Interventi

Di incesto, aborto e tredici anni

Solo abbattendo il patriarcato, solo con rapporti sociali non basati sullo sfruttamento, si possono rendere gli esseri umani persone e non oggetti

25 Maggio 2017
patriarcato


La quantità di particolari agghiaccianti della storia della tredicenne di Rimini (1) è tale da lasciare sgomenti, tanto che trarne un discorso logico e coerente diventa difficile. In primis lo stupro, che come indicano le statistiche avviene principalmente dentro le sacre mura domestiche (il 69%). E poi la giovanissima età della vittima. Quel padre tanto ansioso di farla abortire ma così poco interessato a capire chi fosse stato ad abusare della figlia. La corsa al consultorio per cancellare dal corpo della figlia la prova della violenza. L’ospedale privato che, senza chiedere nulla, esegue un aborto, su una tredicenne. E l’aborto neanche riesce. Il padre violentatore che scappa all’estero.

Quante violenze sul corpo di una bambina.

È da storie come queste che emerge il bisogno del potenziamento dei consultori, non solo come garanzia di salute e autodeterminazione delle donne, ma come avamposto contro la violenza di genere. Ed è da storie come questa che emerge la necessità di chiamare le cose con il loro nome e abbandonare una volta per tutte quel velo di ipocrisia che circonda l’istituzione della famiglia.

L’incesto è una di quelle forme di violenza che spesso, per il disgusto che suscita e lo stigma sociale che l’accompagna, viene passata sotto silenzio. Eppure violenze, stupri e femminicidi hanno come teatro principale quella “santa famiglia” difesa a spada tratta da bigotti, religiosi, sentinelle in piedi e ipocriti del Family Day.

Se ne parla difficilmente perché nell’incesto, meglio forse che nella violenza sessuale generica, emerge l’oggettificazione dell’essere femminile in tutta la sua forza: quale soluzione migliore che “usare” a scopi sessuali l’oggetto che si trova così a portata di mano? Quale migliore vittima di chi dipende in ogni senso dal suo carnefice? Quale migliore vittima di chi non ha altri a proteggerla? Già per le vittime di violenza è difficilissimo uscire allo scoperto e denunciare, figuriamoci quando l’autore della violenza è il proprio padre, fratello, nonno ecc, quando all’orrore per la violenza si accompagnano infinite implicazioni psicologiche e affettive.

Circa un anno fa, nell’ambito della vicenda della piccola Fortuna Loffredo, il Garante per l’infanzia della regione Campania ha affermato che “ci sono interi quartieri dove l’incesto è un’attività elevata a normalità”. Delle richieste a Telefono Azzurro, una su tre riguarda appunto questo particolare tipo di violenza sessuale.
La violenza fisica generica è equamente divisa (o quasi: 47% contro 53%), mentre per quella sessuale la differenza tra maschi e femmine è evidente (32% contro 68%). Sul carnefice non ci sono dubbi: 88 volte su 100 chi abusa di un bimbo o una bimba è un uomo e 8 volte su 10 frequenta la casa della vittima. Spesso si tratta del padre (4 volte su 10) con la complicità o meno della madre.

Quattro su dieci.

Il problema tuttavia non può essere certo circoscritto per area geografica o contesto culturale. Troppo comodo derubricare tutto a “degrado sociale”. Manca sul tema dell’incesto una vera e propria politica di contrasto e di formazione degli operatori. Per forza, parlare di incesto significa minare alle basi la santità della struttura famigliare, così cara alla cultura borghese e patriarcale. Parlare di incesto significa urlare a gran voce che la famiglia non è un luogo sicuro, anzi, i numeri ci dicono che è il luogo più pericoloso di tutti. Parlare di incesto significa anche spiegare a bambini e ragazzi, ma soprattutto bambine e ragazze, che la violenza probabilmente verrà dagli affetti, da padri, fratelli, mariti, compagni. O ex, che il “lupo nero” non si nasconde in una strada buia isolata, ma dentro le mura di casa e può fare leva su tutta una serie di condizionamenti psicologici, affettivi e materiali.

Finché sarà questa la cultura dominante, una cultura omertosa per eccellenza, le violenze continueranno e si allargheranno, come sta avvenendo tra gli adolescenti, sempre più protagonisti di atti di violenza sessista.

Solo abbattendo il patriarcato e il modello di famiglia che propone possiamo tutelare veramente le vittime degli abusi. Solo instaurando rapporti sociali non basati sullo sfruttamento insegneremo alle donne e agli uomini che le persone non sono merci od oggetti. Perché violenza fisica, psicologica e sessuale, incesto e femminicidio hanno tutti una radice comune: la cultura patriarcale e capitalista, che si basa sullo sfruttamento stesso di una classe su un’altra, di un genere sull’altro e che vede donne e bambini come oggetti appartenenti al pater familias, che può disporne a suo piacimento.

Rovesciare i rapporti di forza, instaurare una società nuova, in cui nessuno sia più sfruttato è l’unica soluzione definitiva.





(1) http://www.ilrestodelcarlino.it/rimini/cronaca/aborto-1.3145123

Collettivo Femminista Rivoluzionario

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