Prima pagina

I riders fra precarizzazione e attacchi ai diritti sociali e sindacali dei lavoratori

Gig economy, sfruttamento e autorganizzazione

17 Aprile 2018

Prima assemblea nazionale dei fattorini, ospitata da Riders Union Bologna

ridersbo


Mercoledì 11 aprile 2018 si è tenuta al Tribunale di Torino sezione Lavoro la prima causa civile intentata da sei ex lavoratori di Foodora contro il colosso multinazionale. I ricorrenti denunciavano l'illegittimità del licenziamento, avvenuto nel 2016, a seguito delle prime proteste dei riders autorganizzati contro l'abbassamento della retribuzione oraria, ovvero l'improvvisa interruzione del rapporto di lavoro, per il riconoscimento della natura subordinata della prestazione lavorativa, per il mancato versamento dei contributi.

Da quell'udienza è stata prodotta la prima sentenza in materia in Italia. Una sentenza classista e filopadronale, che ribatte la natura di lavoratori autonomi dei sei ex Foodora, dando ragione all'azienda.

La difesa dei riders toccava più punti: ovvero smentiva la retorica della libertà di scelta lavorativa in merito ai turni e all'accettazione degli ordini, sulla base di testimonianze dei lavoratori stessi, vessati in molti casi di rifiuto ordini a causa della fine del turno o di manifesta illegittimità dell'assegnazione (per distanza chilometrica o condizioni meteo, ad esempio). Si denunciava la questione del controllo a distanza dei lavoratori, tramite l'app della piattaforma la quale, anche per il fatto di non essere riconosciuta tra le app disponibili nel play store dello smartphone, poteva accedere a dati personali, gps, e informazioni del lavoratore, e quindi seguirlo tramite geolocalizzazione per tutto il percorso svolto in turno. Inoltre, a conferma di ciò, si hanno testimonianze di ordini che arrivavano anche senza avere effettuato il log in nell'app. Infatti i legali chiedevano un risarcimento di ventimila euro per violazione della legge sulla privacy e 100 euro al giorno per il mancato rispetto delle norme antinfortunistiche. Senza contare la parte relative al trattamento retributivo: da 5 euro iniziali un paio d'anni fa, a 3 euro e 60 netti, fino all'introduzione sempre più diffusa del cottimo.

Il lavoratore non può rifiutare ordini, e la sua prestazione - e quindi la possibilità di trovare turni - si misura secondo un sistema di rating vessatorio che determina l'apertura dei calendari delle ore di lavoro: più consegne realizzi, più il tuo punteggio si alza, e prima puoi accedere alla prenotazione delle ore. Da aggiungere che, a 48 ore dall'inizio del turno, non è più possibile annullare la prenotazione.
Infatti il contrasto al rating e l'abolizione del ranking (il punteggio del singolo rider, un algoritmo che considera numero di consegne, tempi e disponibilità) sono al centro delle rivendicazioni dei riders in generale. Le applicazioni delle piattaforme comprendono una valutazione delle performance che incide sulla possibilità effettiva di riservare ore per lavorare: un punteggio alto permette che il calendario turni si apra prima, creando quindi un clima di ansia, competizione ed esclusione.
Rientra nello stesso ambito di pratiche opprimenti anche il sistema di bonus (a partire da quelli relativi al meteo, assegnati in caso di pioggia o neve), ovvero percentuali minime sulla retribuzione totale, il cui reale scopo è quindi di mettere i lavoratori in condizioni di estrema pressione durante la prestazione lavorativa (aumentare la velocità per effettuare la consegna, nonostante la pericolosità delle strade), oppure i bonus legati a determinati giorni o momenti della giornata, in veste di contentino, quindi temporanei e rispondenti più ai bisogni economici delle singole aziende che così sperano di accrescere il loro organico.
Controllo, pressione psicologica, competizione al ribasso: gli algoritmi che presiedono alla gestione di queste app e datori del lavoro fantasma determinano i tempi di vita e lavoro dei ciclo - fattorini a costo fattore lavoro zero e senza alcuna tutela del tipo assicurativo e nel non rispetto delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Questo è quello contro cui i riders ex Foodora e i riders in generale si battono.
Chiaramente la sentenza riflette il clima di pesante attacco alla classe lavoratrice, agli studenti e ai giovani lavoratori che, nel contesto di precarizzazione assoluta del mondo del lavoro, si trovano a fronteggiare, assieme tutti i settori, la brutale stretta rincarata da anni di riforme filopadronali di svendita dei diritti sociali e di conquiste pluridecennali del movimento operaio.
Non a caso la sentenza, di cui si attendono le motivazioni, è stata pronunciata da quello stesso Tribunale che, solo qualche mese fa, giustificò il licenziamento ai danni di una dipendente di una società di smaltimento rifiuti, a seguito dell'appropriazione da parte della lavoratrice di un monopattino, escluso dal ciclo di smaltimento, da regalare al figlio minore. Alla lavoratrice, in condizioni economiche disagiate, assegnataria di casa popolare e con problemi di affitto, il Tribunale si pronunciò per un versamento di 18 mensilità.
Uno scorcio di situazione di fatto che dimostra la condizione comune che vive la classe operaia oggi, e che dai riders a tutto il mondo del lavoro chiama ad una convergenza delle mobilitazioni.

Detto ciò, la premessa comincia dal dato di struttura di queste piattaforme del food delivery.
Partiamo dall'esempio di un'altra azienda, Glovo. Quest'ultima nasce in Spagna come start up nel 2015, e fa il suo ingresso in Italia nel 2016 tramite un'altra start up di consegna a domicilio, milanese, Foodhino srl, che attualmente stipula i contratti di lavoro con i fattorini. Nelle condizioni d'uso dell'app emerge quindi che la capogruppo con sede a Barcellona è Glovoapp23 s.l.
Da un rapporto relativo al mercato della consegna del cibo a domicilio in Italia, emerge che i dati in merito al transato aggregato dichiarato nel 2017 dalle aziende corrisponde per Deliveroo a più di 20 milioni di euro, mentre Foodora, JustEat, UberEATS, CosaOrdino, Sgnam, MyMenu e Glovo non hanno dichiarato nulla. Anche sul valore economico dei capitali raccolti nei giri di investimento in Italia, non è dichiarato da praticamente nessuna di queste imprese, a parte Sgnam che dichiara di aver raccolto 450 mila euro. Idem per quanto riguarda il quantitativo di ordini annui gestiti.
Sulle sedi legali, emerge il dato che Glovo ha sede legale a Barcellona, e quindi opera nella pratica in Italia come Foodinho, mentre invece Foodora o Deliveroo hanno sede a Milano. Di conseguenza a quale legislazione neoliberista rispondono? Con il beneplacito della retorica UE sulla libera circolazione dei fattori di produzione, di capitali e lavoro, le imprese battezzano la propria sede in base alle agevolazioni fiscali e al basso costo del lavoro. E a questa logica partecipano chiaramente anche le imprese nel settore del food delivery. Eludendo qualsiasi normativa, a partire da quella fiscale: il numero di dipendenti dichiarato è irrisorio. Sempre con riferimento a Glovo, dal rapporto ne risultano più di 100, ma dalla visura camerale si appura che i lavoratori dipendenti erano 9 e i collaboratori 14. Inoltre, per quanto riguarda i fattorini, essendo Glovo operante in 10 città, dovrebbe avere più di 2000 fattorini, i quali devono pagare una cauzione per il materiale (cubo, powerbank, carta aziendale, portacellulare, pantaloni e giacca antipioggia). Per cui, non avendo mai depositato bilanci, tramite Foodinho che opera in Italia per Glovo, non è dato sapere quale sia la trattenuta aziendale che frutta dalle cauzioni raccolte. Di conseguenza, il mancato deposito dei bilanci, fra i requisiti richiesti per mantenere lo status di start up, può far venir meno l'aderenza di questa impresa all'interno della categoria, con tutti i benefici fiscali, di sgravi e riduzione del costo del lavoro che ciò comporta.
Elusione totale delle tutele di lavoro e delle norme antinfortunistiche che passa inosservata agli occhi delle istituzioni borghesi, le quali scelgono di legalizzare ulteriori attacchi per la precarizzazione dei giovani.

Per quanto riguarda il lato contrattuale, al 99% all'insegna della prestazione autonoma (art. 2222 c.c.), comporta che non esistano assicurazione, ferie, malattie, con costo del materiale a carico del fattorino (spesso non a norma, da ultimo i caschi forniti da Deliveroo ne sono un esempio), utilizzo di propri mezzi (dalla bici alla moto, passando per il forfait internet e quindi il cellulare), per i quali la manutenzione è affare del lavoratore, zero contributi e imposizione di una partita IVA fantoccio superata la soglia dei cinquemila euro.
Un esempio pratico che si cala alla perfezione nell'evoluzione mostruosa della legislazione del lavoro italiana: dal co.co.pro al co.co.co, al voucher alla nuova normativa sulla prestazione occasionale e il libretto di famiglia nel quadro ultimo del Jobs Act e successive modifiche.
Ebbene, il contratto d'opera, ovvero il lavoro autonomo occasionale ex 2222 c.c., si differenzia da queste ultime, essendo imponibile, prevedendo quindi una ricevuta per prestazione occasionale con tanto di ritenuta di acconto del 20% pagata dal committente. Tutto ciò spesso nella difficoltà di fatture ambigue, che portano come conseguenza un iter ad ostacoli per quando riguarda la dichiarazione dei redditi percepiti o il tentativo di recuperare in parte le ritenute di acconto versate, poiché la detrazione per redditi di lavoro autonomo risulta un abbaglio.
Di fatto quanto entra in tasca al rider? Una miseria, anche solo prendendo in considerazione l'esempio di Glovo, che ha abbassato il minimo orario da 6,40 euro netti a 4,40 euro netti. Senza contare che, da Glovo in poi, le aziende mirano, passato il primo periodo di espansione, a ridurre la paga fino all'introduzione del cottimo tout court. Prima fra tutte, appunto, Foodora, che da 5,60 euro l'ora passò a 4 euro lordi a consegna, ovvero 3,60 euro a consegna netti. Fu anche a partire da ciò che iniziarono le prime mobilitazioni a Torino e a Milano, e da qui la ritorsione, di cui sono stati vittime anche i 6 riders della vicenda giudiziaria, del ''nuovo tipo di licenziamento'' della gig economy: il blocco dell'app da parte della azienda, di modo che, da un momento all'altro, il lavoratore si ritrova "sloggato" e non riceve più consegne. Quindi, di fatto, viene licenziato.

A latere del modello prevalente di finto lavoratore autonomo, vi sono alcuni casi di applicazione del co.co.co (collaborazioni coordinate continuative) post-Jobs Act (dlgs 81/2015), ovvero la parasurbordinazione, che comporta contributi a carico 1/3 del lavoratore e 2/3 al committente.
Ma appunto la linea di tendenza attuale delle piattaforme è quella del passaggio a cottimo su tutto il territorio nazionale: dal graduale abbassamento delle paghe orarie fino all'istituzione del pagamento a consegna. Come per esempio a Milano con Deliveroo o a Torino con Foodora.

Si tratta quindi di un modello lavorativo che punta anche a dividere ed isolare i lavoratori, oltre che a regalare agevolazioni fiscali e altri vantaggi alle piattaforme, sulla pelle di chi lavora, esposto a rischi relativi alla sicurezza e alla salute personale. Purtroppo, solo a Bologna, negli ultimi mesi si sono registrati vari incidenti che hanno colpito riders in turno, senza che ciò destasse alcun clamore.

In questo contesto di degrado e pericolosità lavorativa, le risposte in termini di mobilitazioni non si sono fatte però attendere. Da Torino e Milano, fino a Bologna, attraverso l'autorganizzazione su più livelli (da assemblee di piattaforma fino ad assemblee generali della categoria), si è arrivati a creare innanzitutto una rete di solidarietà fra lavoratori, per combattere in primis l'isolamento al quale le aziende vogliono condannare sotto ricatto i riders.
Dai bisogni immediati, ovvero con la collettivizzazione di servizi per la manutenzione di bici o l'offerta di spazi dove potersi fermare fra un turno e l'altro, alla risoluzione di problemi che possono insorgere durante l'orario di lavoro, fino alla gestione collettiva in delegazione per l'imposizione di rivendicazioni contrattuali faccia a faccia con i rappresentati delle aziende.
Nel contesto bolognese è nata infatti Riders Union Bologna, che è riuscita a riunire le lotte e le esigenze provenienti dalle assemblee dei riders delle varie piattaforme cittadine, da quelli di Deliveroo a quelli di Glovo. In un'ottica di promozione e riunione delle mobilitazioni, a seguito dello sciopero dei lavoratori di Glovo in febbraio contro la riduzione della paga oraria, ha rilanciato la mobilitazione attraverso uno sciopero generale di tutti i riders cittadini verso la fine del mese, anche per denunciare la normale pratica delle piattaforme di costringere a lavorare con condizioni meteo avverse, ovvero con in un periodo di fortissime nevicate e temperature abbondantemente sotto zero.
Le condizioni di lavoro estremamente dure, e d'altra parte la combattività dei lavoratori delle singole piattaforme nella rivendicazione di tutele maggiori, a Bologna e nel resto del paese oltre che in tutta Europa, ha spinto alla ricerca dell'unità e della convergenza delle lotte, della risposta collettiva alla repressione e alle ritorsioni, e al collegamento con il resto del mondo del lavoro sfruttato.

Da qui l'importantissima giornata del 15 aprile, data in cui si è tenuta la prima assemblea nazionale dei lavoratori del settore, a Bologna, organizzata da Riders Union Bologna. Presenti riders da Torino, Milano, Roma, Modena, La Spezia, Padova e tante altre città, senza contare la presenza di due lavoratori del Collectif des coursier-e-s (Belgio) e del Collectif livreurs autonomes de Paris CLAP (Francia), oltre che di tante realtà, sindacali e non, venute ad assistere.
Un'iniziativa necessaria e fondamentale per organizzarsi nelle rivendicazioni e nelle pratiche, sulla base delle molteplici esperienze, come quella della "Carta dei diritti dei lavoratori digitali" presentata in Comune a Bologna. Iniziativa messa in atto dai riders cittadini come primo strumento di negoziazione a livello territoriale, con l'obiettivo di porre delle regole alle piattaforme che operano localmente e quindi fissare delle tutele per chi lavora, e da portare avanti nelle mobilitazioni sui singoli punti.
Il contenuto di questa Carta scaturisce dai bisogni e dalle rivendicazioni espresse dalle assemblee di piattaforma, secondo un'autorganizzazione su più livelli, dallo specifico al generale, ovvero Riders Union Bologna, in questo caso. Monte orario garantito, salario minimo orario contro il cottimo, assicurazione totale contro gli infortuni, indennità complete (maltempo, ferie, malattia, contributive...), sicurezza nelle condizioni di lavoro (materiali e attrezzature lavorative, etc.), rifiuto di trattamenti discriminatori (ranking, rating, violazioni della privacy e dati personali...), per i diritti sindacali e di organizzazione, per la trasparenza dei contratti.

Si tratta cioè delle tutele e dei diritti per i quali un intero settore sta lottando da mesi, in un contesto generale di precarizzazione del mondo del lavoro post-Jobs Act, di politiche antisociali e di offensiva contro la classe operaia. Rivendicazioni che sono emerse e sono state ribadite con forza dall'assemblea.
L'incontro ruotava infatti sull'organizzazione delle esperienze e delle rivendicazioni attraverso le differenti modalità di mobilitazione e iniziative messe in campo dai ciclo-fattorini, in quanto modalità complementari e autorganizzate, all'insegna del coordinamento, dell'unità e poi della solidarietà e del legame con il resto del mondo del lavoro in lotta, a partire da quello della logistica. Per questo motivo l'assemblea ha segnato un fondamentale momento di confronto, in vista inoltre del lancio di un Primo maggio di lotta generalizzata e internazionale.

M.P.

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