partito marxista rivoluzionario, radicato nella classe lavoratrice e tra le masse popolari oppresse, che ricoprisse il ruolo di direzione politica e programmatica nel processo rivoluzionario. L’assenza del partito rivoluzionario ha favorito tra il proletariato e tra le giovani masse oppresse l’egemonia politica liberaldemocratica e l’illusorio affidarsi all'imperialismo “democratico”. La costruzione della fortezza europea, con il conseguente blocco dell’emigrazione, la disillusione nella speranza di un veloce cambiamento delle condizioni materiali e dei diritti democratici ha determinato tra i giovani precari e disoccupati da un lato la passivizzazione, e dall'altro la crescita del fascismo islamista.

Le contraddizioni, sociali e politiche, che cinque anni fa avevano innescato la prima ondata rivoluzionaria non sono state risolte, anzi nel tempo si sono aggravate: oggi si calcolano nel paese nordafricano circa ottocentomila disoccupati, e inoltre la crisi capitalista si è aggravata e con essa la crisi politica. Il fascismo islamista con la sua politica barbara, retrograda, repressiva e liberista non poteva né può rappresentare la soluzione per i lavoratori, i giovani e le donne.

Oggi i giovani disoccupati e le masse oppresse versano ancora una volta il loro sangue nelle strade e nelle piazze per la libertà, il lavoro e la dignità. Queste rivendicazioni immediate, come abbiamo scritto nella nostra stampa facendo un bilancio della rivoluzione araba, possono essere efficacemente affrontate solo da un governo dei lavoratori. L’urgenza e la necessita della costruzione nel fuoco della lotta del partito marxista rivoluzionario è conseguente ad un bilancio di verità e nel contempo è una garanzia di uscita progressiva dalla crisi rivoluzionaria in atto. Un partito che difenda e salvaguardi l’indipendenza della classe lavoratrice contro la borghesia nazionale, i suoi governi e i suoi partiti. Un partito che sappia affrontare il pericolo mortale dell’imperialismo che sta preparando la guerra di aggressione alla Libia. Un partito che lavori per la prospettiva di una federazione socialista in Nord Africa e in Medio Oriente quale reale soluzione alle esigenze delle masse lavoratrici, dei disoccupati e dei popoli oppressi della regione (berberi, curdi, palestinesi). Non c’è dubbio che l’attuazione di questo programma di rivoluzione permanente necessita della rifondazione immediata della Quarta Internazionale e delle sue sezioni in tutti i paesi.

Partito Comunista dei Lavoratori

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