Interventi

Je so’ pazzo e la putrefazione del parlamentarismo

(ma ‘o pazzo’ non ne è al corrente)

4 Dicembre 2017
PAP



LA SOVRANITÀ POPOLARE

«È la sovranità del capitale multinazionale, che esclude per “costituzione” la possibilità che si formi nuovamente una sovranità popolare»
(«“Potere al Popolo”. Impediamo che il morto afferri il vivo», Dante Barontini, contropiano.org)

Non appena la borghesia concluse il suo lavoro di liquidazione del modo di produzione feudale e delle sue forme statali, i parlamentarismo borghese iniziò la sua decadenza e il suo stadio di putrefazione nell’epoca dell’imperialismo. Dato il ritardo della rivoluzione socialista mondiale, i parlamenti hanno portato al massimo di putrefazione, dal Senato di Washington alla Duma di Mosca.
Nell’epoca delle rivoluzioni antifeudali e antiassolutiste i parlamenti legittimarono tutte le azioni di guerra civile per liquidare l’ancien régime in nome della "sovranità popolare”. Con questa parola d’ordine la borghesia e la piccola borghesia mobilitarono tutto il terzo Stato, la nazione:
«chi oserebbe dire che il Terzo stato non ha in sé tutto quel che è necessario, per costituire una nazione completa? Esso è un uomo forte e robusto, ma ha un braccio ancora incatenato. Se si eliminasse l’ordine privilegiato, la nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più» (Che cos’è il Terzo Stato, Emmanuel Joseph Sieyès).
La borghesia e la piccola borghesia rivoluzionare furono di parola: a colpi di ghigliottina e di guerre civili seppellirono l’aristocrazia del sangue.
Nell’epoca dell’imperialismo i parlamenti sono diventati le sedi della cospirazioni contro la classe operaia e le masse popolari in nome della “sovranità popolare”. Per questa ragione per l’Internazionale Comunista – quando era diretta da Lenin e da Trotsky - i rivoluzionari nei parlamenti borghesi dovevano smascherare le cospirazioni borghesi contribuendo così a togliere ogni illusione parlamentarista e legalista dalla testa delle masse subalterne (le idee dominanti sono sempre quelle delle classi dominanti). A ciò si attiene il Partito Comunista dei Lavoratori in quest’ambito della lotta di classe.

Quando fu elaborata dall’Internazionale la parola d’ordine dei governi operai e dei governi operai-contadini, il primo compito a loro affidato era quello di disarmare la borghesia. Nella preparazione dell’insurrezione tedesca dell’ottobre del 1923, i comunisti tedeschi, in Turingia e in Sassonia, entrarono al governo insieme ai socialdemocratici di sinistra perché questi ultimi avevano accettato i punti del programma di governo del KPD che comprendevano l’armamento degli operai e il disarmo delle milizie borghesi. I due governi operai non erano altro che “una manovra militare rivoluzionaria intesa ad occupare una posizione salda, ad armarsi su una porzione di territorio, in vista dell’ora delle azioni decisive” (Trotsky). Il governo operaio è la premessa del regime di dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Sotto Stalin la tattica dei governi operai (parte della tattica del fronte unico) fu abbandonata e sostituita con quella dei governi di fronte popolare che rialimentò le illusioni parlamentariste e legaliste delle masse. In Spagna, la politica del Fronte popolare disarmò politicamente e militarmente le masse con la conseguente vittoria del franchismo; in Francia, il Fronte popolare non andò in aiuto della rivoluzione spagnola e disarmò politicamente i francesi di fronte all’imminente aggressione delle armate di Hitler.

La riedizione della politica dei fronti popolari nel dopoguerra in Cile si rivelò una catastrofe: il governo di Unitad Popular non solo non provvide al disarmo della borghesia e all’armamento del proletariato, ma nemmeno tentò un repulisti dello stato maggiore e degli ufficiali di carriera dell’esercito. La storia degli interventi militari per soffocare governi con un programma di sovranità nazionale, di riforma agraria, non è servita a niente. Al contrario, la riflessione sulla fine del generale Jacopo Arbenz spinse Guevara ad abbracciare la causa della dittatura rivoluzionaria del proletariato.
La tattica dei fronti popolari fu riadattata da Mitterand nel suo governo del 1981, con quattro ministri dello stalinista PCF (Partito Comunista Francese). Le nazionalizzazioni di settori industriali e bancari salvarono il capitalismo francese, non furono l’espropriazione generale della borghesia. Quando i socialisti e gli stalinisti francesi furono messi anni prima alla prova della guerra di liberazione nazionale algerina, si schierarono col l’imperialismo francese.
La sinistra plurale del governo Jospin applicò una politica antioperaia e spalancò le porte alla destra. In ultimo Syriza, cane da guardia del direttorio dell’UE in Grecia.

I governi di Jospin e di Tsipras sono governi costituiti dopo il Trattato dell'Unione europea (TUE), firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht, il vero e proprio salto di qualità del processo di unificazione capitalista iniziato a Roma nel 1957. L’aggravamento della miseria della classe salariata in Francia e in Grecia è stato il prodotto delle politiche borghesi di Jospin e Tsipras, e non dalla mancata restaurazione della “sovranità popolare”. Per il grado di lotta raggiunto dal movimento operaio e popolare greco dal 2008 c’erano tutte le condizioni per rovesciare completamente la borghesia greca e instaurare un governo dei lavoratori fondato sugli organismi di democrazia rivoluzionaria delle masse e sulla milizia di autodifesa. Questa era la proposta delle Conferenze operaie euromediterranee del CRQI. Un successo del genere in Grecia sarebbe stato un detonatore per tutta l’Europa. Invece ci fu la capitolazione della sinistra radicale.

C’è una qualche differenza di classe tra le politiche dei governi europei di adesso con quelle che precedono il Trattato di Maastricht? Nessuna. Anche quando - prima del Trattato di Maastritcht - ci sarebbe stata la piena “sovranità popolare”, secondo alcuni teorici sostenitori della lista Je so’ pazzo. Ma già dal il 14 gennaio 1962 fu avviata la politica agraria del grande capitale europeo, che fra i suoi obiettivi aveva lo sviluppo ed il rafforzamento della piccola azienda agro-zootecnica per creare una forza sociale avversaria alla classe operaia europea. Gli stessi strati sociali colpiti dalla nuova politica agraria comunitaria iniziata nei primi anni Ottanta. Ma anche quando Scelba riorganizzò la Celere c’era la “sovranità popolare”, ben prima del Trattato di Roma del 1957, fondativo della Comunità Economica Europea.

Gli ideologi del ritorno allo stato nazionale mistificano la storia. Non si fonda una strategia anticapitalista sulla possibilità che si formi nuovamente una sovranità popolare. Non perché c’era lo Stato nazionale sono state ottenute importanti conquiste operaie, ma solo perché la forza della lotta della classe operaia era talmente potente che la borghesia dovette fare concessioni. Ciò fu possibile perché quella forza non fu organizzata in lotta per il potere, per l’assenza di una direzione rivoluzionaria.
Le sconfitte della classe operaia nello Stato italiano iniziate con il decreto che abolì la scala mobile ci sono state non perché non era stata attuata la “sovranità popolare”, ma per la capitolazione del PCI e per l’incapacità dell’estrema sinistra a costruire una direzione rivoluzionaria per il movimento operaio.



LA “RAPPRESENTANZA POLITICA E ISTITUZIONALE”

«C’è una fortissima esigenza – diffusa in mille ambienti del conflitto sociale – di avere una rappresentanza politica e istituzionale capace di rappresentarne gli interessi comuni e, al tempo stesso, di mantenere aperti alcuni spazi democratici vitali per il conflitto stesso».
Nei “mille ambienti del conflitto sociali” più che l’esigenza di una “rappresentanza politica e istituzionale" c’è quella di un fronte sindacale combattivo che trasformi le lotte attuali in una controffensiva generale del lavoro contro il capitale.
È il partito operaio marxista rivoluzionario che partecipa a quella specifica lotta politica che è la lotta nei luoghi della rappresentanza politica che è propria dello Stato borghese. Il suo compito è quello di smascherare le cospirazioni borghesi e di dimostrare alla classe salariata la necessità storica dell’abbattimento del parlamentarismo. Il partito del proletariato rivoluzionario (non di tutto il proletariato ma solo di quello rivoluzionario) non deve rappresentare nulla, ma deve conquistare tutto il proletariato e le masse contadine (ove queste hanno un peso significativo) al programma dell’espropriazione della borghesia col metodo della nazionalizzazioni senza indennizzo e del controllo dei lavoratori.
La campagna elettorale, nel decimo anno della crisi inarrestabile del capitalismo, deve servire a chiarire ai lavoratori, alle lavoratrici e alla gioventù studentesca, operaia e proletaria che l’abolizione del Jobs act, della controriforma sanitaria, scolastica e pensionistica la può realizzare un governo dei lavoratori che dia inizio al disarmo la borghesia, altrimenti soccomberà sotto i colpi della reazione come è avvenuto in Cile nel 1973, oppure sarà comprato dal grande capitale come è avvenuto per Syriza.
Il disarmo della borghesia sarà una necessità, anche nell’eventualità, seguendo il ragionamento “per assurdo” di Dante Barontini, secondo cui «[mettamo che] alla faccia dei pronostici, questa lista prenda il 51% e quindi possa formare un governo popolare “monocolore”, che ovviamente metterebbe subito all’ordine del giorno la realizzazione di quei punti, scrivendo e approvando le leggi relative». Non è un referendum, non è un atto del governo del 51% per uscire dall’UE, che ci salverebbe della controrivoluzione, ma solo il disarmo della borghesia. La partecipazione attiva alle elezioni politiche generali va fatta per orientare le masse alla distruzione dell’UE e per un governo dei lavoratori, per questa causa vanno chiesti i voti.



UN'ULTIMA CONSIDERAZIONE

Per i marxisti quando un paese dominante occupa una piccola nazione, questa, se lo vuole, ha il diritto alla separazione. In Europa le nazioni grandi che opprimono quelle piccole sono la Gran Bretagna con l’Ulster, la Francia con la Corsica, lo Stato italiano con la Sardegna, la Spagna con i Paesi Baschi, la Catalogna e la Galizia. La storia, compresa quella recente della Catalogna, prova che la liberazione di quelle nazioni storiche può avvenire alle condizioni del rovesciamento dello Stato nazionale e dell’UE con l’azione rivoluzionaria delle masse. Anche per questa specifica questione il ripristino della sovranità nazionale dei singoli stati imperialisti dell’UE (perché “la sovranità popolare” di questi Stati è quella di Stati imperialisti) è un’utopia reazionaria che divide la classe operaia e la indebolisce di fronte al nemico di classe ben centralizzato.

Gian Franco Camboni

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