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Caso Carige: bugie a 5 stelle

10 Gennaio 2019
carige


Il caso Carige documenta una volta di più l'ipocrisia a 5 Stelle.

Dopo il voltafaccia sulla TAP, l'apertura agli aerei da guerra F-35, il plauso al decreto Salvini contro i migranti, la capitolazione al Fiscal compact, la progressiva trasformazione del reddito di cittadinanza in un incentivo alle imprese, la cancellazione delle promesse sulla limitazione del lavoro festivo nella grande distribuzione... il M5S ricalca le orme del passato anche in fatto di banche. L'intervento a sostegno di Banca Carige è emblematico.

Luigi di Maio grida che “non è vero”, “non abbiamo messo un euro di soldi pubblici in Carige, e se mai dovessimo farlo la nazionalizzeremo”, “non sarà come Banca Etruria perché noi salviamo tutti gli obbligazionisti”... ecc. ecc. Solo che l'arte teatrale della sceneggiata napoletana meriterebbe un migliore interprete.

“Non abbiamo messo un euro di soldi pubblici” è un falso. Il governo ha messo una pubblica garanzia di tre miliardi come copertura sui nuovi bond della banca. Cosa sono se non soldi pubblici? Se i bond non ottenessero soddisfazione sul mercato finanziario, il governo si impegna a coprire le perdite col ricorso al bilancio pubblico, oltretutto attingendo dai fondi stanziati a favore delle banche dal precedente governo Gentiloni. Inoltre, il fatto stesso della garanzia pubblica mira a favorire il successo di mercato dei bond in questione, incoraggiando il loro acquisto (altrimenti assai difficile quando i tassi di interesse sui bond Carige sono saliti al 16% e il ritorno del prestito assai dubbio). Dunque la garanzia pubblica è a vantaggio degli azionisti, a partire dai grandi azionisti che hanno portato la banca sulla soglia del collasso. Soldi pubblici, profitti privati, proprio come in passato. Non a caso il commissario Modiano ha dichiarato: “La garanzia statale è molto utile, molto gradita”. Non c'è ragione di dubitarne.

“Se mai mettessimo dei soldi pubblici, nazionalizzeremmo la banca” è un altro falso. Naturalmente non si può escludere che la garanzia pubblica offerta sui bond si riveli insufficiente e sia necessario ricapitalizzare la banca. E non si può escludere in quel caso che il governo partecipi con risorse pubbliche alla ricapitalizzazione, cioè che il governo possa comprare azioni entrando direttamente nel capitale della banca. Sarebbe questa una nazionalizzazione? No, sarebbe rimborsare azionisti fallimentari con soldi pubblici, per salvare altri azionisti privati con cui condividere la gestione della banca. La cosiddetta nazionalizzazione è solo una socializzazione delle perdite a carico del bilancio pubblico e a vantaggio dei profitti privati: un'operazione fatta centinaia di volte negli ultimi dieci anni di crisi capitalistica a tutte le latitudini del mondo. Per di più, in base alla normativa della UE, lo stesso ingresso dello Stato nel capitale della banca può essere solo provvisorio, in attesa di rivendere le azioni pubbliche agli azionisti privati (Monte dei Paschi ad esempio dovrà cedere ai privati le partecipazioni del Tesoro nel 2021). Che i liberali borghesi, inorriditi, denuncino tutto questo come “nazionalizzazione statalista” fa parte di una lunga tradizione. Che Luigi Di Maio ne approfitti per presentarsi come nemico dei banchieri fa parte invece più semplicemente della truffa.

“Noi salveremo in ogni caso tutti gli obbligazionisti” è infine semplicemente una battuta.
Carige non ha infatti obbligazioni subordinate da due anni, a differenza di altre banche, e solo gli obbligazionisti subordinati sono penalizzati in caso di salvataggio pubblico. Quindi Di Maio si vanta di proteggere... nessuno. La verità è che i piccoli azionisti Carige sono già stati affondati dai grandi azionisti della banca, la famiglia Malacalza in testa, con il valore di un'azione crollato a 0,0015 euro. Ma ai grandi azionisti della banca ligure (Malacalza al 27,55%, Volpi al 9,09%, Mincione al 5%) poco importa. Loro contano di continuare a galleggiare o rilanciarsi, grazie al prestito di 320 milioni recentemente sottoscritto dal sistema bancario italiano (una sorta di cassa di resistenza dei banchieri), sempre sgomitando gli uni contro gli altri per la difesa delle rispettive quote. Non a caso Malacalza non ha esitato a opporsi alla trasformazione del prestito interbancario (i 320 milioni) in nuova capitalizzazione, per paura di perdere la propria quota di controllo sulla banca e di vederla precipitare (dal 27% al 5%).

L'attuale commissariamento BCE impone semplicemente una tregua forzata tra i grandi azionisti pescecani per salvare la loro nave dai marosi. Il governo SalviMaio ha offerto a questo salvataggio i soldi pubblici, come tutti i governi del passato. Se infine la banca fallirà, il costo sarà scaricato su ciò che resta di piccoli risparmiatori e correntisti, sopra i 100.000 euro, secondo la regola immutata del bail in, e sui lavoratori e le lavoratrici di Carige. E magari le ossa spolpate della banca saranno svendute a qualche grande banca concorrente, com'è accaduto con le banche venete fallite regalate a 1 (uno) euro a Banca Intesa.

Solo la nazionalizzazione delle banche senza indennizzo per i grandi azionisti, e la loro unificazione in una sola banca di Stato, può sottrarre il credito ai pescecani del profitto, proteggere i correntisti e i piccoli risparmiatori, difendere i lavoratori delle banche, destinare i soldi pubblici a finalità sociali.
E solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici potrà realizzare questa misura.

Partito Comunista dei Lavoratori

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