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Corinaldo: non esistono capitalismi buoni

Il profitto, ancora una volta, alla base della tragedia

10 Dicembre 2018
corinaldo


La notte tra venerdì 7 e sabato 8 dicembre, a Corinaldo, in provincia di Ancona, si è consumata una strage.
La discoteca Lanterna Azzurra ha venduto 1.400 biglietti per il concerto del trapper Sfera Ebbasta.
Un pubblico soprattutto di minorenni, giovani al punto da essere accompagnati dai genitori fin dentro la discoteca. Il locale si suddivide in diversi vani, e la sala principale, quella che ha ospitato il cantante col relativo pubblico, dispone di una capienza massima di 469 persone. Numero scandalosamente inferiore a quello dei biglietti venduti. Il sito ticketone.it (multinazionale tedesca Cts Eventim, già nel mirino dell’Antitrust) non ha badato a limiti. Ma ancora meno ha badato la direzione del locale che, davanti alla folla sproporzionata, avrebbe dovuto porre il divieto d’accesso con risarcimento dei biglietti venduti.

Ma il capitalismo delle multinazionali e quello dei piccoli esercenti di provincia si comporta allo stesso, criminale modo: perseguire il massimo profitto, facendo carta straccia di leggi e normative quando queste si rivelano d’intralcio.

Il risultato è l’orrore. In seguito all’emissione di un gas urticante da parte di uno o più astanti (espediente, per altro, sempre più diffuso in occasioni simili per rubacchiare nel panico), l’aria si è fatta irrespirabile e la folla si è precipitata fuori per le uscite di sicurezza, una delle quali sbarrata. Il peso insostenibile delle persone ha fatto cedere le balaustre, e qualcuno è scivolato finendo schiacciato dalla calca, perdendo così la vita.

Una tragedia annunciata: tra i 14 e i 20 anni, il bilancio è di un centinaio di feriti, dieci in condizioni critiche e sei morti. La sola vittima adulta, Eleonora Girolimini di Senigallia, 39 anni, è morta calpestata nel fuggi fuggi mentre proteggeva la sua bambina di 11 anni, ora in terapia presso gli psicologi, urlando «C’è la piccola!... C’è la piccola!...». Atroce.

Il Ministro dell’Inferno, l’indomani, dal palco di Piazza del Popolo a Roma, ha dedicato un minuto di silenzio alle vittime promettendo che chi sbaglia paga.
Ne siamo sicuri, come ha pagato chi ha sbagliato per il Ponte Morandi e come paga lui in persona e il suo partito tutto per i 50 milioni rubati allo Stato. O, nella sua lingua, al «popolo italiano».

Il dibattito che segue in queste ore è di un’omertà che nulla ha da invidiare alla mafia. E del resto il capitalismo altro non è che mafia costituzionale.

Tutti a ciarlare, dal governo all’opposizione, sull’opportunità o meno del permesso ai minorenni per i concerti, sulla militarizzazione delle discoteche e sull'identificazione del farabutto o la farabutta dello spray.

Non una parola sui primi responsabili del dramma. Non si fanno circolare neanche le generalità del proprietario del locale. E nessuna parola sulla multinazionale che ha venduto i biglietti.

In compenso eccoli scattanti, da Salvini a Meloni, a puntualizzare "così non fan tutti" e che bisogna distinguere chi sbaglia dalla stragrande maggioranza che non sbaglia. Anzi, ci aspettiamo che traducano l’episodio in un elemento di campagna per la flat tax, argomentando che se lo Stato non tassasse i piccoli imprenditori, costoro non si troverebbero costretti ad aggirare le norme per sopravvivere.

Tanti gentili distinguo e moderazione lessicale («sbaglio» in luogo di «crimine pianificato») per assassini poliziotti e imprenditori non si utilizzano però mai quando nel crimine finisce lo straniero.
Figurarsi, poi, se si fa la minima menzione ai casi in cui stranieri, e per di più poveri, e per di più a rischio espatrio dopo il Decreto sicurezza, come un Mustafa El Aoudi, gli omicidi tentati da italiani li sventano!

Non serve essere uno scienziato per porsi la domanda più elementare: «Ma i veri responsabili? Ma i padroni?». Il chiacchiericcio intorno alza una cortina di ferro intorno alla loro responsabilità, giocando alla liquidazione totale, giorno dopo giorno, silenzio dopo silenzio, deviazione dopo deviazione, persino della pensabilità della loro colpa. Anche di questo si costituisce la nuova fase storica.
Il governo sa, del resto, di dovere il proprio appoggio proprio a quei piccoli capitalismi distrettuali: esso stesso ne è parte.

Quand’anche mai questi capitalisti venissero chiamati a processo, coi soldi fatti proprio grazie a queste occasioni, allo sfruttamento legalizzato più quello illegale che emerge solo in casi di drammi, compreranno fior d’avvocati che dimostreranno la loro innocenza o ne allevieranno le colpe. È la giustizia nel capitalismo.
Trasgredire la legge è vitale al padronato anche per farla franca e trasgredirla ancora. Chissà di quante altre infrazioni si comporrà la mancia che la proprietà della Lanterna Azzurra corrisponderà ai propri difensori legali!

La destra populista racconta, ed è idea anche di alcuni ambienti di sinistra, che vi sia un capitalismo cattivo, quello della finanza e dei grandi delocalizzatori, e un capitalismo buono, mite, quasi naturale; che fa il suo senza pestare i piedi a nessuno. Quello della piccola e media borghesia, cioè i piccoli e medi espropriatori.

Il capitalismo, seppure si divide tra capitalismi più e meno ricchi, è un meccanismo identico di spoliazione di ricchezza da parte dei proprietari sulla pelle dei produttori di quella ricchezza, d’ogni genere, materiale e immateriale: i lavoratori, i proletari, la classe operaia.

La strage di Corinaldo sia elemento di riflessione sulla natura di tutti i capitalismi, piccoli e grandi, di oggi e di ieri, e dimostri indelebilemente come, parafrasando una canzone, non esistano capitalismi buoni.

Salvo Lo Galbo

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