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#1 Il lavoro è autodeterminazione

Nessuna elemosina di cittadinanza!

15 Febbraio 2019

Verso l'8 marzo

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Uno dei fondamenti dell’attuale sistema economico capitalista è l’accettazione della povertà come fattore intrinseco al sistema e inevitabile stato naturale delle cose. Tale visione è ovviamente utile al capitale per continuare a perpetuarsi, mantenere inalterati i rapporti tra classi sociali e riprodurre la povertà come strumento di sfruttamento degli esseri umani.
In una società basata sullo sfruttamento di una classe sull’altra, non stupisce che le donne sperimentino due livelli di oppressione, di genere e di classe, in termini economici, culturali, politici, sessuali e lavorativi. Non stupisce che subiscano violenze di ogni sorta dentro e fuori la famiglia, dentro e fuori il posto di lavoro.
Fin quando in una società ci sarà spazio per una qualsiasi forma di sfruttamento, possiamo essere sicure che la donna sarà la prima a subirlo. Pertanto dobbiamo rigettare con forza ogni organizzazione sociale che produce sfruttati e sfruttatori, che produce povertà in nome del profitto e ogni pensiero politico che accetti la povertà e la divisione in classi come un dato di fatto.
Come donne dobbiamo rigettare inoltre con forza tutte quelle soluzioni intermedie che non risolvono il problema alla radice e di sicuro non impensieriscono gli sfruttatori. Basta disperdere le lotte delle donne in mille rivoli che presi singolarmente sono condannati all’insignificanza. È ora di riconoscere che i problemi delle donne hanno un unico comune denominatore: la società patriarcale e in ultima analisi lo sfruttamento da parte del sistema capitalista. Patriarcato e capitalismo vanno a braccetto e vanno abbattuti insieme.
Lottiamo per una società libera dalla povertà e dallo sfruttamento, vogliamo le donne libere dall’uomo e tutti e due liberi dal capitale. Per queste ragioni riteniamo di primaria importanza l’indipendenza economica delle donne dagli uomini come il primo passo verso la liberazione dalla schiavitù imposta da questo sistema economico e la necessità imminente di recuperare tutti quei diritti che ci sono stati tolti dalle riforme del lavoro e dello stato sociale.
La soluzione è un reddito di cittadinanza o autodeterminazione? Assolutamente no. La truffa del reddito di cittadinanza proposto da questo governo dimostra che non è tramite un’elemosina che la donna può emanciparsi. Un’elemosina statale per mantenere la donna confinata entro quattro mura non farà altro che accrescere la violenza patriarcale che la vede dispensatrice di forza lavoro gratuita e ora forse destinataria anche di un reddito su cui il pater familias non esiterà a mettere le mani. Il reddito di cittadinanza proposto dal governo Lega-M5S, lungi dall’emancipare le donne, le lega ancor più strettamente al nucleo familiare e a eventuali partner violenti.
Non è di elemosine che hanno bisogno le donne. È di lavoro. E più precisamente di un lavoro dignitoso, in cui vengano ripristinati quei diritti che sono stati tolti a tutti e tutte, ma la cui assenza si fa più acuta tra le donne. Per questo invece di un reddito di cittadinanza, pretendiamo il ripristino dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. È il lavoro, non una generica assistenza pubblica, che garantisce alle donne la possibilità di autodeterminarsi, oltre a un welfare che preveda la socializzazione dei compiti di cura (#3), l’autonomia riproduttiva (#4), l’accesso all’istruzione e alla formazione professionale (#5) e il diritto alla casa (#6).


Rivendichiamo:

- L’abolizione del reddito di cittadinanza così come concepito da questo governo misogino e la sua sostituzione con un dignitoso salario di disoccupazione, pari ad almeno 1200 euro o all'80% dell'ultimo stipendio. Il reddito di cittadinanza prevede l’accettazione di lavori di qualsiasi tipo e con qualsiasi retribuzione anche a notevole distanza dalla residenza, pena l’esclusione da questa elemosina di stato. Parallelamente però lo stato fornirà incentivi ai datori di lavoro che assumeranno i destinatari del reddito. Di fatto quindi il reddito di cittadinanza non è che un’ulteriore scusa per versare carrettate di denaro pubblico in tasche private, sempre le stesse, escludendo dal mondo del lavoro più appetibile (perché incentivato) le donne e gli uomini che non avranno la possibilità di accettare queste condizioni capestro.

- L’abolizione del Jobs act e del decreto sicurezza. L’assenza di diritti sul posto di lavoro ci pone in condizione di continuo ricatto da parte dei padroni e non ci garantisce la necessaria indipendenza economica dalla famiglia naturale o acquisita, così come non ci consente un percorso di vita autonomo. Una legge che ha cercato di venderci lo smantellamento dei diritti (abolizione dell’art. 18) in cambio di assunzioni con contratto a tempo indeterminato la cui entità si è rivelata molto modesta rispetto ai licenziamenti senza giusta causa e all’utilizzo spropositato di forme contrattuali precarie come voucher o contratti a termine. Ciò che è risultato invece rilevante sono i 10 miliardi di euro di sgravi fiscali alle aziende che sono venuti meno nelle casse dell’INPS e che i lavoratori e le lavoratrici dovranno pagare. In poche parole si finge di combattere la precarietà precarizzando anche i contratti stabili. E il nuovo governo? Conferma e rafforza lo smantellamento dei diritti, criminalizzando le lotte sindacali, rendendo illegali scioperi e blocchi stradali, togliendo di fatto il diritto di protestare a chi lavora. Non pago, questo governo reazionario e misogino ci regala il “diritto” di lavorare fino al nono mese di gravidanza, condizioni che non si vedevano dall’Ottocento e dai romanzi di Dickens.

- Abolizione di ogni forma di precarietà e di flessibilità, che sono solo strumenti in mano al padronato per sfruttare ancora più intensamente lavoratrici e lavoratori, utilizzandoli secondo le proprie esigenze. Abolizione del lavoro precario, delle false partite IVA, dei tirocini non pagati e di tutte le forme di lavoro gratuito, del lavoro in somministrazione, dei part-time involontari, la chiusura di quella vergognosa forma di caporalato legalizzato che sono le agenzie interinali, imprese che fanno profitti sulla pelle di chi non ha un lavoro. Abolizione delle esternalizzazioni, appalti e privatizzazioni e ripubblicizzazione dei servizi. Abolizione del lavoro festivo e domenicale, tranne che per i servizi indispensabili. Il lavoro senza diritti è schiavitù.

- La reintroduzione ed estensione dell’articolo 18 a tutti e tutte i lavoratori dipendenti. L’abolizione dell’articolo 18, passata sotto il silenzio e la complicità dei sindacati, ha dato mano libera al padronato per licenziare impunemente e ha intensificato enormemente lo sfruttamento su lavoratori e lavoratrici. La possibilità di licenziare agevolmente rende ancora più forte il padrone e più ricattabile la lavoratrice all’interno del rapporto di lavoro, dando origine a vere proprie forme di schiavitù salariata. È sempre più difficile chiedere condizioni di lavoro migliori, lottare per i propri diritti, reagire a eventuali molestie o mobbing. Il potere di ricatto è totale. Ma reintrodurre l’articolo 18 non basta. È necessario estenderlo anche a tutte quelle realtà medio-piccole che vedono impiegate in particolare le donne. Non ci sono lavoratori di serie A e di serie B. Senza una tutela seria del posto di lavoro, senza il ripristino di un diritto fondamentale come l’articolo 18, tutte le chiacchiere sulla tutela della maternità e la promozione dell’occupazione femminile sono inutili.

- Lotta alla schiavitù, al caporalato e alla violenza fisica e sessuale di cui sono vittime molte lavoratrici, tra cui anche le donne immigrate (badanti, braccianti) provenienti da paesi di nuova colonizzazione o in guerra, le quali vengono considerate come oggetti, rinchiuse come animali e sottoposte ad ogni forma di violenza sotto gli occhi compiacenti delle forze dell’ordine e il silenzio di gran parte della società civile.

- L'adeguamento dei salari a valori dignitosi: non si può vivere una vita che abbia questo nome se il salario minimo mensile è sotto 1500 euro, siamo destinate a una vita da povere che lavorano, soprattutto quando si rompono i legami familiari. Inoltre è necessaria una normativa che garantisca la parità di salario a lavoro eguale.

- Nazionalizzazione sotto il controllo operaio e senza indennizzo per le imprese che chiudono, inquinano o delocalizzano.

- Altro che quota 100, vogliamo poter andare in pensione! I requisiti pensionistici nel famoso provvedimento del governo in realtà sono uno schiaffo alle donne che, caricate dei compiti di cura di anziani e bambini non riusciranno mai a totalizzare gli anni di contributi necessari per vedersi riconosciuta la pensione. Le donne infatti raggiungono in media 25 anni di contributi, ben lontani dai 38 previsti dal governo. L’opzione donna, poi, è proprio una beffa, che consente alle donne di andare pensione a 58 anni ma solo versando un obolo allo stato in media del 30/40% su quanto spetta loro, fino anche al 50% in meno rispetto a quanto prenderebbero con i requisiti normali. Una prospettiva che destina le donne alla povertà e alla dipendenza.
A differenza di quanto deciso dai provvedimenti di questo governo, rivendichiamo il ritorno al sistema retributivo e che la pensione, come lo stipendio, debba essere equiparata al reale costo della vita per garantirci benessere, l’indipendenza economica e la possibilità di curarci adeguatamente.

- Abrogazione della Legge Fornero. L’abbassamento dell’età pensionabile sulla base del riconoscimento ed ampliamento di tutti quei lavori maggiormente usuranti. Bisogna andare in pensione con 60 anni di vecchiaia e 35 di anzianità, con la possibilità per le donne di avere riconosciuto il maggiore carico di vita. Il capitale e lo stato spremono le lavoratrici e i lavoratori fino all’ultima goccia di sangue. È paradossale che le donne proletarie, le quali svolgono in genere lavori usuranti e sottopagati, nell’età in cui il lavoro dovrebbe essere terminato si trovino spesso ad accudire famigliari e nipoti mentre parallelamente lo stato taglia i servizi pubblici ad anziani e bambini privatizzandoli, rendendoli così economicamente inaccessibili alle classi sociali più deboli e privandole di fatto del diritto alla salute e all’assistenza. E scaricando tutto il welfare sulle donne.

Partito Comunista dei Lavoratori - commissione oppressioni

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