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Badanti per legge. L’ineluttabilità di un destino femminile

12 Maggio 2017
nurses


Che le donne debbano prendersi cura degli anziani non autosufficienti è persino sancito per legge. Ebbene sì. Prendiamo ad esempio la “tutela e valorizzazione delle persone anziane”, Legge Regionale 5 del 1994 e la “promozione della cittadinanza sociale” Legge Regionale 2 del 2003 (Emilia Romagna).

Queste leggi avrebbero la finalità di mantenere gli anziani nel proprio domicilio, nel contesto famigliare e sociale, favorendone l’autosufficienza il più a lungo possibile attraverso l’uso di un sistema integrato sociale che coinvolga tutte le parti sociali tra cui cooperative, associazioni di volontariato, aziende pubbliche di servizio, fondazioni ecc. Ma soprattutto responsabilizza la famiglia proletaria e la obbliga alla presa in carico della cura degli anziani, costretti a vivere in casa in gravi condizioni di salute e in balia di bisogni a cui la famiglia proletaria non può rispondere per mancanza di tempo, denaro, strumenti e professionalità sufficienti.

Apparentemente la socializzazione di un problema e la conseguente presa in carico di un bisogno sociale da parte della collettività è positiva, come pure il mantenimento dell’autosufficienza più a lungo possibile, ma nel sistema economico capitalista in cui viviamo abbiamo potuto constatare sul campo, anche a distanza di anni, le conseguenze che queste leggi hanno portato per la società e per le donne in particolare.

La presa in carico dell’ammalato da parte della famiglia e della società si è trasformato in uno scaricamento economico e di responsabilità da parte dello Stato sulle spalle delle famiglie e quindi principalmente delle donne. La guerra per l’autosufficienza e l’allungamento della vita a qualunque costo e l’accanimento terapeutico hanno modificato l’etica e la morale comune innescando nella nostra mente la non accettazione della vecchiaia e della morte come normale processo di vita. Decretando per legge una ovvietà, cioè che gli anziani stanno meglio a casa loro piuttosto che in una struttura esattamente come chiunque altro, privandoli della libertà di decidere liberamente il momento in cui entrarvi, costringendo la famiglia a decidere per loro quando le condizioni di salute rendono impossibile l’assistenza nel proprio domicilio e delegando una commissione speciale alla valutazione del grado di autosufficienza, la casa di riposo viene vissuta come luogo in cui veniamo scaricati per non essere di peso, come parcheggio. Ciò genera nelle famiglie profondi sentimenti di colpa qualora si presenti la necessità di ospedalizzazione. C’era bisogno di una legge per sapere che chi sta bene sta meglio a casa propria?

Il problema è chi sta male veramente, non è più autosufficiente e necessita di assistenza infermieristica o medica ogni giorno in casa non ha gli strumenti necessari per farlo e la famiglia proletaria non ha abbastanza qualificazione, tempo e denaro. Tuttavia con queste leggi viene imposto l’obbligo della presa in carico pena la perseguibilità penale; i servizi di sostegno alla famiglia previsti sono andati diluendosi nel tempo a causa dei continui tagli allo stato sociale e le famiglie si ritrovano ad accudire anziani con gravi patologie, gravi demenze in una solitudine quasi totale, a pagare spesso prestazioni infermieristiche o assistenziali che non vengono erogate a sufficienza, tutto questo perché una legge riformista decide che l’anziano deve stare a casa propria il più a lungo possibile, mentre prima poteva decidere spontaneamente di entrare in una struttura in condizioni di sufficiente autonomia.

E se è pur vero che la legge 2 del 2003 persegue la condivisione di responsabilità fra uomini e donne nella cura del paziente, è altrettanto vero che la disoccupazione femminile non a caso rappresenta il 60% e che le donne che ancora lavorano andranno in pensione a 65 anni.

Quindi, ci piaccia o no, sono le donne a pagare il prezzo più alto. I partiti di centrosinistra sono i fautori di queste e molte altri leggi riformiste, ma devono spacciarsi per socialmente equi quindi necessitano di legislatori capaci di inquinare la verità senza che noi ce ne accorgiamo se non dopo anni dall’applicazione delle leggi e dopo averle sperimentate sulla nostra pelle, quindi sempre troppo tardi. Il legislatore è furbo, ma non abbastanza e noi lo smascheriamo.

Per riuscire a divincolarsi nel labirinto legislativo ed uscirne con un’idea chiara di cosa sta realmente accadendo è necessario ragionare in termini di profitto, di privatizzazione e di classe sociale e gettare a mare una infinità di inutili parole atte solo a confonderci.

Se tutte le riforme attuate da trent’anni ad oggi fossero state applicate in un solo colpo, sarebbe scoppiata da tempo una rivoluzione: per evitare questo si è usato un sistema di manipolazione detto appunto strategia della gradualità e vediamo a cosa ci ha portato.

Lo stato ha scaricato i costi dell’assistenza sociale e sanitaria sulle famiglie più povere, liberandosi del fardello economico e a discapito principalmente delle donne in previsione di un aumento della disoccupazione femminile data dalle politiche riformiste e concertative perpetuate dagli stessi governi che hanno prodotto queste leggi, precarizzando, diminuendo i salari e aumentando l’età pensionabile. Il numero di strutture pubbliche idonee alla cura degli anziani in grave stato di salute non sono sufficienti a rispondere ai bisogni della popolazione; i tempi che intercorrono tra la domanda e l’accettazione sono molto lunghi e la legge obbliga la famiglia a farsi carico del malato il più a lungo possibile. Accade spesso che le pensioni degli anziani gravemente ammalati nel proprio domicilio non siano sufficienti a coprire i costi di una assistenza 24 ore al giorno e i servizi sociali non garantiscano il supporto necessario. Quindi si è costretti a ricorrere all’assunzione di personale a proprie spese, il quale non può comunque far fronte da solo e senza gli strumenti necessari a tutte le esigenze, specialmente quelle sanitarie. Molte donne proletarie hanno un lavoro precario e un reddito talmente basso che preferiscono licenziarsi e restare a casa ad assistere un famigliare con necessità di assistenza continua, costringendole ad un sacrificio enorme e alla totale privazione di se stesse e della propria libertà anche per molti anni, spesso con la paura perfino di uscite 2 ore a fare la spesa e lasciare solo il famigliare la cui sopravvivenza dipende da loro. Tutto ciò è deleterio non solo in termini psicologici ma giuridici, se accade qualcosa all’ammalato non autosufficiente in nostra assenza siamo perseguibili penalmente, ma la responsabilità famigliare non finisce nemmeno dopo l’ingresso in una struttura protetta. Qualora la pensione del paziente non sia sufficiente al pagamento della retta dovrà provvedere la famiglia fin’anche alle generazioni dei nipoti, o vendere la casa se ha la fortuna di possederne una.

Lo stato borghese usa la maschera del buon padre protettore per schiavizzare tante famiglie, generazioni future e soprattutto donne senza mai nemmeno entrare nel merito dei rapporti famigliari e delle loro dinamiche personali, perché non sempre il rapporto fra genitori e figli è idilliaco al punto da chiedere sacrifici obbligatori di questa portata, e sempre più raramente le condizioni economiche delle famiglie proletarie consentono di occuparsi dei famigliari a questi livelli.

Lo stato borghese ha favorito il processo di privatizzazione in molti modi:

FINANZIANDO DIRETTAMENTE LE STRUTTURE PRIVATE E GARANTENDO SERVIZI DI QUALITÀ AI RICCHI a discapito dei poveri. Mentre i governi riformisti da trent’anni continuano incessantemente a tagliare sui servizi e sullo stato sociale pubblico, non hanno mai smesso un secondo di finanziare le strutture private le cui rette si aggirano intorno alle 3000 euro mensili accessibili ad anziani appartenenti la borghesia che mantengono, contrariamente ai proletari, il diritto di entrare in una casa di riposo ancora in stato di autosufficienza o di restare a casa senza problemi di costi assistenziali, senza pesare sul bilancio famigliare e sulle spalle delle donne di famiglia.
FINANZIANDO INDIRETTAMENTE I PRIVATI. Il sistema integrato sociale che coinvolge tutte le parti sociali tra cui cooperative, associazioni di volontariato, aziende pubbliche di servizio, fondazioni ecc. si è tradotto per anni nell’appaltare le gestione dei servizi alla persona alle cooperative sociali che si offrivano al prezzo più basso a discapito della qualità ma soprattutto a discapito dei lavoratori e delle lavoratrici (che in questo settore sono la maggioranza), con trattamenti economici e contributivi insufficienti alla sopravvivenza e quindi all’indipendenza economica. Si è passati poi, nell’ottica di una migliore qualità del servizio, ad applicare il sistema di accreditamento, uno strumento legislativo che fissa una serie di requisiti che un’azienda deve avere per continuare ad erogare servizi alla persona e continuare a ricevere i finanziamenti dallo Stato, tra cui adeguamenti strutturali, tecnici, di personale e quindi di qualità. Tale strumento si è rivelato ben presto la solita fregatura riformista, nei fatti la maggior parte delle strutture pubbliche e i relativi servizi erogati sono passati alla gestione privata di una sola cooperativa senza possibilità di recesso e in virtù di requisiti, specialmente strutturali, mezzi di lavoro, arredamenti ecc. il cui adeguamento è avvenuto negli anni precedenti a spese del pubblico. Li abbiamo pagati noi, abbiamo adeguato a norma le strutture, fatto impianti di condizionamento, comprato il materiale, gli arredi, i macchinari ecc., insomma abbiamo preparato a nostre spese il terreno agevolato ai privati.
I GOVERNI RIFORMISTI sfruttano i lavoratori e in particolare nel settore socio-assistenziale la maggior parte dei lavoratori è composta da donne proletarie. Di ciò ringraziamo le riforme sul lavoro perpetuate negli ultimi anni dai governi riformisti, con il supporto di un sindacato tutto volto alla concertazione al ribasso col padronato e alla sottomissione alle leggi europee sul lavoro, come il Decreto legislativo n. 66 del 2003 che consente di lavorare anche 14 giorni consecutivi senza riposo. Si è deciso di annullare i contratti nazionali a favore dei contratti aziendali, si sono peggiorate le condizioni di lavoro delle lavoratrici che operano nei sopracitati settori diminuendo direttamente e indirettamente i salari, precarizzando il lavoro, sia nel pubblico che nel privato.
I dipendenti pubblici si trovano decurtato indirettamente il salario dal blocco del contratto già da 7 anni, in modo diretto sono state tagliate le indennità festive e notturne, si è aumentata la produttività, ridotto il personale. E non è finita, ci saranno nuove riforme nel settore pubblico allo scopo di licenziare, precarizzare, ridurre i salari, esodare i più vecchi ed assumere nuovo personale attraverso le agenzie interinali con contratti a termine.

Questo significa per tante proletarie tornare dipendenti da un uomo o da un marito che le può mantenere oppure la fame. Tutte le riforme effettuate in trent’anni hanno un’unica direzione: privatizzare tutti i servizi pubblici.

Ma per fare questo i governi riformisti hanno dovuto spianare la strada ai privati per consentire loro il massimo profitto, tagliare le spese, ridurre al minimo i servizi pubblici, diminuire i salari. In sintesi, rubare ai poveri per dare ai ricchi.

In tutto questo le donne proletarie sono quelle che pagano il prezzo più alto, che subiscono la maggiore disoccupazione e precarietà perché sulle loro spalle deve ricadere il carico economico dell’assistenza agli anziani e la cura dei figli. Privandoci del lavoro e del salario ci stanno togliendo l’indipendenza dall’uomo, ci faranno tornare alla schiavitù e il vertiginoso aumento della violenza sulle donne è la prova tangibile che il maschilismo non è mai finito, si è evoluto parallelamente alle necessità economiche del momento e sta tornando nella sua forma peggiore ed aggressiva in concomitanza con l’aumento della disoccupazione e precarietà femminile.

Collettivo Femminista Rivoluzionario

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