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Fuori gli integralisti cattolici dagli ospedali e dal corpo delle donne!

L’obiezione di coscienza ginecologica va abolita!

6 Aprile 2018
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L’obiezione di coscienza ginecologica è una pratica criminale e assassina e va abolita, come vanno licenziati da tutte le strutture pubbliche coloro che la praticano. Possono benissimo fare sfoggio della propria coscienza negli istituti privati religiosi, sulle povere persone che pagando decidono di affidarvisi.

Il personale obiettore, negli ospedali statali, non deve esistere. Chi viene retribuito dallo stato italiano deve erogare le prestazioni garantite per legge, altrimenti esercita altrove.

Non è ammissibile che il personale integralista cattolico possa negare alle donne il diritto alla contraccezione, all’aborto, alla salute e anche alla vita.

Non solo la legge 194 va applicata in tutte le sue parti, ma va abolito l’articolo 9, cancellando la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza. Perché, anche se recita: “L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”, questo paragrafo viene costantemente disatteso.

Come viene disatteso nei fatti il paragrafo successivo: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.”

Il personale non si muove, e l’interruzione di gravidanza non viene garantita, in violazione costante, ripetuta, decennale della legge e dei diritti delle donne.

Il diritto all’aborto in Italia è costantemente negato e calpestato da fanatici religiosi per cui la donna è un sottoprodotto della creazione divina facilmente sacrificabile. Lo si sacrifica in ogni aspetto della sua vita, sancendo a ogni passo la sua inferiorità e subalternità. Lo si infanga, umilia e calpesta in famiglia, in società, sul lavoro. La donna è una minus habens, non finita, che serve unicamente laddove è in grado di fungere da incubatrice del seme maschile, da fattrice, da bestia da soma per i compiti di cura e lavoro. Nella cultura cattolica la donna vale meno di un animale da soma. I cattolici rispettano la vita solo quando questa rappresenta un terreno fecondo per esercitare il proprio potere; laddove da questa crociata non possono trarre alcun vantaggio per sé, la vita cessa improvvisamente di essere sacra, anzi diviene facilmente sacrificabile: si considera sacro un grumo di cellule, ma si può tranquillamente fare morire la donna che lo ospita. La capacità e libertà del singolo di disporre della propria vita e salute, come nel fine vita, è inammissibile, perché priverebbe ogni religione del proprio potere.

La nuova crociata di quell’antica metastasi sociale che è la religione non è più combattuta con scudi e alabarde, ma è ugualmente sanguinosa e letale. Non si tratta di una battaglia meramente culturale e filosofica relegata al “mondo delle idee”: le ricadute dell’offensiva religiosa nella vita delle donne sono terribilmente concrete e quotidiane.

Si concretizza nella lotta incessante per la negazione dei diritti della persona, che siano famigliari, sessuali, riproduttivi e persino lavorativi (sì, secondo la religione cattolica “arricchirsi è onorevole” e i datori di lavoro sono emanazione dell’autorità divina, ma questo è un altro affascinante argomento ).

Il diritto all’aborto non è solo il diritto di scegliere quando fare figli, come gestire la propria sessualità e riproduzione. È anche una questione di salute. Di salute e quindi di vita o di morte.

Perché di obiezione di coscienza si muore.

È difficile scordare il caso di Valentina Milluzzo, morta il 16 ottobre 2016 per setticemia, dopo un’agonia durata 24 ore, perché il medico obiettore avrebbe rifiutato di svolgere l’aborto d’urgenza causa la presenza di battito nei due gemelli che la donna aveva in grembo, come immediatamente dichiarato dal marito. Il medico si era infatti esplicitamente avvalso dell’obiezione: «Lo ha detto a me, a me personalmente. Erano le 8 di sera, mia moglie urlava dal dolore da quasi dodici ore. Quando ho chiesto al medico di aiutarla, di fare qualcosa, mi ha risposto: “Sono un obiettore di coscienza. Non posso intervenire fino a quando c’è un battito di vita”».

Gli ispettori inviati dal ministero, senza sentire i famigliari della vittima, scagionarono subito il personale obiettore. In realtà, come affermato dal legale della famiglia si tratta di una versione unilaterale, che contraddice persino gli esiti dell’autopsia svolta su Valentina, che recita:
“mancato tempestivo riconoscimento della sepsi; mancata instaurazione tempestiva di antibioticoterapia efficace; mancata raccolta di campioni per gli esami microbiologici; mancata tempestiva rimozione della fonte d’infezione (feti e placenta); mancata somministrazione di unità di emazie lavate durante l’intervento del 16 ottobre 2016”(http://www.noidonne.org/articoli/caso-valentina-milluzzo-rivelati-i-risultati-dellautopsia-08051.php).

La vicenda di Valentina viene ricostruita in dettaglio anche da un ginecologo e un avvocato, in una lettera (guardacaso non pubblicata) all’Irish Times del 9 giugno 2017.
Eccola.

Contestiamo la lettera male informata (5 giugno, L’Italia e l’aborto) del Dr. Angelo Bottone dell’Istituto Iona, una organizzazione cattolica conservatrice. Sostiene che il caso della donna italiana morta durante la gravidanza non è dovuto al fatto che le è stata rifiutata una interruzione di gravidanza.
Noi (un ginecologo ed un avvocato) abbiamo seguito il caso di Valentina Miluzzo, la donna alla diciannovesima settimana di gravidanza che è morte a causa di una sepsi il 16 ottobre 2016 a Catania, in Italia, e siamo in contatto con la sua famiglia. In realtà la morte di Valentina è terribilmente simile a quella di Savita Halappanavar*, la dentista incinta lasciata morire in un ospedale irlandese 5 anni fa.
Nella storia di Valentina la successione degli eventi, le evidenze mediche ed i testimoni, tutto contraddice la conclusione delle “indagini” condotte dalle autorità. In realtà i medici di valentina si sono appellati all’obiezione di coscienza ed in nome di questa hanno rifiutato di effettuare l’interruzione di gravidanza che la situazione medica richiedeva. È morta perché l’esecuzione del protocollo standard per situazioni come quella in cui si trovava è stata ritardata finché non è stato troppo tardi per salvarla.
Valentina era in ospedale da due settimane in seguito ad una minaccia di aborto per la sua gravidanza gemellare. I medici si sono rifiutati di intervenire anche dopo che uno dei due gemelli era già morto, perfino dopo che si era sviluppata in modo totalmente prevedibile la sepsi 12 ore prima della morte. Un medico ha affermato che “il cuore di uno dei feti sta ancora battendo” anche se la gravidanza era destinata a finire con una interruzione comunque.
La sepsi è una infezione molto rapida e potenzialmente fatale che deve essere prevenuta, non curata come se la vita di un feto fosse più importante della vita di una donna. Se inizia una sepsi, un medico ha pochi minuti per agire, non può aspettare ore. Per dei medici è stato un atto inconcepibile permettere che la salute di Valentina si deteriorasse finché la sua vita non si è trovata in pericolo imminente. Ha passato molte ore in agonia mentre la sepsi distruggeva i suoi organi interni, il tutto senza terapia nemmeno contro il dolore e senza nessuna attenzione medica perché i medici sminuivano il suo dolore parlando di una colica renale oppure classificandolo come dovuto al parto.
Il fatto stesso che Valentina sia morta è la prova innegabile che l’interruzione di gravidanza è stata eseguita troppo tardi. Inoltre dimostra che in queste situazioni la decisione di effettuare una interruzione di gravidanza solo quando la vita della donna è in pericolo non ha senso, perché un medico non può essere assolutamente certo che la donna sia in pericolo di vita finché la paziente non muore.
L’obiezione di coscienza in realtà contravviene alla legge giocando con la vita delle donne, esattamente la stessa cosa che è successa nel caso di Savita. È stata proprio la “coscienza” dei medici che ha ucciso Valentina.

Christian Fiala MD, PhD, Gynmed Clinic, Vienna, Austria
Joyce Arthur, Executive Director, Abortion Rights Coalition of Canada, Vancouver BC**

Di obiezione di coscienza si muore. Così come di femminicidio. E si vive soffrendo stupri, violenze fisiche, verbali, psicologiche, discriminazioni, povertà.

Ma non sono fenomeni “collaterali”, non sono “tragedie”, “sfortune”, casualità. Sono deliberati atti di guerra dell’oppressore sull’oppresso, sono offensive pianificate e portate avanti dagli oppressori del patriarcato e del capitale sulle donne e sugli sfruttati. L’integralismo cattolico non è mai stato espulso dalla struttura dello stato italiano, anzi ne permea i gangli vitali. Diffondersi come un cancro nella struttura statale per obbligare gli altri, le donne in questo caso, a vivere (o morire) secondo i propri precetti religiosi. Lo rivendicano alla luce del sole (https://www.fanpage.it/adinolfi-il-mio-sogno-il-100-di-obiettori-di-coscienza-sull-aborto/).

E allora occorre che le donne prendano coscienza che tutto ciò che subiscono giornalmente non è casuale, è una strategia di attacco ben precisa, con mandanti ed esecutori, a cui bisogna rispondere con un’offensiva uguale e contraria.

La crescita esponenziale di forze beceramente maschiliste, razziste e integraliste alle ultime elezioni (e il M5S non fa eccezione) lascia intravvedere un futuro a tinte fosche per le donne.

Per quanto ancora ci ammazzeranno dentro casa, dentro gli ospedali, fuori dagli asili, sul posto di lavoro, prima di indurci a reagire?


* https://en.wikipedia.org/wiki/Death_of_Savita_Halappanavar
**da Elisabetta Canitano

Collettivo Femminista Rivoluzionario

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