Prima pagina

I comunisti rivoluzionari e la Siria

30 Novembre 2015
Siria a

La Siria è oggi più che mai un crocevia di fronti di guerra intrecciati e sovrapposti tra loro.
Sul versante propriamente siriano:
- La guerra di Assad e del suo regime militare e poliziesco
- La guerra barbarica del fascismo islamico dell'ISIS - inizialmente favorita da Assad in funzione controrivoluzionaria - mirata alla costruzione di un regime totalitario integralista anti sciita, e pertanto diretta, coi metodi del terrore, contro ogni forma di resistenza alla propria avanzata.
- La guerra delle altre forze fondamentaliste reazionarie (la sezione siriana di Al Qaeda Al Nusra, e la coalizione dell'”Esercito della Sunnah”), contrapposte sia ad Assad che all'ISIS.
- La guerra delle forze popolari kurde a difesa del Rojava, contro ISIS.
- La guerra di ciò che resta dell'Esercito Libero Siriano, nato da rotture e diserzioni dall'esercito di Assad nel momento della sollevazione popolare, e poi pesantemente colpito e smembrato dalla tenaglia militare del regime e delle forze reazionarie fondamentaliste complessivamente intese.
- La guerra di resistenza di alcune strutture popolari nelle realtà urbane e di villaggio, sopravvissute ai colpi del regime e dei tagliagola reazionari, e di fatto contrapposte a entrambi.

Su questo inestricabile ginepraio si innesta a sua volta il ruolo determinante delle potenze esterne mediorientali:
L'asse sciita a sostegno militare di Assad, composto dall'Iran, dagli Hezbollah, dall'Iraq, col regime iraniano che cerca di capitalizzare lo sdoganamento ottenuto dagli USA per puntare ad una propria egemonia regionale.
L'asse sunnita delle potenze del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, strategicamente contrapposta all'Iran e dunque ad Assad: la monarchia Saud, “tradita” dagli USA per via della pacificazione con Iran, sostiene ogni possibile via e strumento per contrastare il campo sciita, incluso il sostegno determinante al fondamentalismo reazionario e un gioco di sponda col sionismo.

La Turchia di Erdogan, apertamente contrapposta all'Iran perché interessata a promuovere un proprio disegno di potenza neo ottomano nella regione attraverso l' espansione in Siria e la guerra ai kurdi.

Infine all'intero panorama delle forze regionali si sovrappone il gioco interessato delle potenze mondiali:
La vasta coalizione imperialista a guida USA, fondata sulla Nato, ancora impossibilitata per ragioni politiche a mandare significative truppe di terra ma impegnata nella guerra dei cieli, principalmente contro ISIS.
La Russia di Putin, che entra nella impasse della politica USA con proprie forze militari per salvaguardare le proprie basi sul Mediterraneo, e dunque a sostegno di Assad e del blocco sciita. Lo Stato sionista, spiazzato dalla legittimazione dell'Iran da parte degli Usa, che cerca dietro le quinte nuove sponde internazionali in tutte le direzioni, inclusa la Russia di Putin: uno Stato sionista che aveva da tempo normalizzato le relazioni di buon vicinato col regime di Assad e che vede nel rafforzamento dell'asse sciita (Iran ed Hezbollah) la minaccia principale ai propri interessi.

Ognuno di questi attori si muove con duttilità e spregiudicatezza al solo fine di difendere e rafforzare il proprio peso politico in funzione dei futuri nuovi equilibri del Medio Oriente. Senza che nessuno di essi disponga oggi di una forza sufficientemente egemone per imporsi sulle forze avversarie o concorrenti.


PARTIRE DAI PRINCIPI. PER UNA SOLUZIONE SOCIALISTA IN MEDIO ORIENTE

Quale posizione assumono i comunisti rivoluzionari in una situazione così complessa e intricata?

Da comunisti partiamo, come sempre, dai principi e dal programma generale di rivoluzione, al fianco della classe lavoratrice del medio oriente e delle ragioni storiche dei popoli oppressi. Non v'è soluzione storicamente progressiva della questione palestinese fuori dalla dissoluzione rivoluzionaria dello Stato sionista, nei suoi fondamenti giuridici, confessionali, militari: condizione decisiva per l'autodeterminazione del popolo palestinese, a partire dal diritto al ritorno.

Non vi è soluzione storicamente progressiva della questione kurda fuori dalla messa in discussione degli equilibri politici e confini statali disegnati un secolo fa dalle potenze coloniali: condizione decisiva dell'unificazione kurda attorno ad un Kurdistan indipendente. Solo una soluzione socialista, capace di realizzare una federazione socialista araba e medio orientale, può consentire il compimento di questi obiettivi storici democratici. Solo la classe lavoratrice del Medio Oriente, ponendosi alla testa delle ragioni dei popoli oppressi della regione, può realizzare questa prospettiva socialista. Certo questa prospettiva è difficile e apparentemente lontana, ma è l'unica possibile su un terreno storico progressivo. In alternativa, come i fatti dimostrano, non c'è la “salvaguardia” dell'attuale medio oriente. C'è la ridefinizione della sua carta geografica per mano dell'imperialismo, dell'ISIS, del sionismo, del progetto neo ottomano turco.


NESSUN ALLEATO TRA LE POTENZE IN CONFLITTO

A partire da questo programma di rivoluzione e liberazione, antimperialista e socialista, abbiamo definito la nostra posizione rispetto agli accadimenti medio orientali.

Abbiamo sostenuto le sollevazioni popolari arabe nel 2010/2011 contro regimi dispotici, controllati dall'imperialismo (Ben Alì e Mubarak), o già da tempo riallineati all'imperialismo (Gheddafi ed Assad): a differenza delle correnti staliniste schieratesi al fianco di quei regimi nel nome di un loro inesistente “progressismo”. Al tempo stesso, abbiamo da subito contrastato e denunciato il ruolo filo imperialista delle direzioni borghesi di quelle rivoluzioni popolari, e il tragico esito controrivoluzionario inscritto nella loro parabola: a differenza di quelle correnti politiche della sinistra che, infatuate dalla suggestione rivoluzionaria, hanno finito col sottovalutare il ruolo controrivoluzionario dell'imperialismo nel segnare l'esito degli avvenimenti (la LIT in Libia). In ogni caso, proprio per questo, ci siamo sempre opposti ad ogni intervento militare o ingerenza politica dell'imperialismo sul corso delle rivoluzioni arabe. A partire da un programma di rivoluzione permanente che proprio l'esperienza di quelle rivoluzioni conferma una volta di più nel modo più clamoroso: solo una rivoluzione socialista guidata dalla classe lavoratrice può realizzare nei paesi arretrati i compiti democratici della rivoluzione (autonomia dall'imperialismo, autodeterminazione nazionale, riforma agraria radicale...). E viceversa: ogni direzione borghese dei processi rivoluzionari finisce col tradire le stesse aspirazioni democratiche delle rivoluzioni popolari spianando la strada alla peggiore controrivoluzione. La dittatura di Al Sisi in Egitto, lo straripamento dell'ISIS in Siria ed Iraq, ne sono la riprova.

Con questa stessa impostazione di metodo, ci posizioniamo oggi nella intricata crisi siriana.

A differenza delle impostazioni “campiste”, non abbiamo amici e alleati in nessun blocco di potenze in conflitto, a nessun livello. Ci opponiamo all'imperialismo e al suo intervento militare, denunciando l'ipocrisia dei suoi argomenti “democratici”. L'imperialismo e le sue guerre in Medio Oriente negli ultimi 20 anni sono i principali responsabili delle indicibili sofferenze imposte ai popoli della regione, e di fatto dello stesso sviluppo dell'ISIS. Oltretutto l'obiettivo dell'intervento militare a guida Usa è riconquistare un proprio controllo politico sulla regione dopo la destabilizzazione seguita alla rivoluzioni del 2010 e al loro esito, a vantaggio dei propri clienti regionali. Per questo siamo contro l'intervento imperialista e a maggior ragione contro una sua possibile escalation, perfino nel caso affrettasse la sconfitta dell'ISIS: perché ogni vittoria dell'imperialismo, in qualunque forma, preparerebbe altre mostruosità reazionarie. Da questo punto di vista denunciamo l'ennesima capitolazione all'imperialismo “democratico” da parte di correnti pacifiste della sinistra riformista, in Italia e in Europa.

Al tempo stesso non parteggiamo per Assad, la Russia di Putin, il regime iraniano. Sono forze oppressive della classe operaia, della popolazione povera, e dei loro diritti democratici e sindacali più elementari entro i propri confini. E sono interessate unicamente a negoziare con gli imperialismi occidentali e con la Turchia la nuova spartizione del Medio Oriente. I mercanteggiamenti del regime di Putin col sionismo (interessato a sostenere Assad contro Iran ed Hezbollah) sono un pessimo avviso per il popolo palestinese. Così come, parallelamente, i mercanteggiamenti dell'imperialismo Usa col regime di Erdogan, in funzione di bilanciamento dell'intervento russo, sono un attacco al popolo kurdo e alla sua lotta. Putin vuole negoziare con Obama una soluzione politica in Siria che preservi i propri interessi geostrategici. Gli Usa sono oggi costretti dalle proprie difficoltà a negoziare con Putin: con l'obiettivo se possibile di spodestare Assad, ma anche di conservare la continuità di potere della sua struttura militare (per non ripetere l'errore fatale commesso in Iraq con lo scioglimento dell'esercito di Saddam). Assad e il suo bunker militar poliziesco sperano di ricavare dal possibile negoziato o il proprio salvataggio diretto o una “transizione” che garantisca in ogni caso immunità personali e leve di potere. I popoli oppressi della nazione araba e del Medio Oriente non hanno nulla da guadagnare da questo negoziato condotto sulla loro pelle. Non hanno amici tra i regimi attuali e le potenze esterne che li sostengono o li contrastano. Per questo denunciamo il ruolo subalterno del campismo, in ogni sua forma e variante.

Contrastiamo l'ISIS, il suo progetto totalitario fondamentalista di grande Califfato, le pratiche sanguinarie di terrore che esso pratica verso ogni opposizione e resistenza. La sconfitta dell'Isis, e di tutte le forze fondamentaliste e reazionarie, è oggi un obiettivo centrale dei popoli oppressi della regione e del movimento operaio internazionale. Per questo denunciamo ogni posizione, oggi fortunatamente marginale, di abbellimento o sottovalutazione del fenomeno ISIS nel nome della contrapposizione all'imperialismo. Al tempo stesso la sconfitta dell'ISIS va perseguita dal versante dei popoli oppressi e non dal versante dell'imperialismo. Tanto più in un contesto in cui i fatti dimostrano il fallimento dell'imperialismo nel contrasto dell'ISIS, sia in Iraq che in Siria.


DALLA PARTE DEI POPOLI OPPRESSI, PER UN'ALTERNATIVA DI DIREZIONE

Stiamo dalla parte di tutte le forze e i soggetti che nella regione e in Siria, sui più diversi fronti, esprimono ragioni storiche progressive.
Stiamo dalla parte del popolo palestinese, a partire dai palestinesi di Yarmouk, che resistono alla tenaglia terribile tra regime, Al Qaeda ed ISIS, a difesa innanzitutto della propria vita.

Stiamo dalla parte dei kurdi e della loro lotta eroica, armi alla mano, contro le forze dell'ISIS e le aggressioni di Erdogan: l'unica forza che non a caso ha saputo sconfiggere i taglia gola in campo aperto sul fronte militare (Kobane).
Siamo dalla parte di quelle forze della resistenza siriana (comitati popolari, brigate locali...), oggi molto limitate ma reali, che ancora si battono in diverse città e villaggi per gli obiettivi democratici originari della rivoluzione popolare.
Al tempo stesso siamo su questi fronti con un programma marxista di rivoluzione, senza nessun adattamento alle loro leadership attuali .
Stiamo dalla parte dei palestinesi per una loro Terza Intifada: contro le leadership di Abu Mazen, asservita al sionismo, e contro Hamas e il suo regime oppressivo a Gaza, per una direzione alternativa del movimento di liberazione della Palestina.
Siamo incondizionatamente dalla parte dei kurdi e della loro lotta: ma contro i progetti di pacificazione con Erdogan ancora coltivati da una parte del PKK (Ocalan) e significativamente contrastati dall'ala giovanile di quel partito. Per una direzione alternativa del movimento di liberazione kurdo attorno ad un progetto di Kurdistan unito e indipendente.
Siamo dalla parte delle forze residue della rivoluzione siriana, ma contro le aperture all'imperialismo e la politica di collaborazione con l'imperialismo della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana”.
Siamo su ogni versante per lo sviluppo di un punto di vista classista indipendente in Medio Oriente, in funzione della prospettiva socialista. E dunque per la costruzione di partiti marxisti rivoluzionari basati su questo programma. È la lotta che il Partito Operaio rivoluzionario di Turchia (DIP) oggi conduce nel proprio paese, e che ha tutto il nostro sostegno.

Partito Comunista dei Lavoratori

CONDIVIDI

FONTE