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Emmanuel Macron, la vittoria del grande capitale

8 Maggio 2017
Macron


La vittoria di Macron alle elezioni presidenziali ha avuto proporzioni consistenti. Nelle sue dimensioni quantitative, e nella sua estensione omogenea alla quasi totalità del territorio francese e di oltremare. È un'affermazione che ha capitalizzato fattori diversi: la domanda di sicurezza di ampi settori di classe media che temono le ricadute di un'uscita dall'euro sui propri risparmi; il profilo d'immagine di un candidato giovane, estraneo alle vecchie nomenclature degli (ex) partiti dominanti, capace di intercettare una confusa domanda popolare di cambiamento; il richiamo della contrapposizione al lepenismo, non travolgente come nel 2002, ma tuttora capace di motivare al voto ampi settori dell'elettorato della sinistra (compresa la maggioranza dell'elettorato di Mélenchon, che è cosa diversa dalla maggioranza degli attivisti di Francia Ribelle) e dello stesso elettorato gollista.

La vittoria di Macron è indubbiamente un fattore di tenuta dell'Unione capitalistica europea. Il tripudio delle Borse, la soddisfazione dei governi imperialisti del vecchio continente, sono comprensibili. La rappresentazione di una Unione irreversibilmente condannata a un rapido crollo sotto la pressione travolgente dei partiti populisti - rappresentazione diffusa in ambienti diversi della sinistra dopo l'affermazione della Brexit - si è rivelata prematura e sbagliata. Il risultato delle elezioni olandesi e francesi ci parla di un quadro più complesso, in cui fenomeni di polarizzazione politica ed elettorale si combinano con riflessi conservatori. Il ridimensionamento annunciato del nazionalismo populista in Germania porta lo stesso segno.

Al tempo stesso sarebbe ugualmente sbagliato ricavare dalla vittoria di Macron un quadro di facile stabilizzazione. Un conto è la sconfitta del lepenismo e della sua minaccia destabilizzante, di fatto mortale per l'Unione. Altra cosa è la costruzione di un nuovo equilibrio politico e istituzionale. Ciò vale innanzitutto per la Francia.


MACRON ALLA RICERCA DI UNA MAGGIORANZA PARLAMENTARE

Le elezioni del primo turno hanno fotografato la crisi profonda di quel bipolarismo che aveva incardinato la lunga storia della V Repubblica. Il Partito Socialista è collassato e rischia una autentica "pasokizzazione". Il partito gollista, per la prima volta escluso dal ballottaggio, è attraversato da una guerra intestina lacerante. Da un lato Le Pen e il suo alleato Dupont, dall'altro Mélenchon hanno polarizzato sul piano elettorale questa crisi. Insieme hanno raccolto quasi la metà dell'elettorato francese.

Il sistema elettorale del doppio turno ha salvato la Presidenza della Repubblica dagli effetti di questa polarizzazione, incoronando Emmanuel Macron. Ma nessun sistema elettorale può annullare una geografia politica. Da questo punto di vista le prossime elezioni legislative dell'11 giugno saranno un test complicato. Il doppio turno di collegio tra i partiti che superano l'asticella elettorale del 12,5% sarà esposto alle risultanze imprevedibili del nuovo quadro politico. Forte del proprio successo presidenziale, Macron chiede e chiederà un voto di “governabilità” a favore dei propri candidati: ma non dispone di una propria ossatura di partito e di un radicamento sul territorio. Raccoglierà sul carro del vincitore forze di diversa provenienza liberate dalla crisi dei vecchi partiti (Valls si è già prenotato, ambienti gollisti segnalano il proprio interesse), ma può rivelarsi un'ammucchiata imbarazzante per l'immagine dell'”uomo nuovo”. E la competizione collegio per collegio, dove le vecchie strutture di partito e le loro clientele hanno maggiore resistenza, sarà in ogni caso senza risparmio di colpi. Ad oggi Macron non ha a disposizione una maggioranza parlamentare, ma dovrà cercarla nelle urne.


LA RIORGANIZZAZIONE IN CORSO NELLE OPPOSIZIONI

Parallelamente, tutto si muove sul versante delle opposizioni, in un quadro altrettanto instabile e incerto.

Le Pen annuncia la costituente di un “nuovo partito patriottico” con un nuovo nome. È il tentativo di investire nella crisi del gollismo completando il processo di mutazione politica del Front National in direzione di un partito di governo “sdoganato”. Ma sconta non solo l'opposizione pubblica del padre (“Non consentirò la svendita del nostro nome”), bensì anche quella di Marion Le Pen, già candidata alla successione nel nome dell'integralismo cattolico.

A sinistra Mélenchon punta a investire il proprio straordinario successo elettorale al primo turno (quasi il 20%) nella costruzione della propria forza politica (sovranista di sinistra) con l'ambizione di costruire una forte presenza parlamentare; ma per questa stessa ragione si scontra frontalmente con il PCF che vorrebbe negoziare accordi di desistenza nei collegi. Un accordo reso difficile proprio dai nuovi rapporti di forza. Mentre lo stesso Partito Socialista sarà attraversato sul territorio dalla polarizzazione interna tra Macron e Mélenchon.

La composizione politica del prossimo parlamento francese sarà la risultante imprevedibile di questo quadro di frantumazione. La vittoria di Macron dovrà dunque confrontarsi con uno scenario politico in pieno movimento, ancora senza baricentro, segnato da molte incognite.


IL PROGRAMMA DI MACRON ALLA PROVA DEL FRONTE SOCIALE

Un secondo ordine di difficoltà è dato dal segno del programma Macron. È il programma del capitale finanziario. Un programma che sviluppa ulteriormente a destra la politica del governo Hollande: aumento dell'età pensionabile, appesantimento della legge El Khomri, taglio verticale della spesa sociale, attacco frontale al posto di lavoro nel settore pubblico. La campagna d'immagine attorno alla propria figura e la contrapposizione a Le Pen hanno in parte velato questo programma, ma esso indica la bussola reale della nuova presidenza. Macron punta a una riforma strutturale del capitalismo francese, combinata con la ricerca negoziale di un nuovo equilibrio con la Germania, dentro il quadro della UE.

Questo progetto passa per una linea d'attacco al movimento operaio. Il movimento operaio francese ha subito una sconfitta sulla legge El Khomri, per responsabilità preminente delle sue direzioni. Ma ha accumulato un'esperienza di lotta che ha selezionato nuovi settori d'avanguardia, e dispone di un potenziale combattivo non ancora domato. Il fronte sociale può tornare ad essere, come in tanti passaggi della storia francese, il banco di prova del nuovo governo. Per molti aspetti il più difficile.


PER UN PARTITO RIVOLUZIONARIO DELLA CLASSE LAVORATRICE

L'estrema sinistra francese ha raccolto complessivamente al primo turno il voto prezioso di un'avanguardia politica della classe lavoratrice (oltre 600.000 voti tra NPA e LO), in contrapposizione ai candidati padronali, ma anche al sovranismo di sinistra di Mélenchon.

L'indicazione di astensione al secondo turno, fuori e contro ogni fronte repubblicano a sostegno di Macron, ha rappresentato un'indicazione corretta. Tanto più importante considerando la (grave) indicazione di appoggio a Chirac da parte della LCR nel ballottaggio Chirac-Le Pen del 2002. La parola d'ordine “né la peste né il colera” ha costituito il punto di riferimento di mobilitazioni d'avanguardia, conquistando l'adesione di strutture sindacali di classe (a partire dalla CGT della Goodyear). È un capitale da investire nella costruzione di una opposizione sociale radicale e di massa al futuro governo.

La costruzione del partito rivoluzionario della classe operaia francese resta la questione strategica fondamentale. Ed anche il banco di prova di tutti i marxisti rivoluzionari francesi, a partire dalla nuova maggioranza rivoluzionaria nell'NPA.

Partito Comunista dei Lavoratori

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