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Il razzismo c'è e va combattuto

3 Agosto 2018
razzismo


Una angosciosa domanda tormenta in questi giorno il mondo politico e quello dei mass media: gli italiani sono razzisti?
Sinceramente la domanda in sé sconcerta un po’. Rispondiamo subito: certo che sì!

Spieghiamo meglio. Il razzismo è diffuso in maniera crescente in larghi settori dell’opinione pubblica italiana di ogni classe sociale, compresa, in larga misura, la classe lavoratrice. Non è un fatto nuovo, appartiene alla nostra storia.
Il culmine del razzismo istituzionale fu raggiunto dall'Italia nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali volute dal regime fascista, che indubbiamente aveva un seguito di massa nel paese, anche se probabilmente non maggioritario visto che per governare doveva appoggiarsi sul terrore poliziesco. Le leggi razziali, al contrario di quanto comunemente ritiene la destra liberale, non furono puramente frutto di ossequio all’alleanza con il regime nazista di Hitler, che progettava la soluzione finale per ebrei, comunisti, socialisti, rom, omosessuali e disabili. Esse furono il portato della propaganda imperialista fascista che a sua volta si riallacciava al tradizionale colonialismo italiano, di epoca liberale prefascista, dall’epoca di Crispi a Giolitti.
Non solo. Esse ebbero cotanto di giustificazione scientifica tramite il famoso Manifesto della razza, sottoscritto da esimi dottori, scienziati e professori asserviti al regime (alcuni dei quali conservarono le loro cattedre universitarie anche dopo la caduta del fascismo (è il caso del fisiologo Sabato Visco).
Il suddetto Manifesto, una vergogna indelebile per parte importante della classe intellettuale e accademica italiana, fu pubblicata sulla più importante rivista razzista del regime, "La Difesa della Razza", a cui collaborarono anche intellettuali che divennero successivamente politici influenti della Repubblica italiana antifascista: Giovanni Spadolini (leader del Partito Repubblicano Italiano, Presidente del Consiglio nel 1982) e Amintore Fanfani (tra i massimi dirigenti della Democrazia Cristiana, Presidente del Senato e più volte Presidente del Consiglio tra il 1953 e il 1987).
Uno dei più controversi collaboratori della rivista fu il filosofo e artista Julius Evola, le cui tesi sul razzismo spirituale - oggi diremmo piuttosto culturale, in nome della supposta superiorità della civiltà occidentale variamente intesa - hanno influenzato l’estrema destra italiana nel dopoguerra, andando da Giorgio Almirante, capo del Movimento Sociale Italiano (erede del Partito Fascista Repubblicano a capo della Repubblica Sociale Italiana di Salò) fino all’odierna CasaPound che l'ha eletto tra gli ideologi di riferimento.

Veniamo agli anni più recenti.
Nel 1989 nasce la Lega Nord, che fin da subito, in nome della autonomia della Padania, fa di un virulento antimeridionalismo prima e di una feroce xenofobia poi altrettanti vessilli della propria propaganda.
Visti i successi elettorale e i crescenti consensi popolari, il sistema politico borghese, imperniato sull’alternanza tra il centrodestra berlusconiano e il centrosinistra targato PDS, poi DS e PD, insieme a parte dell’ex DC, procede al suo sdoganamento politico e culturale.
Nel 1995 Massimo D’Alema, l’allora segretario del Partito Democratico della Sinistra, definì la Lega una “costola della sinistra”.
Dal 1994 quasi ininterrottamente la Lega ha costituito una solida alleanza con Berlusconi e le forze politiche di centrodestra, andando al governo nel 1994, nel 2001 e nel 2008.
In ogni occasione ha cercato di promuovere una legislazione anti-migranti, fino alla Legge Bossi-Fini e al reato di immigrazione clandestina.
I successi elettorali della Lega sono via via accompagnati da autentiche provocazioni razziste. Ricordiamo, a solo titolo di esempio, il "maiale day" anti-islamico organizzato dal parlamentare della Lega Roberto Calderoli, o le ronde padane contro gli immigrati.
È una forza di governo, e come tale è omaggiata dai grandi poli massmediatici, Mediaset e RAI, così come da gran parte dell’editoria giornalistica che fa riferimento al centrodestra.
Esimi intellettuali si sforzano di spiegarci, con maggiore o minore compiacimento, che è la natura popolare, anche operaia, della Lega a giustificarne le posizioni provocatoriamente xenofobe quando non razziste. Spesso sono gli stessi che oggi si indignano e si spaventano per la crescita esponenziale dei casi di razzismo in Italia di questa estate.

In realtà il sistema politico borghese di fronte alla crisi di governabilità dovuta alla crisi economica si è appoggiato sulla crescente popolarità della propaganda xenofoba della Lega e della destra nel tentativo di formulare compagini di governo con un minimo di stabilità e con l’obiettivo di dirottare lo scontento popolare verso i settori più deboli della società italiana: i migranti.
Si tratta un vecchio trucco dei regimi reazionari come quello fascista o nazista. Come si vede, il razzismo ha tracciato un filo nero lungo tutta la storia dello Stato italiano del ‘900. Le classi popolari non ne sono state immuni, e solo la riscossa antifascista ha permesso che per una parentesi della storia patria il razzismo sia stato messo ai margini del dibattito politico e culturale.
Nel decennio della grande lotta di classe, dal ’68 al ’77, ci fu l’incontro nelle piazze, nei sindacati, nelle associazioni e nei partiti della sinistra tra la classe operaia del Nord e quella meridionale, che espresse il massimo della combattività. Lo sguardo rivolto alle grandi lotte antimperialiste, come quella del Che Guevara e del popolo vietnamita, immunizzavano la gioventù studentesca e proletaria dai rigurgiti razzisti. La fine di quel ciclo di lotte, il suo riflusso culturale ha favorito la nuova febbre razzista.

Siamo così arrivati al giorno d’oggi: il governo giallo-verde!
La campagna elettorale di febbraio è stata ampiamente infettata dalla propaganda xenofoba contro la presunta “invasione dei migranti” propria della Lega e dell’estrema destra. Ciò ha portato ai fatti di sangue di Macerata, dove un ex militante della lega e dell’estrema destra ha sparato all’impazzata su cittadini di colore. Nei giorni successivi, prima di una grande manifestazione che ha riportato in piazza ventimila antifascisti e antirazzisti, si dimostrava tutto l’imbarazzo e l’ipocrisia del PD, che addirittura ha tentato di vietare, tramite il sindaco della città, quella manifestazione.
Il PD del ministro Minniti, che con il suo decreto (decreto Minniti-Orlando) si vantava in campagna elettorale di aver fermato gli sbarchi dei migranti, manifestava così il proprio cambio di campo sul terreno delle politiche securitarie e xenofobe approdando, come copia sbiadita, alle tesi della destra nel vano tentativo di contenderle consensi.
Del resto, questo atteggiamento è l’eredità dei provvedimenti anti-immigrati voluti dai governi di centrosinistra, che per primi hanno istituito i centri di internamento ed espulsione (allora CPT, poi CIE) e hanno promosso la legge Turco-Napolitano, che introduceva il ricatto del permesso di soggiorno.
Tragico, per inciso, fu il balbettio della direzione dell’ANPI (per fortuna contraddetto da molti circoli di base), che disse prima no e poi sì alla manifestazione, manifestando la sua incapacità di porre argine alla propaganda fascista e leghista.
Altri episodi del genere hanno puntellato la campagna elettorale, che ha infine portato Lega e Movimento 5 Stelle a ciò che è stato pomposamente dichiarato, soprattutto da questi ultimi, il “governo del cambiamento”.

La nomina di Salvini a ministro dell’Interno ha dato un connotato completamente diverso ai primi mesi di governo.
Altro che governo del cambiamento! È il governo della “fine della pacchia”, come l’ha definito Salvini, impegnato in questi mesi in una furiosa battaglia propagandistica contro i migranti, che gli procura consensi e allo stesso tempo legittima le scorribande fasciste.
Quello di Di Maio e del M5S non si può definire altrimenti che un autentico crimine politico: aver portato al Viminale il ministro più a destra dal dopoguerra. A nulla valgono tutte le sottigliezze semantiche che i suoi esponenti di governo usano per tentare di celare questa verità e dimostrare che Salvini e i leghisti non sono razzisti.
Intanto, la destra fascista sguazza nella brodaglia razzista somministrataci puntualmente ogni maledetto giorno da Salvini, che chiude i porti e promuove respingimenti in mare contro ogni norma internazionale e minimo buon senso umanitario, e che invoca le ruspe sui campi rom.
Ci si può poi stupire se un rispettabilissimo e italianissimo ex dipendente del Senato prende la mira con il suo fucile per sparare nella schiena ad una bambina rom?
I fascisti, dunque, si armano e cominciano le loro azioni squadristiche, cosicché dalle ronde padane si passa in questi giorni alle ronde nere. Fascisti, leghisti e patrioti urlano ”prima gli italiani!” sobillando l’elettorato povero e le classi popolari e incitando a scagliarsi contro i migranti, il nuovo capro espiatorio, anche per nascondere la propria corruzione (vedi il caso dei finanziamenti pubblici alla Lega, e il caso dello stadio di Roma per il M5S).
È la dote del governo del cambiamento sbandierato da Di Maio.

Logica vorrebbe che ciò che rimane della sinistra che fa riferimento alla classe lavoratrice e ai movimenti sociali alzasse le barricate. Registriamo invece una grave difficoltà proprio su questo terreno, dovuta sì alla sconfitta politica subita il 4 marzo ma anche al fatto che gran parte di essa, in qualche modo, crede alla bufala di Di Maio.
Al netto di quella parte della sinistra riformista che si è compromessa nei governi di centrosinistra, avallandone le politiche antimigranti (da Liberi e Uguali a Sinistra Italiana), parte importante della cosiddetta estrema sinistra, sindacale e politica, in nome di un farlocco sovranismo, magari a declinazione democratica, della lotta alla UE e all’imperialismo tedesco sull’onda di una variante di sinistra del populismo (da Potere al Popolo alla Rete dei Comunisti), avalla la novità Di Maio, spingendosi nei casi più gravi a giustificarne l’intento di controllo repressivo dei fenomeni migratori, in qualche caso delirando sul fatto che essi sarebbero voluti, se non pianificati, dal grande capitalismo europeo e internazionale per abbassare il costo del lavoro.
Quando vediamo certi compagni manifestare malcelata soddisfazione per le pose nazionaliste del governo giallo-verde nei confronti della UE, sorvolando discretamente sulla natura razzista della sua propaganda, viene la tentazione di descrivere questo atteggiamento parafrasando le parole di August Bebel, fondatore della socialdemocrazia tedesca, poi riprese da Lenin: “il razzismo (originariamente l’antisemitismo) è il socialismo degli imbecilli”.

Purtroppo, natura e scopo di questo governo, contro i lavoratori indigeni e migranti, costituiscono un discrimine sul quale, nei fatti, si infrangono tutte le dotte speculazioni: o di qua o di là, o nemici o complici.
Il governo del ministro degli Interni più razzista del dopoguerra va combattuto senza se e senza ma. Come abbiamo già detto, “invece di farci arruolare dietro le bandiere nazionaliste dei nostri sfruttatori, in una guerra che non ci riguarda e che è fatta contro di noi, è necessario unire in una lotta comune tutti gli sfruttati, di ogni nazione e colore, contro il nemico comune” (1), perché, prendendo a prestito le parole di Martin Luther King (dal quale pure siamo distanti ideologicamente), “può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.”



(1) http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=5963

Federico Bacchiocchi

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