Interventi

Le nazionalizzazioni democratico-borghesi del XX secolo e la Catalogna

Veri indipendentisti e pseudoindipendentisti

16 Novembre 2017
catalogna


La rivoluzione cubana non nacque con gli obiettivi economici del regime di dittatura rivoluzionaria del proletariato: nazionalizzazione dell’industria, delle banche, della terra e il monopolio del commercio estero. Il movimento diretto da Castro, Guevara e Cienfuegos nacque come movimento democratico rivoluzionario che si batteva per la piena sovranità nazionale e per la democrazia politica. Senza effettiva sovranità nazionale non vi può essere democrazia politica, chi lo nega è un miserabile sofista.
A spingere la direzione cubana all’adozione degli obiettivi economici della dittatura del proletariato rivoluzionario fu l’approccio realista alla questione della sovranità nazionale. In una conferenza televisiva del 20 marzo 1960 Castro formulò il legame tra sovranità nazionale e indipendenza economica: «la sovranità nazionale significa prima di tutto che ogni paese ha il diritto di esigere che nessuno intervenga nella sua vita, il diritto di ogni popolo all’autogoverno, a scegliere il modo di vita che più gli si addice: ciò dipende dalla sua volontà e solo quel popolo potrà decidere se il governo deve cambiare o no. Ma tutti questi concetti di sovranità politica, di sovranità nazionale sono fittizi se non c’è accanto ad essi, l’indipendenza economica».
Per esemplificare ciò che intendeva menzionò l’espropriazione che Làzaro Càrdenas, presidente democratico-borghese messicano, della statunitense Standard Oil e dell’anglo-olandese Royal Dutch Shell nel 1938, dopo aver redistribuito 15 milioni di ettari a 800 mila contadini. La nazione di Zapata e di Pancho Villa, in quell’occasione, non si piegò agli intrighi e ricatti degli imperialisti.
Il metodo della nazionalizzazione e della riforma agraria fu fonte di divisione nel movimento democratico rivoluzionario cubano. L’ala destra del movimento si opponeva al metodo dell’esproprio e della nazionalizzazione e il suo capo Huber Matos (grande proprietario di risaie che dal 1956 si avvicinò al M26) dopo la vittoria governatore della provincia di Camaguey fu arrestato nell’ottobre del 1959 da Camillo Cienfuegos.
L’indipendenza economica si conquistava col metodo dell’esproprio e della nazionalizzazioni.
Ernesto Guevara concluse la sua conferenza in modo cartesiano: «Così come il Messico [non socialista ma democratico-borghese] nazionalizzò il suo petrolio, e potè andare avanti e ora si riconosce in Càrdenas il più grande presidente che abbia avuto quella repubblica, così anche noi andremo avanti. Tutti quelli che stanno dall’altra parte possono chiamarci come vogliono, possono dirci qualunque cosa, l’unica cosa certa è che stiamo lavorando a favore del popolo, che non indietreggeremo e che loro, gli espropriati, i confiscati, i siquitrillados, non torneranno.» (1). Il 6 agosto 1960, in base alla legge n° 851 del 6 luglio 1960, furono espropriate 26 società USA.

Queste misure dovevano essere adottate quando iniziò il sabotaggio dei capitalisti catalani contro il movimento repubblicano catalano: secondo i dati dell’Associazione catalana delle piccole e medie imprese «a fine ottobre l’11% delle aziende aveva aperto conti correnti fuori dalla Catalogna, il 10% aveva sospeso gli investimenti (e un altro 9% pensava di farlo a breve), mentre il 15% dei centotrentamila associati stava prendendo in considerazione di spostare la sede (e in alcuni casi la produzione)» (Limes 10/2017).
I campioni del capitalismo bancario catalano Sabadell e Caixa spostarono subito dopo il 1 ottobre la sede legale, la Seat decise di rimanere «ma di andarsene non appena che fosse venuta meno la protezione giuridica» (Limes 10/2017). Espropriando imprese e banche, e ponendole sotto il controllo dei lavoratrici e lavoratori, l’indipendenza della Catalogna sarebbe stata una realtà e non un pezzo di carta.
La lotta per la separazione non va affrontata come ha fatto la Direzione funambolesca di Puigdemont. La realtà è che Puigdemont e gli altri non sapevano cosa stavano facendo.
Perciò in Sardegna combatteremo tutti i gruppi pseudoindipendentisti come Sardos, la clientela di Pili e di Maninchedda, nonché gli intellettuali paglietta dell’«autodecisione culturale», che agitano la bandiera dei quattro mori per ingannare quei giovani, quei lavoratori e lavoratrici che nell’indipendenza vedono lo strumento per liberarsi dall’oppressione capitalista e coloniale.
"Unu pro totus, totus pro unu!"



(1) Sovranità politica, indipendenza economica, Opere vol. II, pag. 19-31, Feltrinelli

Gian Franco Camboni

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