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Venezuela: una crisi enorme del potere e dello Stato

16 Dicembre 2015
chav

Il'66% dei seggi dell'Assemblea Nazionale ottenuti dall'opposizione ha prodotto in Venezuela un'impasse politica insuperabile. Questa maggioranza conferisce al Parlamento la facoltà di neutralizzare l'azione del potere esecutivo, e persino di arrivare alla sua destituzione. Si è venuta a creare una sorta di doppio potere, nel quadro di una crisi economica dalle caratteristiche catastrofiche. Le manipolazioni elettorali della maggioranza di governo, al fine di ottenere la parità in Parlamento, hanno rafforzato l'opposizione di destra, che ha vinto in quelle circoscrizioni rese sovrarappresentate dalla riforma elettorale.


IMPASSE

Il chavismo ha risposto a questa impasse eccezionale raddoppiando la posta, dal momento che si è affrettato ad annunciare che non concederà l'amnistia ai condannati in via definitiva dell'opposizione; iniziativa, questa, che sia appresterà a fare fra meno di un mese il nuovo potere legislativo. L'opposizione, da parte sua, ha proposto al governo l'esecuzione di un piano che faccia fronte al disastro economico - in realtà una proposta opportunista, che non può essere attuata; innanzitutto perché implicherebbe delle misure economiche drastiche, che il governo non riuscirebbe a gestire; e poi perché si scontrerebbe in maniera violenta con la burocrazia chavista e i suoi intrecci negli affari di Stato. I risultati straordinari delle elezioni, inoltre, limitano fortemente una soluzione militare all'impasse che si è creata: questa non sarebbe praticabile se non con l'andata al governo dell'opposizione trionfante, ad esempio in seguito ad elezioni presidenziali immediate.

Il settore maggioritario dell'opposizione è consapevole del fatto che questa impasse potrebbe sfociare in una esplosione sociale e politica che l'opposizione stessa non desidera in nessun modo. È per questo che ha definito la sua vittoria come un "voto di protesta" nei confronti del governo, il che implica che non assegna al voto che ha ottenuto il senso di un mandato affinché si candidi ad essere un'alternativa politica immediata al chavismo e all'esecutivo. Il leader dell'opposizione Henrique Capriles ha ribadito, su questa linea, l'appello affinché "il governo cambi" per evitare di "cambiare il governo". La parte degli oppositori guidata dall'incarcerato Leopoldo Lopez e da Maria Corina Machado chiede di passare alle vie di fatto. I due settori dell'opposizione hanno festeggiato la vittoria con due manifestazioni separate. La frattura dello Stato messa a nudo dai risultati elettorali riflette le divisioni all'interno del governo tanto quanto le divisioni all'interno dell'opposizione. La cosiddetta comunità internazionale fa pressione per una "soluzione di dialogo" proprio perché teme un'esplosione sociale, ma è pienamente consapevole del fatto che non sarà possibile, e lo scenario tenderà ad orientarsi verso una situazione con implicazioni rivoluzionarie.


"CAMBIO DI CICLO"?

Gli sviluppi della situazione in Venezuela mostrano i limiti e la fallacia dell'idea secondo cui l'America Latina starebbe attraversando un "cambio di ciclo" - dal "populismo" all'"ascesa della destra", o ad "una destra moderna", a quanto dice una sinistra politicamente instabile. Il mondo ruoterebbe, così, entro due poli, il cui centro di gravità sarebbe il persistere e la validità del capitalismo. In questo quadro, i tentativi nazionalisti sono interpretati come l'equivalente di una rivoluzione sociale. Il Venezuela, al contrario, lascia scoperta un'altra questione: la crisi e l'inefficacia dello Stato attuale e delle relazioni sociali capitaliste. Il chavismo fu una risposta alla situazione rivoluzionaria potenziale creata dal Caracazo del 1989, e oggi, nel mettere a nudo i suoi limiti insormontabili, riporta il paese alle condizioni iniziali, ma ad un livello superiore, rappresentato dall'esaurimento di questa esperienza e dalla crisi capitalista mondiale. Un ritorno allo status quo ante minaccia di scatenare una crisi rivoluzionaria superiore a quelle del passato. La questione ora consiste nel fornire una linea di azione ai lavoratori a fronte di queste nuove circostanze storiche. I centristi propongono, invece, di continuare ad accodarsi al chavismo e al kirchnerismo, proprio nel momento in cui i limiti congiunturali di questi movimenti hanno raggiunto il capolinea.


AMERICA LATINA

La crisi che si è aperta in Venezuela trascina l'America Latina nella crisi internazionale in corso. La bancarotta del chavismo, così come quella dei suoi partner nel continente, ha a che fare con il crollo delle materie prime - esse stesse collegate alla velocità raggiunta dalla crisi capitalista in Cina, a sua volta legata all'aggravamento della crisi mondiale. Non c'è "risanamento" che possa porre rimedio a questa situazione: la può solo rendere esplosiva. La dinamica del chavismo accompagna la curva del prezzo internazionale del petrolio. La crisi innescata dalle elezioni darà il via ad una nuova battaglia per il petrolio venezuelano: una replica di ciò che sta avvenendo in Medio Oriente. Il destino della PDVSA e lo sviluppo produttivo della faglia dell'Orinoco riprodurranno ciò che sta accadendo con Petrobras. Gli accordi della PDVSA con i capitali europei e cinesi sono stati inutili al fine di far evolvere produttivamente le riserve del paese; ora torneranno nella mischia i capitali nordamericani. Il crollo del chavismo trasformerà il Venezuela e l'America Latina nel nuovo campo di disputa per la spartizione delle risorse e dei territori da parte delle potenze capitaliste.

Ciò che è accaduto in Venezuela potrebbe ripercuotersi sui negoziati fra la Colombia e le Farc, e innanzitutto sulla portata degli accordi, dato che la metà dell'opposizione venezuelana è urbista. L'amministrazione Obama è riuscita a consolidare, con il presidente Santos, il "Piano Colombia" e lo sviluppo di basi militari. Allo stesso modo, ciò che è accaduto inciderà sulla cosiddetta normalizzazione delle relazioni fra Stati Uniti e Cuba. Si tratta ora, per la sinistra rivoluzionaria, di analizzare in maniera adeguata la rottura, la crisi di queste presunte alternative volte al conseguimento della "stabilità" internazionale, per orientare con un proprio programma e una propria organizzazione i lavoratori e i contadini. Quando Capriles parla di "voto di protesta" sta riconoscendo che l'elettorato non ha assunto posizioni di destra, ma ha reagito empiricamente, a causa della mancanza di una precedente preparazione politica, dinanzi ad una situazione politica ed economica esasperante. Le masse pagano il codismo delle loro direzioni nei confronti del nazionalismo. È ciò che è accaduto anche in Argentina, dove Scioli e Macri hanno ottenuto per le loro liste solamente un terzo dei voti, rispettivamente, espressione più dei voti contrari (all'avversario) che di quelli a favore.


IL TERZO FATTORE POLITICO

In Venezuela (così come in Brasile, Argentina, o in Ecuador e Bolivia) esiste un grande movimento operaio e di classe. Esso si trova tuttavia ad un bivio, perché in nome della "lotta contro la destra" può rinunciare ad un'azione politica indipendente, come in gran parte è successo finora. Le distinte espressioni del nazionalismo di contenuto borghese che hanno caratterizzato questa tappa storica sono ora entrate in un declino irreversibile. L'avanguardia di questo movimento operaio e di classe è chiamata a determinare correttamente le caratteristiche del momento attuale: frattura dello Stato e dell'economia capitalista, e tendenza all'esplosione sociale o alle situazioni prerivoluzionarie. Il compito all'ordine del giorno è far sì che questo movimento operaio si doti di partiti operai indipendenti: che introduca il terzo fattore politico, cosciente, nello scenario dell'enorme crisi che si è aperta.

Jorge Altamira

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