Teoria

Una tragedia greca (seconda parte)

Occupazione, Resistenza e guerra civile nella Grecia degli anni '40

2 Giugno 2018

Pubblichiamo la seconda parte dell'analisi della Guerra civile e della resistenza greche, e del ruolo negativo dello stalinismo - greco e internazionale - all'interno di questo evento centrale della storia europea. La prima parte è stata pubblicata su questo stesso sito il 17 maggio

guerra civile Grecia


IL RUOLO CONTRORIVOLUZIONARIO DELLO STALINISMO

Tace, invece, L'Unione sovietica. Silente rimane il piccolo padre georgiano. Non una parola viene proferita da Molotov e Malenkov. La Stampa moscovita non commenta gli avvenimenti greci. La diplomazia del Cremlino non accenna nessuna iniziativa, né tanto meno leva alcuna protesta formale. Lo stesso Churchill, nelle sue memorie, ricorderà compiaciuto che «Stalin si attiene strettamente e fedelmente al nostro accordo dell'ottobre; durante le lunghe settimane di combattimento con i comunisti per le vie di Atene, neppure una parola di biasimo è apparsa sulla “Pravda” o sulle “Isvestija”» (13). Dimitrov, da Mosca, fa recapitare un messaggio che informa il KKE, che nel quadro della situazione internazionale ogni aiuto ai comunisti è considerato impossibile e li consiglia di abbandonare la loro intransigenza e a ricercare una soluzione “elastica” alla crisi. Ad Atene, la missione sovietica capitanata dal tenente colonnello Popov (lo stesso che nel luglio del '44 aveva invitato i comunisti greci a cooperare con il governo borghese e con gli inglesi) dopo i primi scontri nella città, richiede e riceve la protezione degli inglesi, e si ritira in buon ordine nell'Hotel Gran Bretagna, interrompendo i collegamenti con la direzione del KKE. E poi, proprio nel momento culminante dello scontro ad Atene, l'Urss designa il nuovo ambasciatore, riconoscendo così la legittimità di un governo reazionario impegnato in una spietata repressione anticomunista.

L'indifferenza e il cinismo degli stalinisti del Cremlino si tramuta in aperto tradimento. Il movimento partigiano che gli inglesi affrontano nel duro inverno del 1944, è un grande movimento popolare che ha tenuto testa ai nazisti. Esso è formato, in larga misura dalle classi più povere del paese, cioè da coloro su cui pesava una lunga tradizione di sottomissione e sfruttamento. Ma ora, nelle drammatiche giornate di dicembre, i giovani che hanno sfidato le mitragliatrici della gendarmeria e i lavoratori che sono accorsi per respingere la protervia reazionaria, sono soli. Nessun aiuto arriverà ai partigiani che per tutto il mese combatteranno, strada per strada nei quartieri di Atene e del Pireo. Mentre gli inglesi, vincendo le ritrosie politiche interne, riusciranno ad allestire un ponte aereo, che trasportando truppe ed armamenti, si rivelerà decisivo per spezzare l'offensiva delle forze partigiane e per respingere gradualmente l'ELAS fuori dai perimetri della capitale.


IL FALLIMENTO DELLA CONFERENZA DI NATALE

Il 24 dicembre, Churchill vola improvvisamente ad Atene, accompagnato dal ministro degli esteri Eden. Punta a ricercare una soluzione politica condivisa, in grado di normalizzare la situazione e di consolidare le posizioni che i britannici avevano fin lì conseguito. Sa bene che le truppe britanniche, possono sì, conquistare il controllo di Atene, ma non sono assolutamente in grado di assoggettare l'intero paese. La soluzione politica gli serve anche, per tentare di superare le riserve degli Americani che, in quel momento con Roosevelt, si oppongono alla ricostruzione di “protettorati” coloniali o semicoloniali delle vecchie potenze d'anteguerra, poiché intendono sostituirvisi con il loro accresciuto peso politico, economico e militare. Nomina reggente l'arcivescovo Damaskinos, disinnescando così, per il momento la questione monarchica. E il giorno seguente, in tutta fretta, organizza una conferenza, le cui trattative avrebbero dovuto portare alla sospensione delle ostilità, al disarmo dell'ELAS e alla costituzione di un nuovo governo di unità nazionale. Alla conferenza oltre agli inglesi, al premier greco e all'ambasciatore americano partecipa anche il capo della missione sovietica Popov. La delegazione dell'EAM-ELAS, da cui erano stati esclusi per decisione del KKE i socialisti era guidata da Georgios Siantos il dirigente del KKE che aveva sostituito il segretario Zachariadis deportato a Dachau, che ritornerà in patria solo nel maggio del 1945.

I rappresentanti del KKE, che ingenuamente si erano illusi che la venuta di Churchill significasse il riconoscimento della forza della resistenza, prima richiedono nuovamente l'assegnazione di circa la metà dei dicasteri ministeriali, e poi di fronte al rifiuto dei partiti borghesi, implorano Churchill di impegnarsi per una cessazione delle ostilità, e per una rapida normalizzazione della situazione. La conferenza di Natale fallisce, e il nuovo reggente con la tonaca nomina al posto del dimissionario Papandreu, il generale Plastiras (un militare che aveva preso parte nel '19 alla spedizione greca in Ucraina contro i bolscevichi) primo ministro. Lo scontro ad Atene riprende con grande intensità, ma la situazione per l'ELAS è ormai decisamente pregiudicata. Interrotta la strada per il Pireo e persa l'intera parte meridionale della capitale, all'inizio di gennaio l'offensiva delle truppe inglesi ha la meglio sulle forze partigiane. A quel punto il comando dell'EAM-ELAS ordina la ritirata generale dalla capitale. Ma prima della partenza da Atene, la direzione del KKE, in puro stile staliniano procede ad arrestare e a deportare circa quindicimila cittadini disarmati, quali ostaggi al suo seguito verso il centro nord del paese. Questa scelta, del tutto immotivata, contribuirà ad alienare le simpatie che il movimento resistenziale, aveva suscitato nell'opinione pubblica di alcuni importanti paesi occidentali durante le stesse drammatiche giornate del dicembre del '44. Una parte degli ostaggi, presi a casaccio nei quartieri della media e alta borghesia ateniese, moriranno per gli stenti, nel freddo intenso di gennaio durante la marcia forzata verso il centro nord del paese (14). Va anche segnalato che gli stalinisti approfitteranno della confusione del momento per eliminare i militanti delle altre organizzazioni della sinistra greca. Anarchici, trotskisti, archeomarxisti verranno prelevati dalle loro abitazioni e sommariamente giustiziati. Vassilis Bartzotas, influente membro dell'ufficio politico e stretto collaboratore di Zachariadis si vanterà della liquidazione di più di 600 trotskisti.


GLI ACCORDI DI VARKIZA

La perdita della capitale è un colpo molto duro per il KKE e per le forze della resistenza. È una sconfitta, certo causata dalla forza e dalla preparazione delle truppe inglesi, ma è maturata grazie agli errori della direzione del KKE. Essa non si è posta il problema della presa del potere, quando questa era possibile nell'autunno del 1944, quando i tedeschi si ritiravano e gli inglesi non erano ancora arrivati in Grecia; ricercando, invece, una politica di collaborazione di classe con il governo monarchico borghese e con gli inglesi ha evitato di preparare le masse ad uno scontro che oramai era imminente. Ma una grande ed esclusiva responsabilità ricade sulle spalle di Stalin: avendo accettato la proposta di Churchill sulle rispettive sfere di influenza nei Balcani ha abbandonato i comunisti greci al loro destino. In sede di bilancio si può dire che furono tre, per la Grecia, le risultanze di quell'accordo spartitorio tra l'imperialismo inglese e lo stalinismo: la sconfitta della resistenza, la soggezione del paese prima alla Gran Bretagna e poi agli Usa, il ripristino della monarchia.

Dopo la ritirata da Atene ed il sostanziale mutamento della situazione, il KKE tenta nuovamente di percorrere la strada del compromesso con i britannici e con la monarchia, firmando a Varkiza, il 12 febbraio del 1945 un accordo che prevede il disarmo delle divisioni partigiane in cambio di una amnistia parziale e di una vaga promessa di democratizzare l'esercito e la polizia. Un accordo a perdere senza nessuna seria contropartita che rappresenta una capitolazione vergognosa e senza princìpi. Mentre l'esercito popolare dell'ELAS verrà smantellato, nessuna garanzia per la salvaguardia delle libertà democratiche sarà rispettata. I partigiani verranno in questo modo consegnati mani e piedi legati alla vendetta di classe della destra più reazionaria. Un tale esito non era assolutamente dettato dal rapporto di forze, se si considerano i vari fattori (politici e militari) operanti in quel momento: nel centro e nel nord del paese, l'ELAS disponeva ancora di 6 divisioni con quarantamila combattenti pronti per l'impiego e controllava ancora circa i tre quarti del paese; la guerra proseguiva in Europa e nell'Estremo Oriente, e gli inglesi non potevano distogliere altri soldati dai fronti in cui erano impegnati; la guerra fredda non era ancora incominciata e l'opinione pubblica dei paesi occidentali non era stata ancora investita dalla crociata anticomunista che di lì a poco verrà scatenata.


UNA CAPITOLAZIONE CHE PREPARA LA TRAGEDIA SUCCESSIVA

Ancora una volta, la direzione del KKE si illude di poter sradicare il fascismo, punire i collaborazionisti ed avviare un'evoluzione democratica della società, stabilendo un accordo con coloro i quali, non più tardi di due mesi prima, con i loro aerei avevano mitragliato i quartieri operai di Atene. Di fronte all'aperta repressione e ai veri e propri pogrom scatenati contro i partigiani, il KKE si limita a chiedere “l'intervento dei nostri tre grandi amici” per imporre l'applicazione alla Grecia degli accordi di Yalta. Dimenticandosi che l'intervento britannico ad Atene nelle giornate di dicembre era un chiaro ammonimento ai movimenti di resistenza dell'Europa occidentale. Alla partenza delle truppe tedesche, essi dovranno sparire, perché i nuovi rappresentanti politici dell'ordine borghese vi subentrino. Come si vede, è del tutto infondata la tesi di chi, a sinistra, accostando fatti di natura diversa, tende a sottolineare una cesura tra “l'estremismo dei greci” e il “responsabile comportamento” degli altri partiti comunisti. La politica perseguita dal KKE nel periodo del '44-45 ha delle forti analogie con quella dei suoi omologhi francesi ed italiani. Malgrado il ruolo preminente giocato nella resistenza, entrambi si sono subordinati alla borghesia ed hanno accettato di disarmare le proprie formazioni partigiane in cambio di qualche poltrona ministeriale. La prima cosa che fecero Togliatti e Thorez al loro ritorno da Mosca fu di entrare nel governo del maresciallo monarchico Badoglio, il primo, e in quello di De Gaulle, il secondo. Con il PCF che anche dopo il suo allontanamento dal governo continuò a proclamarsi “partito di governo” ed accentuò le sue caratteristiche “nazionali”; e con il PCI che dopo la svolta di Salerno, revisionando la teoria marxista dello stato e sostituendo l'idea di un blocco, storico, politico e sociale, anticapitalistico con l'alleanza politica tra i tre partiti di massa presenti in Italia, considerò le istituzioni borghesi l'ambito privilegiato della propria azione politica.

Le conseguenze dell'accordo di Varkiza saranno le stesse che in Italia: chi ha ucciso un animale per fornire un aiuto ai partigiani è passibile di condanna per rapina. Le differenze sono due: in Italia, il PCI viene associato in un governo di unità nazionale, per sopire le istanze di cambiamento che hanno animato la resistenza, e per poter avviare la ricostruzione dell'apparato statale ed industriale in un quadro di relativa pace sociale. Sarà lo stesso Togliatti, come ministro di grazia e giustizia, a promulgare un'amnistia che segnerà la fine di ogni velleità di epurazione. Infatti, grazie alle sue norme - che stabilivano una distinzione incomprensibile fra “sevizie normali” e “sevizie efferate”- gran parte degli aguzzini in camicia nera riusciranno a farla franca. Mentre in Grecia, tale atteggiamento non verrà riservato ai comunisti, perché la borghesia greca -asservita, periferica ed arretrata- non ha i margini economici per realizzare un momentaneo compromesso e la forza politica per accettare un sia pur breve periodo di collaborazione di classe con le forze del movimento operaio. Zachariadis non riuscirà a diventare il Togliatti dell'ellade perché, come scrive Antonio Moscato, «In Grecia la miserabile borghesia compradora locale (a parte quel settore meno miserabile, ma che realizza in gran parte i suoi affari all'estero, costituito dagli armatori) non ha la forza economica e quindi la pazienza per sopportare una fase “democratica” e di collaborazione di classe con i comunisti a cui non vuole e non può concedere briciole. È una borghesia analoga a quella Jugoslava, ugualmente aggrappata alla monarchia retrograda ed asservita allo straniero: gli esiti diversi non dipendono tanto dall'orientamento delle classi dominanti ma dalla strategia e dalla tattica dei comunisti dei due paesi» (15). L'accordo di Varkiza segnò l'inizio di una nuova fase della guerra civile, più disperata e più traumatica della prima. Immediatamente si rinfocolò grandemente una spietata caccia al movimento partigiano. Accanto al terrore delle bande fasciste, incoraggiate dal nuovo clima instauratosi dopo Varkiza, vi era la persecuzione sistematica degli apparati repressivi del governo, che spinse una parte dei partigiani a nascondersi e a ritornare in montagna. Chi tenta di riorganizzare una nuova resistenza, viene isolato, sconfessato ed espulso dal partito. Emblematico è il caso di Aris Velouchiotis, il più celebre e valoroso capo partigiano che dopo aver rifiutato l'accordo di Varkiza ed aver sperato che il ritorno in patria del segretario Zachariadis potesse in qualche modo riorientare le forze partigiane ed interrompere la politica compromissoria del KKE, viene infine pubblicamente denunciato come traditore ed espulso come “elemento scissionista e avventurista”. Aris con un centinaio di fedelissimi, torna allora sui monti della Tessaglia, ma ormai isolato e non più appoggiato dalle sezioni locali del KKE verrà catturato ed ucciso dalle forze governative che esporranno la sua testa mozzata sulla principale piazza di Trikkala (16).

Per tutto il 1945, tra sterili minacce altisonanti, e concessioni reali che indeboliscono le masse e il partito, il KKE si mantiene su un piano inclinato. Zachariadis propone, per la Grecia, una collocazione a metà strada tra il polo-europeo-balcanico, con al centro l'Unione Sovietica; e il polo mediterraneo, con al centro l'Inghilterra; mantenendo così una sorta di equilibrio tra i due. Mentre sul piano interno propaganda un nuovo programma sociale e politico di conciliazione nazionale le cui proposte riformatrici si intrecciano con la garanzia di conservazione dei rapporti di proprietà. E l'anno dopo, il KKE prima decide a sorpresa di boicottare le elezioni politiche che vedono il successo dei monarchici e dei nazional-liberali e poi, paradossalmente partecipa al referendum costituzionale che, in un clima di terrore si trasforma in un plebiscito a favore della monarchia che, già screditata ed impopolare durante il periodo della dittatura e dell'occupazione, ora può tornare in sella grazie ad un robusto voto antirepubblicano che sfiora il settanta per cento dei consensi.


UNA RISPOSTA TARDIVA E DISPERATA

Il cerchio si chiude. È cambiato il quadro internazionale, inizia la guerra fredda, cala il consenso popolare dei comunisti. Le forze resistenziali che per tutto il 1944 avevano rappresentato la maggioranza della popolazione ed avevano incarnato la legittima aspirazione dei Greci ad un radicale trasformazione della società, ora si trovano in grande difficoltà, piegate dalla repressione, logorate dalla stanchezza, sfiduciate dagli elettori, disorientate dalle oscillazioni del politburo comunista. A questo punto il KKE inizia ad autorizzare una decina di nuclei armati sulle montagne, mentre pubblicamente continua imperterrito a propagandare una proposta politica di conciliazione nazionale. Nell'ottobre 1946 si forma l'Esercito Democratico guidato da Markòs Vafiàdis, dirigente macedone del KKE (17). Iniziano le azioni di guerriglia. I partigiani arrivano a controllare ampie zone nelle campagne greche, dal confine con l'Albania e la Jugoslavia al Peloponneso. Ma ormai lo scontro avviene su un terreno e con dei tempi che sono stati scelti dall'avversario. La reazione del KKE e dei partigiani è ormai tardiva e avviene sullo sfondo di un contesto pesantemente segnato dal riflusso del movimento delle masse. L'Esercito democratico non riuscì mai a superare i 35.000 effettivi, la maggioranza dei quali proveniva dalle zone rurali. Speciali misure furono adottate dal governo greco per isolare la guerriglia. Le città furono ermeticamente isolate impedendo l'insorgenza dei grandi centri urbani. Successivamente il governo procedette alla deportazione sistematica della popolazione dei villaggi contadini della Grecia del nord, rendendo faticosissimo il ricambio e il reclutamento delle forze combattenti. In questo contesto, nelle primissime fasi della guerra civile, il Partito Comunista temporeggiò nell'assumere l'iniziativa e fu incapace di organizzarsi rapidamente prima che le contromisure del governo rendessero impossibile il reclutamento nei centri urbani. Tutto ciò, unito alla preponderanza militare delle forze governative renderà impari la lotta, anche perché all'inizio del 1947 alla declinante ed indebolita Gran Bretagna, subentrano gli Usa che inaugurano così la dottrina Truman fondata sulla necessità di difendere l'Europa occidentale dal pericolo comunista. Dopo i primi effimeri successi delle forze partigiane, l'intervento americano si fece sempre più intenso. L'esercito greco, dopo i primi sbandamenti fu riorganizzato su basi moderne, sotto la supervisione di una missione militare statunitense giunse ad avere quasi 200mila uomini ben addestrati ed equipaggiati. Si fece largo uso dell'aviazione che ebbe un ruolo determinante negli attacchi alle basi guerrigliere e vennero sperimentate nuove armi come il napalm.


I CONTRASTI NELL'ESERCITO DEMOCRATICO E IL RUOLO DEI PAESI SOCIALISTI

Numerosi fattori contribuiranno fortemente a determinare l'esito finale della guerra civile: gli errori della direzione del KKE, il disinteresse dell'Urss e poi il disimpegno delle democrazie popolari confinanti. Pesò poi molto, l'aspro contrasto tra Markos, il comandante dell'Esercito democratico e Zachariadis il segretario del KKE. Il primo, anche sulla scorta dell'esperienza Jugoslava, voleva affermare una tattica di guerriglia, basata sul movimento delle forze combattenti, fatta di attacchi improvvisi e di altrettanti rapidi ripiegamenti. Zachariadis, invece gli si oppose fin dall'inizio arrivando ad imporre la scriteriata e perdente trasformazione delle unità partigiane in un esercito regolare. La sua principale preoccupazione sarà quella di conquistare una città dove insediare una “capitale” provvisoria e farsi così riconoscere sul piano diplomatico almeno dai paesi del blocco sovietico. La possibilità di vincere la guerra attraverso uno scontro alla pari con l'esercito regolare, liberando gradualmente il territorio e stabilendovi un governo provvisorio si rivelerà una chimera. I vari e ripetuti tentativi verranno puntualmente frustrati e costeranno ingenti perdite militari. Markos nella più classica tradizione staliniana verrà allontanato dal quartier generale e poi denunciato come “avventurista, frazionista e trotskista”. Infine, nella sconfitta pesò sicuramente il ruolo ambiguo giocato dall'Urss. Gli aiuti promessi da Stalin non arriveranno mai (al posto dei 60 mortai da montagna richiesti dai combattenti greci, Stalin invierà 60 cannoni anticarro, vetusti residuati bellici abbandonati dai tedeschi). Il “Governo democratico provvisorio della Grecia libera”, l'entità politica costituita dall'esercito democratico nelle aree controllate, non verrà mai riconosciuta dall'Unione sovietica che ordinerà ai paesi satelliti di fare altrettanto. E poi, dopo la rottura tra Tito e il Cominform, la chiusura delle frontiere Jugoslave daranno il colpo di grazia alle residue speranze di vittoria dei comunisti greci. La perdita della Jugoslavia (come zona d'appoggio, centro di rifornimento e luogo di rifugio) non sarà compensata dall'aiuto logistico dell'Albania e della Bulgaria, peraltro sempre più condizionati dallo scetticismo sovietico. E così, il 29 agosto del 1949 le forze governative espugnano il quartier generale dell'esercito democratico. Nonostante il sacrificio e l'abnegazione di migliaia di comunisti e di partigiani, che fino all'ultimo, stremati dalla fame si batteranno con i loro miseri fucili affrontando truppe dieci volte più numerose, per le forze che avevano animato la resistenza si chiudevano le speranze di liberazione e di riscatto sociale. La destra ellenica, quella che aveva collaborato con i nazisti durante l'occupazione, e lo schieramento conservatore, visceralmente contrario ad ogni seppur timido cambiamento sociale, realizzavano il loro vecchio obiettivo di annientare i comunisti e di impedire con lo scontro aperto e cruento la vittoria della Resistenza. Il partito comunista verrà vietato, la sinistra e le forze resistenziali perseguitate. Secondo le stime, Sessantamila furono gli esuli nelle repubbliche dell'Europa orientale; cinquantamila i morti; quarantamila i deportati (tra cui il compositore Mikis Theodorakis e il poeta Yannis Ritsos rinchiusi nel famigerato campo di concentramento dell'isola di Macrònissos) questo fu il pesante tributo pagato dalla sinistra greca. Questo esito era forse evitabile se non vi fossero stati i ripetuti errori della direzione del KKE e il mancato sostegno dei paesi socialisti. Certamente, anche all'ombra del Partenone, l'assenza di un solido partito marxista rivoluzionario basato su un programma di indipendenza di classe, capace di cogliere nelle temperie dei rivolgimenti storici il momento decisivo per dare “l'assalto al cielo” fu fondamentale per determinare un esito così catastrofico per i lavoratori ellenici, che farà sentire i suoi tragici effetti per almeno cinque lustri. Perché come notava nel 1934 il compagno Pantelìs Puliòpulos, in merito alla crisi di direzione del movimento comunista greco, «quando si agisce nel buio non si ottengono risultati e i sacrifici diventano eroici, inconcludenti impeti» (18).



Note

(13) W. Churchill, “La seconda guerra mondiale", Mondadori 1963.

(14) Giorgio Vaccarino, “La Grecia tra resistenza e guerra civile”, op. cit.

(15) Antonio Moscato, “Il filo spezzato”, Adriatica editrice salentina, 1996.

(16) Aris Velouchiotis, dopo aver studiato come perito agrario, a diciannove anni si iscrisse al KKE. Dopo aver combattuto sul fronte albanese, all’inizio del 1942 costituì la prima formazione partigiana. Divenne uno dei più carismatici comandanti dell’ELAS. Pseudonimo di Thanànis Klàras, prese il nome di battaglia dal dio della guerra (Aris) e dal monte Velùchi. Guidò la squadra partigiana che, insieme a un contingente dell’EDES, nel novembre 1942, distrusse il ponte ferroviario sul Gorgopòtamos, mettendo a segno una delle azioni più spettacolari nell’Europa occupata dai nazisti. Nella primavera del 1944, fu inviato in Peloponneso, dove imperversavano i Battaglioni di sicurezza, formazioni anticomuniste equipaggiate dai tedeschi e appoggiate dal governo collaborazionista. Nel frattempo cresceva il suo dissenso nei confronti delle politiche del KKE. Velouchiotis criticò con forza l’accordo di Vàrkiza che considerava una ingiustificata resa agli imperialisti britannici, e con un gruppo di suoi compagni, riprese la strada delle montagne per continuare la lotta. Velouchiotis era convinto che solo attraverso la lotta armata i comunisti sarebbero potuti arrivare al potere. Espulso dal KKE, braccato dalla guardia nazionale, verrà ucciso il 18 giugno del 1945, presso il villaggio di Mesùnta. In seguito la sua testa mozzata sarà macabramente esposta dai nazionalisti. Il giorno prima della morte, il politburo del KKE lo aveva denunciato per la seconda volta come “traditore” e “avventurista”. Solo nel 1974, a quasi trent’anni dall’espulsione, sarà “riabilitato” dal KKE.

(17) Markos Vafiadis. Comandante dell’Esercito Democratico. Dopo il XX congresso del PCUS fu riammesso nel KKE, e fu eletto tra i membri dell’ufficio politico del comitato centrale del partito. Ma a seguito di nuovi disaccordi con la segreteria del KKE, nel 1958 fu rimosso dal suo incarico, e sei anni dopo fu nuovamente allontanato. Dopo la spaccatura del Partito Comunista Greco in due tronconi, aderisce al quello detto dell’interno. Nel marzo del 1983 fa ritorno in Grecia dall’Unione sovietica, dove era rimasto in esilio per 23 anni. In seguito sarà eletto al parlamento greco nelle fila del Pasok. È morto ad Atene nel febbraio 1992, all’età di 85 anni.

(18) Pantelìs Puliòpulos, “Rivoluzione democratica e socialista in Grecia”, ed. L'Internazionale-Livorno.

Piero Nobili

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