Rassegna stampa

Turchia, la delocalizzazione antisindacale targata Italia: i casi Ferroli, e Zegna

23 Aprile 2014

Un metro di radiatore pesa 33 kg, la catena ne sputa fuori 1500 metri per turno; millecinquecento metri di radiatore fanno 49 500 kg da sollevare, e se otto ore vi sembran poche provate a farvele senza che i dirigenti vi diano il permesso di andare in bagno.

Un metro di radiatore pesa 33 kg, la catena ne sputa fuori 1500 metri per turno; millecinquecento metri di radiatore fanno 49 500 kg da sollevare, e se otto ore vi sembran poche provate a farvele senza che i dirigenti vi diano il permesso di andare in bagno. Dopo le prime ore Ali (1) ha cominciato a perdere la sensibilita' alle gambe; poi passato qualche giorno sono arrivati i dolori alla schiena, seguiti dall'ernia e dall'appiattimento delle vertebre. Alla fine Ali ha direttamente smesso di cenare quando tornava a casa. Dopo i primi due mesi e il collasso nervoso, la soluzione del medico: Ali e' depresso. Qualche pillola, e via di nuovo al a sollevare 49 500 kg di radiatori al giorno per 300 euro al mese.
La depressione di Ali si chiama reparto imballaggio. Essendo un lavoro ad alto rischio occupazionale, la regola sarebbe un turno una tantum e non senza almeno due giorni di pausa prima di tornarci. A prescindere, pero', venire spostato all'imballaggio non rientrerebbe comunque nelle competenze di un operaio specializzato come il metalmeccanico Ali. Ma alla Ferroli, fabbrica di impianti di riscaldamento con sede a Verona e filiare produttiva nella cittadina turca di Duzce, che in Italia sarebbe anche firmataria di un codice etico e del modello di gestione 231, l'imballaggio a oltranza e' la regola per spezzare la schiena agli operai che osano iscriversi al sindacato.

Se ti iscrivi al sindacato sei fuori
O lasciano perdere, o danno le dimissioni sollevando la Ferroli dalle conseguenze finanziarie e legali di un semplice licenziamento. Ali e' soltanto l'ultimo a tenere duro, nella sede di Duzce; gli altri due colleghi messi in punizione con lui hanno gia' mollato durante l'inverno, scegliendo di fatto la disoccupazione garantita visto che la Ferroli non ha intenzione di fornire referenze a un operaio sindacalizzato. Lo strano caso degli operai specializzati relegati alla catena degli imballaggi per giorni e giorni di fila contro ogni regola, finche' non crollano per sfinimento, e' soltanto l'ultima di una serie di ritorsioni da parte della Ferroli per scongiurare i tentativi degli operai di tutelarsi iscrivendosi al DISK, la storica dei sindacati rivoluzionari turchi. Secondo la legge locale, una fabbrica ha l'obbligo di aprire la trattativa con il sindacato se questo raggiunge il 50% piu' uno dei lavoratori. Il DISK aveva quindi cominciato a organizzare i metalmeccanici dentro la Ferroli, con l'obiettivo di tutelarli contro dirigenti come Cesur Sagiroglu, un ingegnere della che se interrogato sul perche' alla Ferroli i dirigenti possono parcheggiare la macchina dentro il cancello mentre agli operai non e' permesso neanche di portare il cellulare sul lavoro (bisogna dire che almeno il permesso di portare il cellulare, nel frattempo, e' stato ottenuto), spiega tranquillo: "Perche' noi siamo i bianchi e voi siete i nostri negri". Poi pero' i primi operai erano stati scoperti troppo presto.

"E' la contrazione di mercato bellezza"
La saga va avanti dal Settembre 2013, quando una prima mandata di sette metalmeccanici iscritti al DISK e' stata licenziata. Di liquidazioni durante l'estate ne erano state annunciate 33; ma tolti i contratti a tempo determinato che finivano, e i licenziamenti per assenze prolungate ingiustificate, casualmente restavano soltanto i lavoratori del DISK. Il DISK aveva quindi contattato la CISL, sindacato di maggioranza in Italia, che dal responsabile della Ferroli Roberto Donini(2) aveva incassato la solita spiegazione dei tempi moderni: crisi e contrazione di mercato. Pero' casualmente l'unico dei sette licenziati a venire reintegrato, Cem Keskin, era l'unico che aveva accettato di lasciare il DISK; e attrettanto casualmente, la "contrazione di mercato" non aveva impedito di assumere altri 60 lavoratori. Pero' stavolta le assunzioni erano sotto Tasharona, un sistema che permette di assumere a tempo determinato e sotto subappalto (quindi tramite un’agenzia responsabile di trattare direttamente coi lavoratori, la Makintek Engineering, senza tante grane ne' garanzie) operai generici che per 280 euro fanno di tutto, dalla catena di montaggio alla pulizia dei bagni.

La protesta del Disk, il sindacato turco: "Ferroli contro la legge"
Una situazione “inaccettabile”, ha commentato il DISK in un comunicato stampa sulla vicenda, sottolineando come il comportamento della Ferroli vada contro le convenzioni internazionali dell’ILO ma anche contro la Costituzione turca, oltre che contro il diritto sindacale del paese. Denunciando le tattiche deterrenti adoperate dal management della Ferroli contro il sindacato, il DISK si e’ riferito con parole pesanti riguardo al caso di Ali e degli altri dipendenti: “La Ferroli ha l’obbligo di attenersi alle linee guida dettate dall’OCSE per le imprese multinazionali, che riconoscono il diritto dei lavoratori di divenire membri di un sindacato; quanto al rispetto della dignita’ e dei diritti dei lavoratori, e’ bene rammentare che in Turchia sono in vigore le convenzioni n. 87 e 98 per quanto riguarda il diritto al negoziato collettivo”, si legge nel comunicato del DISK. Nell’esortare la sede italiana della Ferroli ad assicurarsi che il proprio management si attenga alle regole base del diritto: “La Legge n. 6356 sulle relazioni in sede lavorativa chiarisce come nessun lavoratore possa essere licenziato come ritorsione per attivita’ o affiliazione sindacale; e ancora, l’articolo 118 del Codice Penale turco n. 5237 detta chiaramente il divieto di violenza e repressione nei confronti di un lavoratore per costringerlo a dimettersi dal sindacato. Per questo reato in particolare sono previste pene dai sei ai 24 mesi di detenzione”.

Ad un certo punto il gioco si fa pesante
Contattato sia per mail che per telefono, e non senza reticenze a rispondere, il responsabile della Ferroli Roberto Donini ha ribadito che i licenziamenti erano avvenuti in maniera trasparente, che c'era crisi, che la situazione politica e' incerta (eh gia', adesso i licenziamenti in un paesino a piu' di due ore da Istanbul sarebbero per colpa delle proteste di Gezi....) e che recarsi a Duzce non aveva senso perche' di responsabili, sul suolo turco, non ce ne sono. Strano, pero', che i lavoratori licenziati siano stati vittima di pressioni e abusi da parte di non uno, ma ben tre managers, che esistono abbastanza da avere un numero di telefono e venir chiamati "dirigenti" dal portiere della Ferroli a Duzce. La prima, Elcin Tuncel, manager della produzione; e la seconda, Ayhan Ozel; si sono addirittura prese la briga di visitare gli operai a casa per ricattarli prima del licenziamento, almeno stando a quanto riporta il portavoce del DISK-Metalmeccanici, Eyup Ozer, e secondo quanto riferito nelle deposizioni dei lavoratori coinvolti, che hanno intentato sia una causa di lavoro che una causa penale contro le managers. Le quali – sempre stando a quanto denunciato nelle cause in corso - avrebbero rivelato persino una certa energetica immaginazione nelle forme di abuso. Secondo quanto denunciato dal DISK la Ayhan, per esempio, si sarebbe prima presa la briga di ricattare la moglie di uno degli operai, incalzandola perche' convincesse il marito a cancellare l'iscrizione; a un'altro ha direttamente lasciato i soldi per l'atto notarile di cancellazione dal sindacato (30 euro, un decimo di stipendio) sul tavolo di casa sua - soldi restituiti con sdegno. In un altro caso, ha cercato di terrorizzare uno degli operai sindacalizzati facendo il nome del boss mafioso locale, Zekerya Korkmaz Beshyuz, e aggiungendo "Sai, sei fortunato che non mi sono ancora rivolta a lui nel tuo caso...". E del resto riferisce il DISK che la Ferroli ha gia' dimostrato di sapersi muovere all'interno delle opache dinamiche di Duzce: dopo aver provocato danni ambientali sul territorio, e' riuscita ad evitare la multa di 23mila euro (cambio approssimativo, visto che la lira turca continua a scendere) assumendo il fratello del responsabile ambientale di Duzce.

La solidarietà tra i lavoratori
Donini insiste che la Ferroli ha piena fiducia nell'operato dei suoi tre dirigenti (quelli che inizialmente non esistevano), che il sindacato (la CISL in Italia, perche' il DISK turco abbiamo capito che non deve avere voce in capitolo) e' stato coinvolto nei licenziamenti, e che gli operai licenziati non verranno reintegrati per nessun motivo. E cosi' per esempio, la Ferroli va avanti senza manutenzione da mesi: il team leader e responsabile dei macchinari e' a casa da mesi. Assumerne un altro metterebbe la Ferroli nella scomoda posizione di dover rispondere a un giudice dell'arbitrarieta' del licenziamento; e quindi, pur di giustificare la ritorsione contro un operaio colpevole di iscrizione al sindacato, la Ferroli tira a dritto. Si fermano le macchine e si ripara sottobanco. Questione di crisi. Una crisi che permette alla Ferroli di pagare fra i 300 e 400 euro per un operaio specializzato con 4 o 5 anni di anzianita' grazie alla lira che, dopo Gezi, vale la meta'; e che garantisce l'uso gratuito o a ribasso del sito della fabbrica, grazie alle concessioni e agevolazioni fiscali del governo Erdogan per le fabbriche straniene che aprono in Turchia.

La "contrazione di mercato" della Ferroli si chiama quindi, semplicemente, solidarieta' fra lavoratori che hanno deciso di lottare perche' i propri diritti legali venissero tutelati da un management all'italiana che cerca un suo Bangladesh nella periferia turca. Senza sapere che esistono regole, leggi, e una forte tradizione sindacale fra lavoratori che resistono agli attacchi neoliberalisti contro i diritti collettivi di chi lavora - anche quando resistere vuol dire non poter portare in casa lo stipendio, o farsi spaccare la schiena all'imballaggio pur di non mollare il sindacato. Perche' raggiungere quel 50% piu' uno di sindacalizzati in fabbrica vuol dire poter contrattare insieme. E' per questo che gli operai licenziati hanno preferito far causa alla Ferroli anche a costo di affamare la famiglia. Pero' la faccenda della Ferroli non e' soltanto questo, occorre fare attenzione: la Turchia e' qui all'angolo. Di fatto, tolta la facciata (che neanche e' tanto facciata) di Twitter e repressione, il paese e' gia' dentro l'Europa quando si tratta di mercato del lavoro, di produzione detassata, di libera circolazione della merce.


Non solo Ferroli, anche Zegna
Soltanto pochi mesi prima della Ferroli, anche la Ermenegildo Zegna, dopo la solita trafila di pressioni di ogni tipo, aveva espulso sette lavoratori per aver chiesto che gli accordi venissero rispettati; tutto quello che chiedevano era un aumento dello stipendio 'del costo di una camicia'. Il management della Zegna aveva promesso un anno prima che, se i lavoratori si fossero rimboccati le maniche producendo di piu' con lo stesso salario, gli stipendi sarebbero stati rivisti. I lavoratori ci si erano messi di impegno; per pagare affitto e scuola ai figli con una busta paga di 300 euro scarsi al mese si erano cercati un secondo lavoro in altre fabbriche, accettando turni che cominciassero dalle cinque la sera quando staccavano dalla Zegna. Ma una volta aumentata la produzione, ecco congelato lo stipendio. Ancora una volta, "contrazione del mercato. Talmente contratto che non ci rientra neanche il costo di una camicia. E allora ecco che chi si era lamentato fra i colleghi, era stato buttato fuori per dare esempio agli altri. E se non bastasse la Zegna, ecco la Kazova, stabilimento tessile a Bomonti, nel cuore di Istanbul, proprio dove i funerali del piccolo Berkin Elvan, ucciso dalla polizia turca, si sono trasformati in una protesta di massa poche settimane fa. Oggi e' la prima fabbrica occupata e autogestita in Turchia. Ma fino a questa estate, i lavoratori erano stati piantati in asso dal proprietario italiano che, dopo averli fatti lavorare gratis per 4 mesi, aveva direttamente chiuso la fabbrica pensando di cavarsela tenendosi alla larga dal suolo turco. All'inizio i lavoratori avevano semplicemente occupato la sede, con l'idea di tenere i macchinari come riscatto in cambio degli stipendi e della cassa integrazione. Poi, sull'onda di Gezi, l'idea dell'autogestione; le prime sfilate con la solidarieta' dei movimenti, e il rilancio della produzione. Alla fine, intorno a settembre, la vittoria in tribunale: gli operai possono ora considerarsi proprietari degli impianti di produzione. E poi, a Ottobre, la doccia fredda della Ferroli.

Eppure il posto di lavoro non e' una concessione ne' in Turchia ne' in Italia, soprattutto quando i costi continuano a scendere. Piu' che la lira turca crolla, piu' che Erdogan ha la mano pesante su chi protesta, piu' i management alla Ferroli avranno il terreno ideale per spostare le loro fabbrichette a rischio zero. Sostenere i lavoratori della Ferroli di Duzce nella loro lotta per i diritti base significa difendere i diritti dei lavoratori in Italia. Duzce puo' diventare l'arma di ricatto su Verona. Se i diritti dei lavoratori non circolano liberamente quanto la merce attraverso i confini nazionali, le trattative in Italia continueranno a concludersi con l'outsourcing nelle periferie di Istanbul, con l'unica seccatura di mandare la manager a ricattare chi si lamenta. Sosteniamo la lotta per il reintegro da parte dei lavoratori di Duzce. Chiediamo anche noi alla Ferroli che la sindacalizzazione cominciata dal DISK venga permessa nella sede turca, e che gli abusi di managers come Ayhan Ozel, Elcin Tuncel e cesur Sagiroglu non diventino l'esempio per nuove ritorsioni. Da storie come la Ferroli e la Ermenegildo Zegna abbiamo da perdere tutti.

Note:
1. "Ali" e' un nome di fantasia utilizzato per evitare ulteriori ritorsioni da parte della Ferroli
2. La replica del dott. Donini e' stata registrata in data 10 Gennaio 2014 tramite contatto telefonico.

Anna Lena Di Giovanni

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