Dalle sezioni del PCL

Monfalcone: l’astensione operaia affonda il PD

19 Novembre 2016

Alla fine la débâcle del PD alle elezioni comunali di Monfalcone (principale stabilimento Fincantieri, seconda città della provincia di Gorizia e quinta in regione dopo i quattro capoluoghi) è rimbalzata anche sugli strati supremi del partito e utilizzata da Bersani contro i “leopoldini” innescando contro di esso la polemica del delfino di Matteo Renzi, nonché governatrice del Friuli Venezia-Giulia, Debora Serracchiani. In effetti, come già anticipato in un intervento precedente dal Nucleo isontino del PCL, il dato è apodittico: la classe operaia monfalconese ha disertato le urne manifestando così la rottura con l’amministrazione di centrosinistra. L’astensione dalle urne, che ha raggiunto il picco storico del 50% (in un elettorato abituato al “dovere elettorale”) è stata ribadita nella sua intierezza al secondo turno confermando così la valenza politica del fatto: gli elettori che al primo turno avevano partecipato al voto erano 10.611; quelli del ballottaggio 10.629. L’aritmetica elettorale ci consegna inoltre il dato che la vincente leghista Cisint ha ottenuto, rispetto al primo turno, 1388 voti in più che, tolte alcune centinaia, corrispondono al totale combinato degli altri due candidati a sindaco (M5S e una lista autonoma di centrodestra) presenti al primo turno. Dunque il proletariato della “città dei cantieri” non ha raccolto l’appello della sindaca uscente Altran (di matrice catto-liberale) in vista del ballottaggio in quanto non nutriva più alcuna fiducia verso il centrosinistra cittadino. La realtà della rottura con la componente decisiva, proletaria, del proprio elettorato è apparsa chiara anche ai soporiferi capi locali del PD dai dati elettorali: l’astensione dilagava anche nei rioni proletari storici. Pateticamente la sindaca uscente ha chiesto all’ultimo sindaco di marca PDS, Persi, di farle da mentore nella volata finale nel tentativo di recuperare il legame con il voto operaio attraverso la componente “socialdemocratica” del partito. Dopo la sonora sconfitta (- 25% dalla Cisint) l’Altran ha potuto così rovesciare, pubblicamente, sullo stesso Persi l’etichetta dell’arma politica storicamente esaurita. Da notare l’assenza della Serracchiani, che dopo aver visto l’esito del primo turno e sentendo già odor di desolazione, si è tenuta alla larga dalla piazza monfalconese dove, tra l’altro, i renziani non hanno mai abbondato.

Maturazione di una contraddizione

All’indomani della sconfitta in casa PD niente dimissioni, ma solo un reciproco prendere le distanze. Così mentre la segretaria regionale Grim, che nello stesso giorno ha incassato anche la sconfitta a Codroipo (provincia di Udine), rimanda tutti i chiarimenti a dicembre, il capogruppo in consiglio regionale (ex segretario DC di Staranzano) rivela che aveva chiesto all’Altran di farsi da parte già in maggio e la rimproverava di non aver inseguito l’alleanza con quel polo di ex amministratori PSI-DC che 5 anni fa era risultato decisivo al ballottaggio e che questa volta s’era rivolto alla destra. Vi è stata poi la vicenda del presidente della Provincia Gherghetta (ex quadro PCI) che già sospeso dal PD presentava una lista propria su modello grillino pretendendo per essa una rappresentanza da vice-sindaco. L’esisto modesto della lista (1 solo eletto), che puntava a “diventare il primo partito in città”, non ha deposto a favore di questa fronda né ha saldato alcunchè con coloro che si “sentono delusi dalla politica”. E proprio qui sta il punto. Questi “coloro” sono i proletari e i semi-proletari vittime delle politiche capitalistiche di destra e di centrosinistra.
La strutturazione storica della Fiom in Fincantieri e nell’indotto metalmeccanico del mandamento, la sua appendice del SPI e anche il ruolo dell’Anpi (data la storia partigiana di queste terre), avevano traghettato quella cinghia di trasmissione elettorale, che andava erodendosi di volta in volta ovviamente, che partiva dal PCI per planare nel PDS/DS e infine nel PD. Ma oramai il Partito democratico, partito borghese di centro liberale, nato dai DS e dalla democristiana Margherita, ha assemblato e forgiato uno strato dirigente che non solo non rientra nei modelli del riformismo socialdemocratico ma non ha nulla a che vedere con la storia e la realtà del movimento operaio. Questo partito è stato creato come lo strumento più avanzato della governabilità capitalistica in regime di crisi, apparentemente irreversibile, della curva della valorizzazione. Il corso renziano sembra l’acme di questo processo ontogenetico. E proprio per questo la maturazione della contraddizione tra PD e la componente maggioritaria del suo elettorato inizia, forse, un nuovo stadio di sviluppo. La débâcle di Monfalcone, quindi, va inserita in una tendenza più generale. Certo vi sono fatti pregnanti di carattere locale. La sottomissione alle politiche di Fincantieri dove risalta la revoca alla costituzione di parte civile nel processo per i lavoratori morti per amianto (che a Monfalcone sono oltre 320) in cambio di un risarcimento di 140 mila euro ma soprattutto della rinuncia a future cause contro l’azienda. Ancora la sottomissione a Fincantieri per quanto riguarda la giungla dell’appalto, con operai pagati 4 euro l’ora e la mancata responsabilizzazione dell’azienda nel fronteggiamento della tensione abitativa dovuta ai flussi della manodopera migrante dell’appalto. Quest’ultimo tema si lega alla sottomissione alla rendita urbana, al business dell’alloggiamento dei proletari dell’appalto che ormai è negoziato direttamente dalle ditte come capitolo logistico e ovviamente diventato cantico isterico della destra contro l”invasione dei bangladesi in centro-città”. E ancora il rapporto stretto con la curia cui si è devoluto, tra le altre cose, un dormitorio pubblico e la domiciliazione parrocchiale della stampa dei bollettini dei comitati di rione. L’appoggio alla distruzione definitiva della municipalizzazione della fornitura del gas e al tentativo di fusione (sconfitto in un referendum in primavera) dei tre Comuni limitrofi del monfalconese in un’operazione funzionale a tagli della spesa pubblica e alla privatizzazione di beni comunali. Questioni pesanti, certo, ma che difficilmente esauriscono le ragioni per le quali l’82% dei consensi persi, rispetto a 5 anni fa, del totale dei voti delle liste che appoggiavano Altran, si riferiscono alla lista PD.
Anche nella vicina Ronchi dei Legionari (terza città della provincia e dove l’elezione era a turno unico), che vanta una storia di “popolo della sinistra” ancora più marcata di Monfalcone, il PD esce (di poco) sconfitto dall’astensione (comunque più contenuta) e da contraddizioni interne: l’uscente vicesindaco, alleato del PD nella precedente maggioranza, ha vinto appoggiandosi ad una coalizione di centrodestra e ha nominato come assessore proprio l’ex sindaco. Così ora il Partito democratico dall’opposizione si ritrova a votare gli indirizzi amministrativi che esso stesso ha preventivato in bilancio. Non a caso i consiglieri dem hanno lanciato un appello al neosindaco Vecchiet (già snobbato in passato dal PDS) per una ricomposizione politica. Ma al di là di fattori specifici e locali, quello che si presenta nazionalmente in riferimento alla strozzatura elettorale del PD è un processo generale delle contraddizioni tra masse lavoratrici e borghesia: i marxisti rivoluzionari devono prestare massima attenzione a queste dinamiche sapendo distinguere volta per volta le forme espressive che le condizioni contestuali danno a questi fenomeni.


I (quasi) vincitori: Cisint con il 70% degli elettori contrario

La destra (con o senza il “centro”) torna al governo cittadino dopo 23 anni e la Lega Nord, con la Cisint, ottiene il suo primo sindaco a Monfalcone. Ma c’è poco trionfo sul carrozzone della frazione più bigotta della piccola-borghesia locale che si è candidata a servire il grande capitale meglio del PD. Al ballottaggio il 70% degli elettori non hanno votato per la candidata leghista e la percentuale di rifiuto sale al 75% con il voto del primo turno. Si tratta di una situazione che può contenere elementi dirompenti. E i primi mugugni appena sospirati dopo la nomina delle deleghe di giunta tradiscono che il viaggio amministrativo presenta molti incognite. La Cisint, tecnocrate pubblico che viaggia a 5 mila euro al mese, sa bene che nonostante la vittoria il voto complessivo delle liste che l’appoggiavano è stato inferiore a quello del 2011. Inoltre la Lega sarà anche diventata il secondo partito in città ma comunque ha perso consensi mentre Forza Italia perde più del 10% rispetto le politiche 2013. La stessa presenza del borghese reazionario, figlio di ricchi azionisti, Matteo Salvini, alla vigilia del ballottaggio ha poco entusiasmato in termini di presenze. Ma c’è di più. Il personale politico della compagine vincente non ha alcuna cinghia di trasmissione nel tessuto sociale maggioritario della città che rimane ancorato alla realtà proletaria ed in particolare alla classe operaia cantierina. Inoltre anche l’ampia anima democristiana della città, legata al circuito curiale, non ha un vero rapporto organico con la nuova amministrazione, nonostante le proclamazioni da cattolica integerrima della nuova sindaca e la sua dichiarata indisponibilità a formalizzare le unioni civili omosessuali. Gran parte della coalizione di destra si è strutturata attorno alle attività commerciali del centro cittadino e l’appoggio politico principale proviene dall’ambiente delle PMI, Confcommercio in testa. La capacità della nuova giunta di sapersi costruire una base sociale con potenzialità di mobilitazione è da vedersi. Un ponte in tal senso potrebbe arrivare da quei settori di imprenditoria appaltatrice del contoterzismo Fincantieri, in larga parte di origine campana, che avevano animato il movimento locale dei “Forconi” trascinando in piazza, con ricatti, i propri operai e facendoli recuperare le ore perdute nei giorni festivi. Ma in questo caso potrebbe giocare un ruolo la tendenza localistica della sub-cultura della coalizione di destra nel senso di diffidenza verso i “meridionali” e di difesa delle “tradizioni della Bisiacaria” (il nome locale del monfalconese). Vero che esiste anche un’oscura presenza neofascista, vicino Forza Nuova, mimetizzata dentro Fratelli d’Italia, la cui lista ha ottenuto un seggio consiliare ed esprime un’assessora presa a prestito dalla giunta di un altro Comune, ma il ricorso a leve di sostegno neofasciste a Monfalcone assumerebbe per la giunta Cisint il tanfo della cancrena.
Ma la stessa operatività della macchina comunale potrebbe aprire fronti di contraddizione dovuti agli sviluppi del relazionamento con una realtà lavorativa che presenta aree di sindacalizzazione sicuramente non allineate con la destra.
Consapevole di questi punti critici la Cisint ha incontrato le Rsu della Fincantieri ma soprattutto ha chiamato in giunta, tra qualche crampo di stomaco nella maggioranza, un vecchio quadro democristiano, Luise, dirigente medico dell’azienda sanitaria locale, già assessore in passato per il centrosinistra, e cresciuto attorno allo stato maggiore regionale DC che aveva gestito la fase di ricostruzione del dopo-terremoto del 1976. Era stato persino tra i possibili candidati a sindaco della destra ma fu osteggiato da Forza Italia. E durante la stessa giunta Altran era diventato la pezza d’appoggio esterna degli interventi socio-assistenziali del centrosinistra. Area, quella dell’assistenza sociale, che con la crisi occupazionale e l’alta immigrazione di famiglie al seguito di operai dell’appalto rappresenta un fronte estremamente paludoso. Cisint evidentemente non si fida troppo delle risorse amministrative che gli portano le liste che l’hanno sostenuta e cerca di non compromettere i vari canali di operatività. Inoltre, il suo orientamento verso il litorale, cioè l’orizzonte triestino del sindaco di destra Dipiazza, potrebbe non piacere a tutti i suoi sostenitori che temono che Monfalcone diventi la periferia del capoluogo regionale.


Gli altri sconfitti: il Movimento 5 Stelle

Il M5S è stato l’altro sconfitto di queste elezioni. A Monfalcone ha perso quasi 3000 voti dalle politiche del 2013 eleggendo un solo consigliere mentre a Ronchi, pur con un risultato sotto le attese, ne porta a casa due. Un pezzo del movimento era sorto dietro la mascheratura della difesa ambientale del litorale mentre un altro si fregiava del franchising ufficiale della Casaleggio Spa. Nell’insieme l’attività dei pentastellati locali si era caratterizzata, in questi due anni circa di esistenza, per un presenzialismo di piazza costante attraverso banchetti. Negli ultimi tempi il M5S era divenuto terreno per salti di quaglia come quello dell’assessore all’ambiente cacciato dalla giunta Altran per la sua opposizione ad un progetto di impianto di rigassificazione off-shore.
Lo stesso processo delle primarie aveva evidenziato l’esistenza di un’ipoteca aprioristica sul nominativo del candidato a sindaco decisa dietro le quinte delle anodine e piccolo-borghesi serate dei sedicenti “Meet up” con tanto di strascichi nelle catacombe internettiane, secondo il modello di “democrazia alla Casaleggio Spa”. Dal punto di vista dell’esito elettorale è probabile che questi saltellamenti e tenzoni opportunistici abbiano giocato un ruolo ausiliario rispetto alla crisi vissuta con il caso Roma che è rimbalzata anche in queste terre attraverso la presenza non presente di Di Maio in campagna elettorale (cancellato il suo comizio a Monfalcone ha poi fatto la comparsa solo a Ronchi lasciando nell’imbarazzo i grillini monfalconesi anche verso la stampa). Resta il fatto che al ballottaggio monfalconese larga parte dell’elettorato grillino ha trovato identità con la candidata della destra.


Le sinistre di governo e il PCL

Nel generale assorbimento politico nel centrosinistra di quella che era un tempo definita la “sinistra radicale”, anche qui si registra che il tonfo del blocco amministrativo del PD trascina con sé Rifondazione comunista e Sel. Il Prc, da lustri al governo in Provincia e in quasi tutti i Comuni del basso isontino, ha perso ogni contenuto reale di indipendenza politica tanto che l’assessora che esso esprimeva a Monfalcone agiva di fatto come parte di un partito unico di centrosinistra. Da questa sussunzione politica sono derivate corresponsabilità nelle peggiori azioni della giunta Altran come la resa sulla questione amianto, sulla centrale a carbone di A2A (azienda che nel cda conta diversi uomini PD), sulla privatizzazione della fornitura del gas o la privatizzazione della mensa scolastica. La vendita delle quote comunali dell’azienda fornitrice del gas è esemplare: laddove il Prc era all’opposizione (quasi sempre nei Comuni di centrodestra) ha votato contro; laddove era in maggioranza (cioè la posizione perorata per praticare il proprio ruolo “alternativo”) i suoi consiglieri sono usciti dalle aule per garantire, una volta abbassato il numero legale, l’approvazione della privatizzazione. Seppur a Monfalcone Rifondazione ha confermato il seggio consiliare, conservando 388 voti in una lista non di partito e sponsorizzata da un ex assessore PD (che nel 2007 aveva concesso la sala della biblioteca al miliardario neofascista Roberto Fiore dovendo poi, sulla base della risposta antifascista, dimettersi), nella vicina Ronchi, dove correva da sola in opposizione al centrosinistra, un risultato modesto gli ha fatto perdere quella presenza istituzionale che deteneva sin dalla prima partecipazione elettorale del 1993. Qui la presentazione alternativa al blocco del PD era dovuta essenzialmente al veto di quest’ultimo non certo ad una contrapposizione con la linea generale del Prc poiché lo stesso candidato a sindaco aveva fatto parte di maggioranze con il centrosinistra e come dirigente del suo partito non aveva mai contestato le partecipazioni assessorili nei vari Comuni. Il crollo di voti anche in questo caso rivela quanto relazionata sia, nell’immaginario elettorale, l’esistenza politica del Prc con le dinamiche del PD anche quando si presenta da solo. Per quanto riguarda Sel a Monfalcone, dopo 5 anni di blanda opposizione, questo partito si era avvicinato al PD tanto da presagire un accordo con la sindaca uscente. Ma una volta caduta questa ipotesi ha rinunciato a presentare la propria lista contrariamente a quanto fatto a Ronchi dove ha confermato l’alleanza con il PD e venendo così trascinata nella sconfitta e perdendo il consigliere conquistato nel 2011. Ora Sel ha orientato la propria azione nella costruzione di Sinistra Italiana.

Il Nucleo isontino del PCL, impegnato nel consolidamento della sua azione politica sul territorio, e a fronte di una legge regionale reazionaria per la presentazione delle liste elettorali, si è trovato nell’impossibilità tecnica di presentare le proprie candidature di totale alterità all’apparato politico-amministrativo esistente. Un impedimento ulteriore è stato costituito dall’anticipazione della data elettorale voluta dalla governatrice Serracchiani per evitare la coincidenza con il referendum costituzionale. Ciò nonostante il Nucleo isontino è riuscito ad ottenere una presenza sulla stampa attraverso la quale ha potuto esprimere le motivazioni della sua linea elettorale: l’astensione dal voto a Monfalcone (per entrambi i turni) e un sostegno critico alla candidatura a sindaco presentata da Rifondazione a Ronchi. In quest’ultimo caso l’appello al voto critico rappresentava l’appoggio alla necessità di una proposta proletaria indipendente, assente a Monfalcone, ma allo stesso tempo una denuncia delle ambiguità politiche del Prc utilizzando questa contraddizione come viatico dell’interlocuzione con quella parte di elettorato proletario politicamente più avanzato.

L’azione di riorganizzazione strutturale dello sfruttamento capitalistico in epoca di crisi, la scomposizione di classe che essa produce, l’aggravamento di tale scomposizione dovuto al ruolo complementare delle burocrazie dei sindacati di massa e delle sinistre “radicali” di governo, obbligano ad interpretare i fenomeni di rottura (contingenti o assodati che siano) tra le masse lavoratrici e gli apparati partitici sinora da esse percepiti come immediati rappresentanti dei propri interessi di classe non certo come movimenti automatici di radicalizzazione politica in senso anticapitalistico. Proprio per via degli attuali rapporti di forza tra le classi e il relativo arretramento politico-ideologico accumulato (anche delle avanguardie in senso largo) questi fenomeni di rottura con il PD presentano la caratteristica di fluidità che potrebbe essere drenata verso una captazione anche reazionaria se esistesse una direzione politica borghese sufficientemente strutturata in tal senso attraverso il canale di un movimento piccolo-borghese di massa. Al momento una tale direzione ancora non sussiste (le difficoltà del M5S vanno lette anche da questa versante mentre la leadership Salvini non convince del tutto la borghesia) e il sentimento prevalente tra i settori proletari è quello del disincanto o dell’attesa.
Ma per i marxisti rivoluzionari sviluppare il proprio quadro politico di intervento in questa situazione significa dover andare oltre l’impostazione generica della “sinistra che non tradisce”, strutturando invece la propria azione sulla connotazione di un partito di classe e su una prassi politica ad esso conseguente. Significa articolare il proprio intervento attraverso lo smascheramento, politicamente pedagogico, delle organizzazioni, delle strutture, dei dispositivi (da quelli statali a quelli aziendali), attraverso i quali si riproduce la dominazione di classe della borghesia e la schiavitù capitalistica della popolazione dei prestatori di lavoro. Una pedagogia politica direttamente costruita sulle contraddizioni vissute sulla pelle della popolazione proletaria e semi-proletaria. E’ necessario saper riportare la determinazione politica della lotta di classe direttamente nei luoghi di incarnazione dei rapporti di classe capitalistici a partire dai luoghi dei rapporti di produzione. In questa direzione va perseguita la ricostruzione della soggettivazione politica sulla base delle necessità concrete della lotta di classe, spendendo in questo modo il patrimonio teorico di cui il Partito Comunista dei Lavoratori è portatore.

Partito Comunista dei Lavoratori - Nucleo isontino

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