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Elezioni regionali dell'Emilia-Romagna. La nostra indicazione di voto
15 Novembre 2024
Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna.
Il nostro partito non potrà essere presente a questa competizione a causa delle leggi elettorali antidemocratiche e che impongono un numero esorbitante di sottoscrittori per poter presentare la lista. In questo modo verrà a mancare sulla scheda elettorale la sola forza politica che si è sempre e solo schierata a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori e non si è mai compromessa con accordi di governo sia a livello locale che nazionale contro i loro interessi.
Il significato politico di queste elezioni va oltre l’ambito regionale e assume un significato nazionale.
Anche se è molto probabile una riconferma del centrosinistra alla guida della regione, essa come le altre che si stanno svolgendo, dalla Liguria all’Umbria, entra nel confronto tra il governo e l’opposizione in un quadro di rafforzamento del carattere bipolare del quadro politico.
Dalla parte del governo si cercano di rafforzare le basi di consenso ad una linea politica che, al di la della becera propaganda postfascista, raccorda una politica economica molto attenta alla contabilità degli interessi del grande capitale imperialista e di Confindustria, oltre che compatibile con i dettami europei, all’insegna dell’equilibrio dei conti pubblici, con un percorso di torsione autoritaria nei confronti del più ampio spettro delle mobilitazioni sociali, e che colpisce in prima battuta lavoratori, sindacalisti, migranti, studenti, attivisti per la Palestina e per l’ambiente (DDL 1660).
Questa torsione autoritaria rappresenta oggi un pericolo immediato per le ragioni di tutti i settori oppressi della società, ed è per questo che il Partito Comunista dei Lavoratori è impegnato nella costruzione unitaria, con altre forze politiche e sindacali, di ogni possibile mobilitazione per combatterla.
Dal lato dell’opposizione liberale, dietro lanci propagandistici di misure quali, ad esempio, il salario minimo o gli investimenti nella sanità, misure che questa parte politica si è ben guardata dal varare quando era al governo, e una postura di opposizione democratica nei confronti della gestione dei flussi migratori (caso Albania) e contro i decreti sicurezza del governo, laddove su entrambi i fronti PD e M5S non possono certo dire di avere la coscienza a posto, i risultati elettorali eventualmente favorevoli sono posti sul piatto di un accreditamento presso quello stesso grande capitale imperialista come compagine più credibile e seria di governo rispetto alla destra postfascista.
Insomma, in gran parte, il confronto tra governo e opposizione si riduce a un teatro degli equivoci, a una lotta tra concorrenti a rappresentare i medesimi interessi della classe capitalista, e dove perciò nessuna delle due parti porta avanti i bisogni di milioni di salariati che rimangono ancora privi di una propria rappresentanza politica.
A livello locale le differenze tra le posizioni dei due poli si fanno ancora più sottili.
A ruoli invertiti, qui in Emilia-Romagna è il centrosinistra a rappresentare ed assicurare la continuità di governo, mentre il centrodestra punta soprattutto a una vittoria dell’alto valore simbolico e, come abbiamo detto, da spendere nei rapporti di forza tra governo e opposizione a livello nazionale.
Proprio l’Emilia-Romagna rappresenta un modello di governo compatibile e fruttuoso per gli interessi capitalistici.
Una regione, quella emiliano-romagnola, governata da sempre dal PD e dai suoi alleati, e che si avvicina il più possibile a una gestione dell’amministrazione pubblica funzionale al grande capitale e alla piccola e media industria. In altri termini, all’interesse medio e trasversale del capitalismo emiliano.
La risultante di questa conduzione politica sono stati negli anni la speculazione edilizia, la cementificazione e il consumo di suolo, responsabili insieme al mancato intervento contro il dissesto idrogeologico dei grandi disastri dovuti alle recenti alluvioni.
Ma la cornucopia per il capitale non è finita qui: grandi opere inquinanti, privatizzazioni, soprattutto in tema di sanità, precarizzazione del lavoro sono altrettanti capitoli dell’autentica rapina subita dalle classi popolari italiane a tutto vantaggio di padronato e finanza in un territorio peraltro colpito da numerose crisi industriali e da un vertiginoso rincaro dei prezzi.
Persino sul terreno dell’edificazione della rapina sociale futura l’Emilia-Romagna si è distinta. Il suo governatore, Bonaccini, è stato infatti tra i primi promotori dell’autonomia regionale differenziata, ossia la secessione dei ricchi, seppur in salsa emiliana. Oggi il passaggio al contrasto dell’attuale legge varata dal governo, contrasto che però si limita a una volontà di emendamento e non di abrogazione, come invece vogliono i sottoscrittori del referendum, non cancella le responsabilità di un’amministrazione che persino su questa base si è posta in posizione ancillare nei confronti dei grandi interessi capitalistici.
L’Emilia-Romagna, perciò, viene esibita dal PD e dai suoi alleati come esempio di “buon governo”, di fruttuosa amministrazione e gestione dei conti pubblici anche in funzione di un accreditamento per il governo nazionale. Bisogna però vedere a quale altare si portano i propri doni. In questo caso è chiaro: il capitale e le banche.
Il centrodestra, che parte svantaggiato, non ha sostanzialmente un programma di governo diverso. Dal punto di vista degli interessi che tutela, la linea di fondo dell’attuale amministrazione può essere completamente riciclata. Il significato politico sarebbe porre l’eventuale affermazione, come abbiamo detto, sul piatto dei rapporti di forza tra governo e opposizione nazionali in funzione di un ulteriore rafforzamento del governo Meloni.
In definitiva scegliere tra De Pascale, centrosinistra, e Ugolini, centrodestra, è come scegliere tra il gatto e la volpe. Le lavoratrici e i lavoratori emiliano-romagnoli non hanno nulla da guadagnare, e purtroppo tutto da perdere, dalla vittoria di uno dei due.
Se spostiamo lo sguardo a sinistra, troviamo la lista "Emilia-Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro", che candida Federico Serra e che è sostenuta da Potere al Popolo, Partito Comunista Italiano e Rifondazione Comunista.
Questa lista, in contrapposizione sia al centrodestra che al centrosinistra, si presenta con un programma pieno di buoni propositi. Però rileviamo come, per essere un programma anticapitalista e non meramente riformista, manchi il protagonismo della classe lavoratrice e delle organizzazioni che vi fanno riferimento, la nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende che licenziano, inquinano e ledono l’incolumità dei lavoratori, il controllo operaio delle condizioni di sicurezza sul lavoro e sugli uffici di collocamento. Insomma, mancano le fondamentali parole d’ordine di classe nella direzione di una piattaforma rivendicativa unificante al servizio della costruzione del più ampio fronte unico della classe lavoratrice.
Inoltre, il passaggio sul sostegno alla causa palestinese non è chiaro: infatti non compare la rivendicazione della liberazione del territorio palestinese dal fiume Giordano al mare, e un appoggio chiaro alla resistenza sia in Palestina che nel Libano. Ciò accade a causa dell’attardarsi di forze come Rifondazione Comunista e del PCI sulla rivendicazione dei due stati per due popoli, rivendicazione oggi evidentemente fuori dalla storia, invisa alla resistenza palestinese e invece significativamente sostenuta tanto dal PD che dalla destra filosionista. Non certo una bella compagnia.
Ciò che vogliamo porre in discussione però non riguarda la caratura più o meno di sinistra del programma, che in realtà rischia di rimanere lettera morta. Un programma, per quanto radicale, procede zoppicando sulle gambe di organizzazioni politiche su cui non si può fare affidamento.
Il punto è che bisogna mettere alla prova questi partiti facendo un bilancio della loro condotta precedente, della coerenza o meno del loro posizionamento politico.
In questo bilancio, che questi partiti non fanno, ma che noi abbiamo il dovere di chiarire agli elettori di sinistra, deve essere posta la partecipazione a governi nazionali e locali in coalizione con partiti borghesi, e nella fattispecie con il PD.
Avviene ancora oggi che il PRC sia presente in coalizioni che comprendono il PD in molte giunte locali del territorio Emiliano Romagnolo (ad esempio Forlimpopoli e Bertinoro).
L’attitudine alla ricerca di un compromesso con quelle stesse forze che in queste elezioni in termini del tutto propagandistici si dice di voler combattere è tanto più dimostrata dal tenore della discussione congressuale che sta lacerando Rifondazione Comunista e che è imperniata intorno alla possibile alleanza con il PD.
I riferimenti internazionali di queste forze politiche rafforzano, se possibile, l’impressione di ambiguità della loro collocazione politica.
L’infatuazione per il governo Tsipras e Syriza, che tradì il movimento di massa che aveva detto un grande no al referendum sulle misure della troika UE-BCE-FMI, l’ammirazione per il governo PSOE-Podemos che ha aumentato a dismisura la precarietà lavorativa, proseguito le politiche persecutorie nei confronti dei migranti dei governi precedenti e ha aumentato le spese militari. Governi di “sinistra” che hanno finito per tradire le ragioni sociali della loro esistenza.
Ma forse ciò che attrae di più l’ammirazione nei confronti di queste sinistre è proprio il loro essere di governo, ossia esemplificare perciò l’esito sperato della propria condotta politica, la possibilità di conseguire un risultato elettorale utile alla negoziazione di un accordo con il centrosinistra con un successivo sperabile sbarco al governo.
Per tutti questi motivi vogliamo parlare chiaro ai compagni, elettori, iscritti e militanti di queste formazioni politiche, e chiedere loro se al di là dei proclami che valgono lo spazio di una campagna elettorale, si possa riporre fiducia in dirigenti che proseguono la china già contrassegnata da innumerevoli disastri: quello della ricerca di un accordo con il centrosinistra per strappare magari uno strapuntino nel cosiddetto “campo largo”. Se non sia giunto il momento di rifiutarsi di farsi prendere per il bavero ed invece incalzare i propri dirigenti per indurli ad una virata di 180 gradi verso la lotta di classe e la prospettiva del governo delle lavoratrici e dei lavoratori, terreno sul quale troveranno il Partito Comunista dei Lavoratori sempre disponibile alla massima unità d’azione.
Ai compagni che ci obbiettano che un voto a sinistra sarebbe un segnale politico in quella direzione rispondiamo che nessuna lista rappresenta coerentemente gli interessi della classe lavoratrice e dei settori oppressi e svantaggiati della società emiliana
Il centrodestra e il centrosinistra sono due cavalli per uno stesso scudiero: il grande capitale.
La lista di sinistra vuole conseguire un risultato, che, al di là dei buoni propositi, se positivo, finisca nel paniere da spendere al tavolo del campo largo, ossia quel campo a guida PD autentico architrave della governabilità borghese.
Pertanto, diamo indicazione di astensione al voto, e al contempo invitiamo le compagne e i compagni, le lavoratrici e i lavoratori, e tutte le organizzazioni che vi fanno riferimento a costruire il più ampio fronte unico della classe lavoratrice, l’unico che basandosi su una piattaforma rivendicativa anticapitalista, possa rovesciare lo svantaggio nei rapporti di forza con la classe capitalista e aprire una stagione nuova.
Una stagione nuova le cui conquiste possano essere portate avanti e garantite non da un governo di quel o quell’altro colore, ma da un governo di tipo nuovo: il governo delle lavoratrici e dei lavoratori.