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L'armata tricolore verso la Libia

27 Luglio 2017
Sarraj


«Pronta un'armata con navi, aerei e droni per fermare le partenze dei migranti». Così il Corriere della Sera annuncia con squillo di fanfare la nuova impresa di Libia.

I dettagli forniti dalla stampa più accreditata presso il ministero della Difesa sono molto istruttivi. Prevedono l'invio di una flotta militare guidata da una nave comando, seguita da cinque navi leggere, e accompagnata da aerei ed elicotteri, per un totale di mille uomini in divisa. La flotta dovrebbe entrare per la prima volta in acque libiche coordinando l'intervento della guardia costiera locale per intercettare, bloccare, respingere sotto costa i barconi di migranti, prima che entrino nelle acque internazionali. I migranti, letteralmente sequestrati, verrebbero poi “trasferiti a terra” e internati nei campi libici, dove “i richiedenti asilo” dovrebbero inoltrare le proprie richieste.

Il cinismo regna sovrano. Lo scopo evidente della missione militare è impedire con la forza il diritto di fuga dalla fame e dalle guerre provocate dalle rapine imperialistiche, segregando in fetide galere centinaia di migliaia di persone disperate, già provate da violenze indicibili, e ora date nuovamente in pasto a vessazioni, torture e stupri. Il richiamo al controllo dell'ONU è pietoso. È come sempre la coperta diplomatica e rassicurante offerta alla opinione pubblica democratica per coprire le peggiori nefandezze. L'ipocrisia sulla natura “umanitaria” della missione è svelata dalle regole d'ingaggio richieste dal governo italiano. Infatti verrà utilizzato il cosiddetto modello SOFA (Status Of Forces Agreement) della Nato, che ha lo scopo di «concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile dalle leggi locali» (Corriere 27/7). Questo significa una cosa sola: il diritto dei militari occupanti a delinquere impunemente, in mare e in terra.

Non è casuale peraltro il modello esemplare indicato: quello della cosiddetta missione Alba del 1997 contro la “invasione albanese". Il Corriere la esalta perché «riuscì a frenare il flusso migratorio dalla Albania alla Puglia». In realtà la fuga dall'Albania continuò sino ai primi anni 2000. In compenso le navi militari tricolori speronarono e affondarono nel Mare di Otranto la barcarola albanese Kater i Rades, assassinando 108 persone. Un crimine tuttora impunito, e persino rimosso a sinistra come non fosse avvenuto. Governava Romano Prodi, con l'appoggio di Bertinotti, Cossutta, Ferrero, Rizzo. Si vuole oggi rinverdire quelle gesta nel mare di Libia?

Il calendario della missione militare non è casuale, e non riguarda solo la partita migranti. La missione italiana è annunciata il giorno dopo l'incontro a Parigi del presidente francese Macron con al-Sarraj e il generale Haftar. Un incontro funzionale a rilanciare l'imperialismo francese quale forza egemone in Nord Africa, a tutela della presenza della Total in Cirenaica, e del controllo sulla fascia del Sahel (Niger, Mali, Ciad). L'imperialismo italiano, già in forte contrasto con gli interessi francesi su altri fronti (cantieristica), non è disposto a subire in silenzio. Dopo essersi accorto di essere salito sul cavallo sbagliato (al-Sarraj), mentre i francesi cavalcavano il vincente Haftar (col sostegno interessato di Egitto e Russia), il governo italiano ora cerca rimedio allestendo una propria diretta presenza militare sul campo a supporto degli interessi di Eni e del proprio ruolo negoziale in Nord Africa e sui confini del Niger: là dove passano le carovane tormentate dei migranti che Minniti vuole bloccare alla partenza. La pioggia di miliardi promessa dalla UE ai diversi governi africani interessati serve non solo a ingrassare le corrotte polizie locali e a dissodare il terreno per nuovi investimenti rapina (sotto la bandiera dell'“aiutiamoli a casa loro”), ma anche a coprire il braccio di ferro tra imperialismo francese e imperialismo italiano per l'egemonia nel Nord Africa.

I migranti e le loro sofferenze sono dunque ostaggio di una partita più grande tra le vecchie potenze coloniali. Anche per questo la mobilitazione contro la missione italiana non può muovere solo da un versante “democratico” a tutela dei migranti e dei loro diritti. Deve muovere anche da un'aperta denuncia degli interessi dell'imperialismo, innanzitutto del nostro imperialismo. Quello che piace a tanti improvvisati sovranisti (magari di sinistra), e che invece resta per noi, come un secolo fa, il nemico principale.

Marco Ferrando

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