Interventi

Matteo Renzi: un populista con ambizioni autoritarie

Considerazioni varie su Renzi e sul PD, sulla base del nuovo libro di M. De Lucia.

20 Novembre 2016

(Reazionari e populisti/n.2)

Michele De Lucia -giornalista e scrittore, co-fondatore dell' associazione Anticlericale.net, di recente ha pubblicato un nuovo libro su Renzi e sul renzismo. Nel 2014 con il libro “Il Berluschino. Il fine e i mezzi di Matteo Renzi” (Kaos edizioni), aveva ricostruito le varie tappe della carriera politica di Matteo Renzi fino al suo arrivo a Palazzo Chigi, raccontando i suoi rapporti di potere e le sue numerose fonti di finanziamento, italiane e straniere, che lo hanno supportato in tanti anni: ad es. organizzazioni cattoliche come Comunione e Liberazione e imprenditori e finanzieri come Massimo Carrai e Davide Serra, fino a Silvio Berlusconi in persona.

Con il suo ultimo libro “Il ducetto di Rignano sull' Arno” (Kaos edizioni, Luglio 2016), invece, ha ricostruito gli aspetti più salienti del potere renziano e della sua narrazione, riproponendo quelle notizie -censurate o mistificate dai media principali- che meglio svelano la natura populista del renzismo, la sua connotazione anti-operaia e i suoi spegiudicati affarismi -da quelli familiari fino a quelli diretti e indiretti del clan renziano- attraverso il PD e il governo. Un libro che merita di essere letto, e che ripropongo nelle parti più interessanti, con alcune considerazioni personali.


AFFARISMI DI FAMIGLIA

Il libro incomincia ripercorrendo -in sintesi- la storia degli affarismi della famiglia Renzi.
Tutto inizia con il padre di Matteo, Tiziano Renzi, un personaggio molto conosciuto nel fiorentino, perchè per anni è stato consigliere comunale della Democrazia Cristiana a Rignano sull' Arno (paese natale dei Renzi) e da più di vent' anni fa l' imprenditore. Nel 1993 fonda la Ditta Chil srl (servizi di marketing per i giornali), e la cede subito ai figli: alla figlia Benedetta va il 60% delle quote, mentre a Matteo va il 40%; Matteo sarà poi assunto come coordinatore degli strilloni del quotidiano “La Nazione” sul territorio di Firenze, e regolarizzato con un contratto di lavoro co.co.co (collaboratore coordinato e continuativo, quindi senza diritto a versamenti contributivi e TFR).

In quegli anni, sul piano politico, Matteo è iscritto al Partito Popolare, lavora come portaborse del deputato fiorentino ex DC, Lapo Pistelli, ed è attivo nei Comitati per l' Ulivo. All' inizio del Duemila, si iscrive a La Margherita e ne diventa coordinatore fiorentino. Nell' Autunno 2003 -a seguito di un accordo spartitorio tra Ds e Margherita- Renzi viene scelto per la carica di Presidente della Provincia di Firenze, mentre il Ds Leonardo Dominici per quella di sindaco di Firenze. (Entrambi verranno eletti alle elezioni del 13 Giugno 2004).

A quel punto, sicuro della poltrona politica, Matteo Renzi si da subito da fare sul versante affaristico: il 17 Ottobre (2003) cede il suo 40% della Chil srl alla madre Laura Bovoli (mentre sua sorella Benedetta cede il suo 60% al padre Tiziano). E il 27 Ottobre Matteo si fa riassumere dalla ditta di famiglia (adesso intestata ai genitori) con la qualifica di “dirigente” e, dunque, con stipendio “dirigenziale” di ben 4.440 euro lordi al mese, più tredicesima e quattordicesima. In questo modo, una volta eletto presidente della Provincia -come prevede la legge- i suoi contributi previdenziali e il Tfr passano a carico della collettività; e dato lo stipendio “dirigenziale” diventano contributi piuttosto onerosi: quasi 200 mila euro di contributi previdenziali accumulati grazie ad appena 7 mesi da dirigente della Chil srl, prima della sua elezione alla Provincia. Tutto a carico della collettività.! Soldi che, una volta raggiunta l' età pensionabile, verranno sommati agli altri benefici di legge riservati ai parlamentari e ai ministri. A tutto ciò, si aggiungono ben dieci anni di anzianità lavorativa presso la Chil srl: infatti solo a Marzo 2014, dopo la nomina a premier, Renzi si è dimesso dalla Chil, non per filantropia ma a seguito di polemiche e inchieste giornalistiche, e senza rinunciare ad un Tfr lordo di circa 50 mila euro, pagato anch' esso dalla collettività.

E nonostante che, in questi anni, l' originaria Chil srl -fino al suo fallimento nel Febbraio 2013- aveva cambiato più volte nome e ragione sociale, proprietari e dirigenti; aveva avuto diverse aziende ad essa collegate; lasciato dietro di se' un debito di 1 milione e 200 mila euro, diversi lavoratori mai pagati, e vari processi per bancarotta fraudolenta patteggiati o finiti in prescrizione. Il tutto con la complicità di prestanomi e banchieri, come Marco Lotti, ex presidente della Bcc-Banca di Credito Cooperativo di Pontassieve, che nel 2009 aveva erogato un prestito di 700 mila euro alla Chil srl mai interamente rimborsato, e padre di Luca Lotti (amico di Renzi, tra i fondatori della Leopolda e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio).

Si tratta di fatti che ben dimostrano la spegiudicatezza affaristica della famiglia Renzi, e di Matteo in particolare: che oggi -da presidente del consiglio- si permette di legiferare sul tema delle pensioni varando la recente riforma-truffa dell' Ape, dopo che da parte sua ha contribuito a peggiorare il sistema pensionistico e i conti pubblici, con un comportamento spegiudicato, furbesco e da bravo parassita.

LA NUOVA RAI DI RENZI

Come tutti i populisti e reazionari di professione, interessati unicamente ad arricchirsi e a restare al potere il più a lungo possibile, anche Matteo Renzi, una volta al potere, si è rimangiato -con atteggiamento guascone- tutta una serie di promesse e affermazioni fatte in precedenza, ad es. nelle prime Leopolde. E tra le tante, ci sono quelle che riguardano la RAI (pag 65-76).

Parliamo di un' azienda con più di 12 mila dipendenti (più della metà assunti in base a clientele partitocratiche), il cui costo medio annuo è di circa 90 mila euro.
Un' azienda con 1600 giornalisti e più di 500 (inutili) dirigenti pagati a peso d' oro, e con migliaia di collaboratori esterni occasionali. Un ente pubblico asservito al potere governativo di turno, farcito di tanta pubblicità (nonostante il canone), e ormai piena di programmi di basso intrattenimento, alla maniera delle tv commerciali.

Se in passato Renzi aveva promesso di voler liberare la RAI dal controllo dei partiti e dalle lottizzazioni, ad Agosto 2014 -ormai a capo del governo e in pieno clima di Patto del Nazareno- Renzi procede all' ennesima lottizzazione partitica, nominando 7 consiglieri del cda RAI che sono tutti legati a partiti politici, dal PD a Forza Italia (pag 71): F.Siddi, R.Borioni, G.Guelfi, P.Messa, G.Mazzucca, A.Diaconale, C.Freccero (l' unico dei 7 legato al M5S). Completano il quadro A. Campo Dall' Orto -eletto direttore generale- un ex berlusconiano oggi neorenziano doc, e M.Maggioni -eletta presidente RAI- berlusconiana e vicina agli ambienti cattolici.

Il 22 Dicembre 2015, poi, in Parlamento viene approvata la nuova riforma della RAI-tv targata Renzi, che prevede pieni poteri di scelta e controllo sulla RAI da parte del direttore generale: in pratica, la tv pubblica -d' ora in poi- dipenderà direttamente dal governo.

Come tutti i populisti di governo, anche Renzi non poteva fare a meno di impadronirsi della televisione pubblica, per instaurare un rapporto diretto tra capo e popolazione. E utilizzarla per divulgare una narrazione dei fatti addomesticata, falsata, dettata dall' alto e monocorde, allo scopo di impedire o ritardare malumori e contestazioni popolari.

LO SCANDALO BANCA ETRURIA

Banca Etruria, fin dagli anni Settanta era conosciuta come la banca di Licio Gelli (capo massone della Loggia segreta P2, morto a metà dicembre 2015), che ne controllava i vertici e lì aveva il conto “Primavera”, dove gli affiliati alla Loggia P2 versavano le proprie quote. Per decenni feudo della Democrazia Cristiana e della massoneria, quando la Vigilanza di Bankitalia si decide a ispezionarla, ne scopre di tutti i colori. Infatti ai primi di Novembre 2014 Bankitalia multa la dirigenza di Banca Etruria per 2,54 milioni di euro accusandola di “violazioni di disposizioni della governance, carenze nell' organizzazione, nei controlli interni e nella gestione, nel controllo del credito, e omesse e inesatte segnalazioni alla Vigilanza”. (pag.97)

In Banca Etruria la famiglia Boschi è di casa: infatti, ci lavora da tempo il padre della ministra Boschi, Pier Luigi Boschi, per anni come semplice consigliere di amministrazione, e dal 2014 -non appena la figlia diventò ministra nel governo Renzi- come vice presidente della banca. Ci lavora anche, come dirigente, il fratello della ministra, Emanuele Boschi, insieme alla moglie; e tutti gli altri familiari sono piccoli azionisti dell' istituto. Ma Boschi padre non fa solo il banchiere: occupa altre 14 cariche societarie in cooperative agricole e immobiliari dell' aretino. Risulterà, poi, responsabile di alcune irregolarità, e sanzionato da Bankitalia con una multa di 144 mila euro.

Di fronte alla vicenda Etruria, il governo Renzi è intervenuto pesantemente a suon di decreti legge assai sospetti: prima quando Banca Etruria era quasi fallita, agevolando l' impennata delle azioni con il decreto sulle popolari (20 gennaio 2015) e conseguenti operazioni di insider trading da parte di speculatori finanziari; poi con il decreto legge del 16 novembre 2015 che impedisce ai correntisti truffati di rivalersi sugli amministratori della banca (art.35). Infine, con il decreto del 22 Novembre 2015, chiamato “Salva banche” che permette a 4 piccoli istituti di credito in crisi -Banca Marche, CariFerrara, CariChieti e Banca Etruria- di riaprire i battenti come istituti “nuovi”, cioè senza più le passività dei crediti inesigibili (dirottati in un' unica “bad bank”). I costi dell' operazione sono tutti a carico del sistema bancario italiano, che mette a disposizione delle 4 “nuove” banche 3,6 miliardi di euro, e che si rifaranno inevitabilmente su tutti i risparmiatori; ma soprattutto a carico degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati e truffati dalle 4 “vecchie” banche, che perdono tutto: circa 130 mila risparmiatori raggirati, di cui sono 4737 i truffati da Banca Etruria, per un totale di 147 milioni di euro di risparmi bruciati.

Nonostante il plateale conflitto di interessi della ministra Boschi, la mozione di sfiducia verrà respinta dal Parlamento il 28 Dicembre 2015. Eppure, si è trattato di uno scandalo per tutto il governo Renzi: infatti -dalle indagini- emergerà che la società Intesa Aretina scarl -di cui è socia Banca Etruria- aveva in passato devoluto 15 mila euro alla Fondazione Open, cioè la principale fondazione che finanzia Matteo Renzi, nel cui consiglio direttivo siedono Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Marco Carrai. E che Pier Luigi Boschi, il padre della ministra già in passato era stato multato dall' agenzia delle Entrate per evasione fiscale e violazione della normativa antiriciclaggio; che era stato socio in affari con un personaggio sospettato di legami con la 'drangheta; che ha avuto rapporti costanti con il faccendiere sardo Flavio Carboni (massone, arrestato per lo scandalo P3), con Valeriano Mureddu (affarista massone, nel 2014 denunciato per un' evasione fiscale milionaria), e con Gianmario Ferramonti (ex amministratore della finanziaria della Lega Nord negli anni Novanta e legato ai servizi segreti americani). [pag. 104-108]

La vicenda di Banca Etruria e -nel complesso- di tutte le 4 banche sopranominate, ha evidenziato certamente il plateale conflitto d' interessi del governo Renzi, e il suo orientamento filo-borghese. Ma non vano dimenticate le complicità dei vertici di Bankitalia e della Consob, che per anni sono rimasti in silenzio senza controllare (solo recentemente la Consob ha annunciato sanzioni verso 35 ex componenti del cda di banca Etruria), e dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, dall' inizio della crisi economica (2008) ad oggi. Pertanto, solo la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori, è l'unica misura di vera pulizia. E l' unica che può proteggere realmente lavoratori e i piccoli risparmiatori dalle azioni criminali delle banche, in ogni momento.

VOLONTA' DI DOMINIO

Come è noto, il governo Renzi è nato (22 febbraio 2014) grazie ad una manovra di Palazzo, senza una legittimazione elettorale, e avallato da un presidente-monarca (Napolitano). Un governo espressione di un Parlamento giudicato illegittimo da una sentenza della Consulta (14 gennaio 2014): un migliaio di deputati e senatori eletti nel febbraio 2013 con una normativa doppiamente incostituzionale, sia per le liste bloccate -quindi formato da parlamentari nominati dai partiti e non eletti dagli elettori- sia per l' abnorme premio di maggioranza, che ha permesso al Partito Democratico di ottenere la maggioranza dei seggi, senza avere mai preso la maggioranza dei voti (Legge Porcellum).
Nonostante ciò, il governo Renzi -fin dall' inizio sostenuto da una risicata maggioranza di voltaggabbana- sta portando avanti una riforma che modifica radicalmente la Costituzione, in senso autoritario: ben 47 articoli modificati a suon di “voti di fiducia”.

Il cuore della riforma costituzionale voluta dal Ducetto fiorentino è semplice: trasformare il Senato elettivo in un apparato partitocratico, formato da 100 senatori (scelti tra sindaci e consiglieri regionali) nominati e protetti dall' immunità parlamentare. E grazie alla nuova legge elettorale Italicum, anche la maggioranza degli eletti alla Camera saranno deputati in prevalenza nominati dai partiti; con l' aggiunta di un “premio di maggioranza” abnorme. Inoltre, si rende più difficile l' istituto del Referendum: per quelli di tipo abrogativo le firme aumentano da 500 mila a 800 mila; e per la richiesta di leggi di iniziativa popolare le firme passano da 50 mila a 150 mila.

In questo modo il capo della prima forza politica nazionale (oggi il Partito democratico), vincendo le elezioni e a prescindere dalla percentuale di voti, diventerà anche il padrone del Parlamento. Un obbrobio giuridico orchestrato per codificare, legittimare e blindare il suo potere personale, nella logica dell' uomo solo al comando. (pag.126-128)

Perfino la famosa legge truffa del 1953 che scatenò tante battaglie in Parlamento e fuori, era più democratica dell' Italicum, perché il premio di maggioranza veniva attribuito alla coalizione che otteneva il 50 per cento dei voti, ossia a chi la maggioranza l' aveva già. E, poi, se nessuno raggiungeva questa soglia, il premio non scattava. Nell' Italicum, invece, se nessuno raggiunge il 40 per cento, il premio viene comunque attribuito dopo il ballottaggio tra le due liste più votate, qualunque sia la percentuale ottenuta! Si prende tutto anche con un seguito popolare assai modesto: la minoranza governa indisturbata. (pag. 128-130)

L' Italicum ricorda molto la legge Acerbo fatta approvare da Mussolini nel 1923. Una legge che assegnava alla lista -che avesse raggiunto il 25% dei voti validi- i due terzi dei seggi alla Camera dei deputati (il Senato era di nomina regia). Grazie alla nuova legge, Mussolini si assicurò il controllo della Camera e potè avviare la costruzione dello Stato totalitario che culminò con l' istituzione (nel 1939) della Camera dei fasci e delle corporazioni formata da “consiglieri nazionali” non votati dal popolo, ma tratti da altre istituzioni di regime: il Gran consiglio del Fascismo, il Consiglio nazionale del Partito Fascista, il Consiglio nazionale delle corporazioni e altre ancora.

Per far passare questa sciagurata riforma, si agita il tema della riduzione dei costi della politica: la riforma cancellerebbe il Senato (notizia falsa) e dunque la collettività risparmierebbe gli stipendi dei senatori. E' vero che c' è un risparmio tagliando 200 senatori, ma si tratta di pochi soldi (50 milioni all' anno e non 500 come sbandierato da renziani), e si sarebbe potuto ottenere di più eliminando del tutto il Senato, o decurtando del 10 per cento l' indennità dei parlamentari, o tagliando il numero dei deputati, che sono ben 630, o tagliando le spese militari (un solo aereo F35 costa 50 milioni di euro!).
Il vero obiettivo è governare senza limiti e freni -in un momento storico caratterizzato dalla più pesante crisi economica del Capitalismo- concentrando tutto il potere sull' esecutivo, riducendo la partecipazione democratica, mettendo il bavaglio al dissenso.

Per tutti questi motivi, è, quindi, necessario che al Referendum del 4 Dicembre prossimo si vada a votare NO, per fermare questa manomissione -in senso autoritario e filo-capitalista- della Costituzione repubblicana. Allo stesso tempo, non va dimenticata la natura storica borghese e compromissoria della Costituzione del 1948, a tutela della proprietà privata e del Concordato con la Chiesa. E quindi la necessità di lottare per una Repubblica dei Lavoratori, basata sulle loro strutture democratiche di massa, sulla loro organizzazione, sulla loro forza. Perché solo una Repubblica dei lavoratori può realizzare l' autentica democrazia: rovesciando l' attuale dittatura di industriali, banchieri, Vaticano; e dando alla maggioranza della società il potere di decidere del proprio futuro. Come sta facendo il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), impegnato da mesi nella battaglia referendaria a favore del NO, da un versante anticapitalista.

IL PARTITO DI RENZI

Fin dalla sua nascita, il Partito Democratico è stato un contenitore per politicanti della Seconda Repubblica, buono solo per appagarne gli appetiti carrieristici. Dai più anziani ai più giovani, dagli ex comunisti (tipo Bersani) agli ex democristiani (tipo Franceschini).

Dopo la vittoria alle primarie-farsa del 2013 (senza regole, poteva votare chiunque), Renzi ha avuto gioco facile nel trasformare il partito in un proprio comitato elettorale e strumento di potere, perché tutta la nomenklatura del PD (salvo poche eccezioni) si è convertita al renzismo. Anche chi lo aveva osteggiato in passato -come Franceschini, Orfini e la Madia- si è subito sottomesso al nuovo capo, in cambio di poltrone. Uno spettacolo disgustoso che da bene l' idea di un partito di carrieristi, voltagabbana e poltronisti senza pudore. (pag.192-193)

Non stupisce, quindi, che il PD a guida Renzi abbia preso -senza problemi- numerosi provvedimenti dal sapore democristiano e clientelare. In materia fiscale, blandizie e condoni agli evasori, con “soglie di punibilità” e ambiguità normative sul falso in bilancio. In tema di giustizia, norme più severe sulla responsabilità civile dei magistrati, ma senza nessuna efficace misura per riavviare una macchina giudiziaria pressoché paralizzata. In economia, nuove normative favorevoli alle assicurazioni, alle banche, alle compagnie telefoniche; e agevolazioni per lobby del tabacco e del gioco d' azzardo di Stato. (pag.144-145)

In fatto di lavoro, poi, il Job's act di Renzi è cosa nota: una legge ispirata e scopiazzata direttamente dal documento confindustriale “Proposte per il mercato del lavoro e della contrattazione” e finalizzata a scardinare lo “Statuto dei Lavoratori”. Una legge che non ha aumentato l' occupazione ma solo la precarietà dei lavoratori e la loro ricattabilità; e ha ridotto le libertà sindacali e il diritto di sciopero.

Non stupisce, quindi, se -in termini elettorali- il PD a guida Renzi stia sempre più perdendo consensi. Infatti, alle Regionali 2015 il PD ha perso 1 milione e 300 mila voti rispetto alle precedenti. E alle ultime amministrative (giugno 2016) gli elettori del partito democratico sono stati ancora meno, sancendo così la forte impopolarità del governo Renzi. Nei giorni scorsi ha perso le elezioni comunali a Monfalcone, importante cittadina del Friuli con una forte presenza operaia legata alla cantieristica.

Sono tutti segnali di una impopolarità diffusa del PD, sempre più marcata, e di un forte sentimento di distacco da parte delle masse popolari verso questo partito.
Tuttavia, a fronte di ciò, non assistiamo alla crescita di una coscienza di classe e di un movimento politico radicale in senso anticapitalistico. Col forte rischio che gli spazi di consenso lasciati vuoti dal PD -a livello di massa- possano venire ricoperti, in futuro, da altre forze populiste e filo-borghesi come la Lega Nord o il M5S.

Pertanto, in questa non facile situazione, ai marxisti rivoluzionari spetta il compito di mantenere -e cercare di allargare- il proprio intervento politico-propagandistico all' interno della classe proletaria, in maniera paziente e costante, a partire dall' intervento sui posti di lavoro. Solo così è possibile contrastare efficacemente la propaganda delle forze politiche populiste e filo-borghesi, e contribuire a costruire quel movimento politico anticapitalista -a livello di massa- di cui tanto ci sarebbe bisogno oggi. Di fronte alla crisi economica più profonda che il capitalismo abbia mai conosciuto, e che sta facendo pagare alla classe proletaria, in Italia e nel mondo.

Leo S.

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